Crociati del XIX secolo

La sorprendente storia degli zuavi pontifici, in pieno secolo del progresso, è un mirabile esempio di amore per la Santa Chiesa portato fino al sacrificio di se stessi.

Eroismo. Una parola piena di imponderabili, che riunisce in sé tutto ciò che di più sublime c’è stato nella Storia degli uomini. Parla di spade che si scontrano in campo aperto, di uomini che si lanciano verso l’ignoto attraversando abissi, oceani e montagne per scrivere i loro nomi nei Cieli; di geni, avventurieri, idealisti, insomma, di persone per le quali l’impossibile è sinonimo di irresistibile.

Eppure, questi splendidi esempi d’eroismo non sono gli unici e nemmeno i principali. Più che affrontare i proiettili dell’avversario o immolare una vita intera a favore di una difficile conquista, sapendo che quel sacrificio porterà agli allori della fama, della gloria o della venerazione degli uomini, l’apice dell’eroismo consiste nell’essere disposti a sopportare la vergogna e la derisione, e a passare per codardi di fronte al mondo intero. Si versa allora il sangue dell’anima, molto più prezioso di quello del corpo.

Dai membri di un particolare corpo di guerra, i zuavi pontifici, la Provviidenza richiese che fosse versato sangue dal corpo e dall’anima

Ebbene, dai membri di un particolare corpo di guerra, i cosiddetti zuavi pontifici, la Provvidenza richiese che fosse versato sia l’uno che l’altro…

Precedenti storici

Giovanni Maria Mastai Ferretti fu eletto Papa il 16 giugno 1846, assumendo il nome di Pio IX. Già nei primi anni del suo regno, dovette affrontare gravi rivoluzioni causate dai movimenti patriottici italiani che minacciavano il suo dominio sugli Stati Pontifici.

Nel frattempo, poiché le rivolte iniziali non ottenevano pieno successo, i cospiratori decisero di aspettare un po’ di tempo fino a che gli animi non si fossero riaccesi, il che richiese circa dieci anni.

Alla fine, Vittorio Emanuele, re di Sardegna e del Piemonte, iniziò una politica di annessione dei piccoli Stati della Penisola Italiana, cosa che rappresentava una vera e propria minaccia per lo Stato Pontificio. Al suo servizio c’era Giuseppe Garibaldi, leader dei soldati rivoluzionari – chiamati “camicie rosse” – che miravano a invadere i territori del Papa.

Nasce il battaglione

Comprendendo la reale gravità dei fatti e considerando il disinteresse delle potenze europee per le questioni riguardanti la Chiesa, Pio IX incaricò il suo ministro delle armi, Mons. Mérode – sacerdote belga ed ex ufficiale – di provvedere alla difesa dei domini ecclesiastici. Questi decise, allora, di convocare il generale Louis de La Moricière, celebre eroe della guerra coloniale in Africa, affinché diventasse il comandante generale delle forze pontificie, tra le quali spiccava il nuovo battaglione di fucilieri franco-belga, noto come zuavi pontifici.1

Zuavo pontificio – Museo Glauco Lombardi, Parma

Per aiutare La Moricière nelle sue funzioni con questo gruppo di combattenti, fu convocato anche Louis de Becdelièvre, che si incaricò della formazione e della disciplina dei membri, trasformando quei giovani pieni di entusiasmo in veri soldati. Nonostante il loro numero esiguo, erano pronti ad affrontare qualsiasi tempesta. E questa tempesta non tardò a profilarsi all’orizzonte…

Dopo aver completato la conquista della Sicilia, Garibaldi marciava con le sue truppe verso Napoli, ultimo baluardo prima degli Stati del Papa. La Moricière decise allora che gli zuavi, sebbene in forte inferiorità numerica, avrebbero combattuto contro l’esercito italiano e realizzato l’ideale, fino ad allora soltanto teorico, di combattere per la Chiesa: era giunta l’ora tanto desiderata dai suoi uomini.

