L’uomo contemporaneo vive sotto la minaccia di un’eclissi della coscienza, che porta all’oscuramento del senso di Dio e alla scomparsa del senso del peccato. Questa crisi si risolverà solo con un chiaro richiamo ai principi che la morale della Chiesa ha sempre sostenuto.
Dal Vangelo letto nella comunione ecclesiale la coscienza cristiana ha acquisito, lungo il corso delle generazioni, una fine sensibilità e un’acuta percezione dei fermenti di morte, che sono contenuti nel peccato. Sensibilità e capacità di percezione anche per individuare tali fermenti nelle mille forme assunte dal peccato, nei mille volti sotto i quali esso si presenta. È ciò che si suol chiamare il senso del peccato.
Questo senso ha la sua radice nella coscienza morale dell’uomo e ne è come il termometro. È legato al senso di Dio, giacché deriva dal rapporto consapevole che l’uomo ha con Dio come suo creatore, Signore e Padre. Perciò, come non si può cancellare completamente il senso di Dio né spegnere la coscienza, così non si cancella mai completamente il senso del peccato.
“Anestesia” delle coscienze
Eppure, non di rado nella storia, per periodi di tempo più o meno lunghi e sotto l’influsso di molteplici fattori, succede che viene gravemente oscurata la coscienza morale in molti uomini. “Abbiamo noi un’idea giusta della coscienza”? – domandavo due anni fa in un colloquio con i fedeli –. “Non vive l’uomo contemporaneo sotto la minaccia di un’eclissi della coscienza? Di una deformazione della coscienza? Di un intorpidimento o di un’“anestesia” delle coscienze?”. Troppi segni indicano che nel nostro tempo esiste una tale eclissi […].
È inevitabile, pertanto, che in questa situazione venga obnubilato anche il senso di Dio, il quale è strettamente connesso con la coscienza morale, con la ricerca della verità, con la volontà di fare un uso responsabile della libertà. Insieme con la coscienza viene oscurato anche il senso di Dio, e allora, smarrito questo decisivo punto di riferimento interiore, si perde il senso del peccato. Ecco perché il mio predecessore Pio XII, con una parola diventata quasi proverbiale, poté dichiarare un giorno che “il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato”.
Perché questo fenomeno nel nostro tempo? Uno sguardo a talune componenti della cultura contemporanea può aiutarci a capire il progressivo attenuarsi del senso del peccato, proprio a causa della crisi della coscienza e del senso di Dio, sopra rilevata.
Un umanesimo senza Dio
Il “secolarismo”, il quale, per la sua stessa natura e definizione, è un movimento di idee e di costumi che propugna un umanesimo che astrae totalmente da Dio, tutto concentrato nel culto del fare e del produrre e travolto nell’ebbrezza del consumo e del piacere, senza preoccupazione per il pericolo di “perdere la propria anima”, non può non minare il senso del peccato.
Quest’ultimo si ridurrà tutt’al più a ciò che offende l’uomo. Ma proprio qui si impone l’amara esperienza, a cui già accennavo nella mia prima enciclica, che cioè l’uomo può costruire un mondo senza Dio, ma questo mondo finirà per ritorcersi contro l’uomo.
In realtà, Dio è la radice e il fine supremo dell’uomo, e questi porta in sé un germe divino. Perciò, è la realtà di Dio che svela e illumina il mistero dell’uomo. È vano, quindi, sperare che prenda consistenza un senso del peccato nei confronti dell’uomo e dei valori umani, se manca il senso dell’offesa commessa contro Dio, cioè il senso vero del peccato. […]
Il rovesciamento e il crollo dei valori morali
Scade facilmente il senso del peccato anche in dipendenza di un’etica derivante da un certo relativismo storicistico. Essa può essere l’etica che relativizza la norma morale, negando il suo valore assoluto e incondizionato, e negando, di conseguenza, che possano esistere atti intrinsecamente illeciti, indipendentemente dalle circostanze in cui sono posti dal soggetto. Si tratta di un vero “rovesciamento e di una caduta di valori morali”, e “il problema non è tanto di ignoranza dell’etica cristiana”, ma “piuttosto è quello del senso, dei fondamenti e dei criteri dell’atteggiamento morale”. L’effetto di questo rovesciamento etico è sempre anche quello di attutire a tal punto la nozione di peccato, che si finisce quasi con l’affermare che il peccato c’è, ma non si sa chi lo commette.
Svanisce, infine, il senso del peccato quando – come può avvenire nell’insegnamento ai giovani, nelle comunicazioni di massa, nella stessa educazione familiare – esso viene erroneamente identificato col sentimento morboso della colpa o con la semplice trasgressione di norme e precetti legali.
La perdita del senso del peccato, dunque, è una forma o un frutto della negazione di Dio: non solo di quella ateistica, ma anche di quella secolaristica. Se il peccato è l’interruzione del rapporto filiale con Dio per portare la propria esistenza fuori dell’obbedienza a lui, allora peccare non è soltanto negare Dio; peccare è anche vivere come se egli non esistesse, è cancellarlo dal proprio quotidiano. Un modello di società mutilato o squilibrato nell’uno o nell’altro senso, quale è spesso sostenuto dai mezzi di comunicazione, favorisce non poco la progressiva perdita del senso del peccato.
In tale situazione l’offuscamento o affievolimento del senso del peccato risulta sia dal rifiuto di ogni riferimento al trascendente in nome dell’aspirazione all’autonomia personale; sia dall’assoggettarsi a modelli etici imposti dal consenso e costume generale, anche se condannati dalla coscienza individuale; sia dalle drammatiche condizioni socio-economiche che opprimono tanta parte dell’umanità, generando la tendenza a vedere errori e colpe soltanto nell’ambito del sociale; sia, infine e soprattutto, dall’oscuramento dell’idea della paternità di Dio e del suo dominio sulla vita dell’uomo.
La perdita del senso del peccato nella Chiesa
Persino nel campo del pensiero e della vita ecclesiale alcune tendenze favoriscono inevitabilmente il declino del senso del peccato. Alcuni, ad esempio, tendono a sostituire esagerati atteggiamenti del passato con altre esagerazioni: essi passano dal vedere il peccato dappertutto al non scorgerlo da nessuna parte; dall’accentuare troppo il timore delle pene eterne al predicare un amore di Dio che escluderebbe ogni pena meritata dal peccato; dalla severità nello sforzo per correggere le coscienze erronee a un presunto rispetto della coscienza, tale da sopprimere il dovere di dire la verità.
E perché non aggiungere che la confusione, creata nella coscienza di numerosi fedeli dalle divergenze di opinioni e di insegnamenti nella Teologia, nella predicazione, nella catechesi, nella direzione spirituale, circa questioni gravi e delicate della morale cristiana, finisce per far diminuire, fin quasi a cancellarlo, il vero senso del peccato? […]
Ristabilire il giusto senso del peccato è la prima forma per affrontare la grave crisi spirituale incombente sull’uomo del nostro tempo. Ma il senso del peccato si ristabilisce soltanto con un chiaro richiamo agli inderogabili principi di ragione e di fede, che la dottrina morale della Chiesa ha sempre sostenuto. ◊
Tratto da: SAN GIOVANNI PAOLO II.
Reconciliatio et pænitentia, 2/12/1984
Nella foto evidenziata: Broadway, Nuova York
Dal 1897 ad oggi, 2022, non solo questa decadenza non è stata rallentata, ma siamo scesi fino alla esaltazione del peccato. Un abisso che poteva essere evitato se solo i pastori avessero predicato bene.
Loro responsabilità immensa davanti ai fedeli e soprattutto davanti a Dio.