Castelfidardo: la prova della fedeltà

Come prima preparazione, Becdelièvre consiglia che tutti si confessino e che siano pronti a comparire davanti al supremo tribunale di Dio.

Una volta in pace con il Signore, e avendo aperte davanti a sé solamente le porte della vittoria o quelle del Cielo, gli zuavi si lanciano nel combattimento. Il 18 settembre 1860, il generale La Moricière si dirige verso Ancona, vicino a Castelfidardo, e dà battaglia in campo aperto alle truppe garibaldine.

Tuttavia, i disegni divini sono molte volte contrari a quelli degli uomini: invece di concedere a questi giovani soldati un trionfo definitivo, la Provvidenza richiede qualcosa di molto più arduo: la fedeltà nell’umiliazione. A causa della supremazia numerica dell’esercito nemico, essi vengono sconfitti.

Vedendosi costretti a rifugiarsi a Loreto, i combattenti si raccolgono davanti a una statua della Madonna al fine di ottenere forze in vista delle successive sofferenze.

È facile immaginare la delusione generalizzata che l’insuccesso provocò negli ambienti cattolici, facendo aumentare il malcontento di coloro che erano contrari alla formazione di quella forza militare.

Nonostante tutto, in un’altra parte dell’Opinione Pubblica questo sentimento fu contrastato da una certa commozione e persino da uno slancio di entusiasmo, e così nuove reclute si arruolarono per incrementare il piccolo esercito papale.

Tra questi, vale la pena menzionare il caso di Queré, un giovane contadino analfabeta – dall’aspetto pessimo e dal dialetto incomprensibile – che proveniva dalla Bretagna e che si era presentato a Parigi per entrare nelle file pontificie. Oltre al suo “curriculum” inadeguato, il giovane aveva un difetto di costituzione del piede che lo rendeva inadatto alla marcia. Approfittando del fatto che aveva dimenticato i documenti, gli fu negato l’ingresso nello squadrone. Tuttavia, il bretone era così determinato che, nonostante fosse venuto a piedi dal suo villaggio fino a Parigi, tornò ancora una volta nella sua terra per ritornare nella capitale, questa volta portando con sé la documentazione richiesta. Di fronte a una tale dimostrazione di determinazione, non ci fu altro da fare che accettarlo.

Un altro soldato, in una lettera alla sua famiglia, espresse la seguente idea: «A Dio e al suo Vicario non ho da offrire nessuna fortuna, nessuna nobiltà, nessun talento, nessun tipo di influenza; ho solo il mio sangue, e questo io glielo do».2

Ma mentre cresceva il numero dei soldati pontifici, arrivando a raggiungere i seicento uomini nel gennaio del 1861, Vittorio Emanuele faceva il suo ingresso trionfale a Napoli, ultima tappa del suo cammino verso le terre del Papa.

Proficuo periodo di inazione

Nonostante ciò, dopo la Battaglia di Castelfidardo da entrambe le parti ci fu una certa calma che non impediva che si verificassero molti piccoli scontri.

Di fronte alla minaccia delle truppe di Garibaldi, Pio IX incaricò il suo ministro delle armi di predisporre la difesa dei domini della Chiesa

Per gli zuavi, questo periodo fu di grande utilità in termini di preparazione sia militare che spirituale, grazie alla vicinanza a Pio IX, al quale essi prestarono giuramento di fedeltà nel gennaio 1861.

Durante questo periodo di inazione, due eventi meritano particolare attenzione. Il primo è la cosiddetta Convenzione di Settembre: un accordo firmato nel 1864 tra Vittorio Emanuele II e Napoleone III, che coordinava la ritirata delle truppe francesi dal territorio italiano e la non aggressione alle terre papali. Il secondo, nello stesso mese dell’anno successivo, fu la morte di La Moricière. Con questa perdita, Pio IX si vide costretto a cedere alle pressanti sollecitazioni provenienti da ogni parte di sollevare Mons. Mérode dal ruolo di Ministro delle Armi e trasferirlo al generale tedesco Hermann Kanzler, che tra l’altro si dimostrò estremamente efficace.

Papa Pio IX con i soldati zuavi – Chiesa di San Pietro, Longueville (Francia)

La nuova nomina, sommata all’indignazione generale causata dalla ritirata delle truppe francesi, rinnovò il fervore degli zuavi e dei cattolici che, dal mondo intero, giungevano per arruolarsi nelle file pontificie. Di conseguenza, da un battaglione che non superava i 500 uomini nel 1865, l’esercito crebbe in due anni fino a 2.289, di cui 872 erano olandesi, 659 francesi e 495 belgi.

«Collaboro con la più santa delle missioni»

Si sentiva nel palpitare dei cuori l’emergere di una nuova forza che avrebbe ben potuto essere espressa dalle parole del barone Onffroy: «Vorremmo veder nascere, a favore del degno Successore di Pietro, il magnifico movimento che ebbe luogo all’epoca di Goffredo di Buglione e di San Luigi il Re, per la liberazione dei Luoghi Sacri».3

Si trattava di vere e proprie grazie di crociata, che conferivano ai soldati un dinamismo e un coraggio che superavano la semplice natura, come si evince dalla lettera di uno di loro alla sua famiglia: «L’idea che sto collaborando alla più santa delle missioni, che sto compiendo la volontà divina, mi dà una forza che non è naturale».4

Affermazioni come questa testimoniano l’azione della grazia nell’anima dei combattenti per le nuove lotte che sarebbero venute.

Mentana: la grande vittoria

L’anno 1867 venne a intensificare l’opera dello squadrone papale. Già a febbraio, Garibaldi percorreva l’Italia settentrionale raccogliendo uomini per avanzare verso la Città Eterna. La sua furia anticattolica era così evidente che alcuni fedeli giunsero a considerarlo addirittura l’anticristo.

“La battaglia presso Mentana”, di Lionel-Noël Royer – Collezione privata

Con la ripresa delle ostilità, anche gli zuavi tornarono in azione e si scontrarono con i Garibaldini in diverse occasioni: a Bagnoregio, Montelibretti, Farnese, Monterotondo, tra le altre. Grazie a Dio, nella quasi totalità degli scontri la vittoria andò ai difensori della religione, in buona misura grazie al loro addestramento e al loro nuovo comandante.

Tuttavia, non era possibile mantenere una vita costantemente in guerra. Era quindi necessario porvi fine una volta per tutte attraverso una grande battaglia.

Con il ritorno del sostegno di Napoleone III all’esercito papale, si presentò l’occasione propizia di costituire finalmente un esercito ragionevole. Ci sarebbero stati ora cinquemila uomini – di cui circa duemila e cinquecento zuavi – per combattere contro diecimila nemici.

Dopo le dure prove iniziali, a Mentana gli zuavi ottennero una vittoria completa sui loro nemici, nonostante fossero in inferiorità numerica

Mentana fu il luogo in cui, il 3 novembre, i due eserciti si affrontarono. Nonostante la sproporzione numerica, quando le due bandiere si incontrarono, gli zuavi avanzarono con un tale afflato che, «in un attimo, i garibaldini furono raggiunti, colpiti dalle baionette, gettati a terra e inseguiti senza potersi riorganizzare».5 Infine, le armate papali li cacciarono dalla città in cui si erano rifugiati, lasciando un migliaio di morti e feriti, oltre a 1.398 prigionieri.

La vittoria fu completa. Arrivato a Roma, il battaglione entrò acclamato tra le grida del popolo: «Evviva Pio IX! Evviva la Francia! Evviva il Papa-Re! Evviva gli Zuavi! Evviva le truppe pontificie! Evviva i francesi!»6

La caduta di Roma e lo scioglimento degli zuavi

Alla battaglia di Mentana seguì un’altra tregua di tre anni finché, nel luglio 1870, scoppiò la guerra franco-prussiana che provocò un nuovo ritiro dell’appoggio francese… Era l’occasione propizia per i rivoluzionari italiani di riprendere le armi contro Roma, ma questa volta con l’intenzione di schiacciarla… Ammontavano a sessantamila uomini, divisi in tre fronti d’attacco.

Da parte sua, il generale Kanzler stabilì che l’esercito papale, composto da soli sette o ottomila soldati, si sarebbe limitato alla difesa della città di Roma in quattro postazioni. Umanamente parlando, si trattava di un confronto suicida e le truppe lo sapevano.

Il 19 settembre, venuto a conoscenza che i rivoluzionari si trovavano a poco più di sedici chilometri dalla capitale, Pio IX convocò il ministro e gli disse: «Vogliamo che la resistenza sia strettamente necessaria per dimostrare la realtà di un’aggressione, e nulla più». Stupito dall’ordine, Kanzler rispose: «Santità, l’intero esercito vuole combattere e morire». Tuttavia, il Papa insistette: «Chiederemo loro di arrendersi e non di morire; questo sarà un sacrificio ancora più grande».7

Papa Pio IX benedice per l’ultima volta le truppe pontificie il 25 aprile 1870, prima della resa di Roma

Il giorno seguente, il Santo Padre inviò una lettera al generale, ribadendo la sua decisione: «In questo momento in cui tutta l’Europa deplora le numerose vittime, conseguenza di una guerra tra due grandi nazioni, non sia mai detto che il Vicario di Gesù Cristo – anche se ingiustamente attaccato – ha acconsentito a uno spargimento di sangue».8 Questo era il momento più impegnativo: comunicare agli zuavi l’ordine di arrendersi.

La guerra si concluse con un duro sacrificio: la resa delle truppe pontificie che segnarono la Storia come i crociati, in difesa della Santa Chiesa

E così accadde. Il 20 settembre, poco dopo l’inizio della battaglia, il terribile messaggio fu consegnato dai commissari e il combattimento terminò con la resa dei difensori del Papa. Forse la difficoltà maggiore per questi eroi fu assistere all’ingresso degli avversari che li sommersero di insulti e aggressioni, mentre la bandiera bianca della capitolazione veniva issata sulla cupola della basilica di San Pietro.

Dopo aver ricevuto la benedizione del Papa, tutti fecero ritorno alle rispettive patrie. La resa fu seguita dallo scioglimento degli eserciti pontifici.

La guerra degli zuavi era terminata, ma fu coronata dal grandissimo onore di aver servito la più alta delle missioni. Essi passarono alla Storia come crociati, indimenticabili baluardi di amore e sacrificio per la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. ◊

 

Note


1 Il tribunale romano avrebbe scelto ufficialmente il nome zuavi solo poco dopo la battaglia di Castelfidardo, di cui si parlerà più avanti. La decisione, tuttavia, non fece altro che sigillare una consuetudine esistente, dal momento che il battaglione era già solito essere chiamato così a causa della sua uniforme (cfr. CERBELAUD-SALAGNAC, Les zouaves pontificaux. Paris: France-Empire, 1963 , p.60).

2 GUÉNEL, Jean. La dernière guerre du Pape. Les zouaves pontificaux au secours du Saint-Siège: 1860-1870. Rennes: Presses Universitaires de Rennes, 1998, p.45.

3 Idem, p. 86.

4 DU COËTLOSQUET, SJ, Charles. Théodore Wibaux. Zouave pontifical et jésuite. Lille: Desclée de Brouwer, 1890, p.46.

5 MÉVIUS, David Ghislain Emile Gustave de. Histoire de l’invasion des États Pontificaux en 1867. Paris: Victor Palmé, 1875, p.337.

6 CERBELAUD-SALAGNAC, op. cit., p. 175.

7 GUENEL, op. cit., p. 141.

8 Idem, p. 142.

 

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