Il mare… un libro aperto in cui si nascondono tante piccole e grandi storie! Alcune totalmente sommerse, abbandonate al loro destino nell’oscura e rara bellezza delle acque profonde. Chi non vorrebbe conoscerle? Altre, non scalfite dalle onde del tempo, sembrano sfidare i secoli, proprio come in passato i loro protagonisti affrontarono le tempeste. Ecco come una di queste è arrivata fino a noi, la famosa impresa della Gloriosa, un’imbarcazione che… ha fatto la Storia.
Un’arrischiata missione
Era la notte di domenica 28 maggio 1747. Nel porto della città messicana di Veracruz, dormivano tutti. Tutti… tranne gli uomini dell’intrepido Pedro Mesía de la Cerda. Già guardia marina dell’Armada Spagnola a diciassette anni, in quel momento, dopo una lunga e brillante carriera militare, era un esperto capitano di quarantasette anni, comandante della San Ignacio de Loyola, una nave di settanta cannoni, soprannominata Gloriosa.
L’equipaggio aveva trascorso l’intera notte facendo la spola dal porto alle stive della nave, trasportando un prezioso tesoro e ultimando i preparativi per una partenza rapida ma segreta, molto segreta: le spie inglesi si aggiravano nella regione, era necessaria la massima discrezione. 1
Una volta che tutti furono a bordo, salparono senza indugio per La Habana, da dove avrebbero proseguito per la Spagna, portando nelle stive della nave il sorprendente carico di oltre quattro milioni di monete d’argento e quattromila e quattrocento once d’oro. A questo si aggiungeva un ricco carico di diverse mercanzie2 che pure dovevano arrivare a destinazione quanto prima possibile.
Questa era la difficile missione che gravava sulle spalle del Capitano Mesía. Meglio di chiunque altro, egli conosceva gli innumerevoli incidenti che potevano accadere durante il viaggio e che potevano portare alla perdita di una vera e propria fortuna. E come se non bastasse, avrebbe dovuto compiere la traversata senza nemmeno contare su una nave d’appoggio, affrontando assolutamente da solo i pericoli del mare e la pirateria inglese.
Per questo motivo, informato in anticipo della rischiosa missione che avrebbe dovuto intraprendere, il capitano poté scegliere ciascuno dei suoi uomini, e selezionò dettagliatamente i più esperti che riuscì a trovare.
Dopo settimane di calma, il primo scontro
Le prime settimane di navigazione trascorsero nella normalità, ma la mattina del 25 luglio le cose cambiarono. Nei pressi dell’arcipelago delle Azzorre, i marinai avvistarono in lontananza una grande quantità di vele. Erano inglesi? Ore più tardi, il cattivo presagio fu confermato: si trattava di un grosso convoglio inglese scortato da quattro navi da guerra, al comando del Capitano John Crookshanks.
Scoprendo la solitaria nave spagnola, gli inglesi intuirono che si trattava di una facile preda e certamente ben carica di tesori. Il comandante ordinò allora che una nave da guerra della piccola flotta continuasse a scortare le altre, e si lanciò con le altre tre – la nave di linea Warwick, la fregata Lark e il brigantino Montagu – a caccia del ricco bottino spagnolo.
La Montagu, più veloce delle altre, riuscì ad avvicinarsi per prima e sparò contro la San Ignacio de Loyola con l’obiettivo di ridurne la velocità. Ma il Capitano Mesía, prevedendo le sue mosse, ordinò di spostare diverse bocche di fuoco a poppa e la tenne a distanza per tutta la notte, a tiro di cannone.
Il giorno successivo, il 26 luglio, le altre due navi riuscirono ad avvicinarsi e al calar della notte tallonavano ormai la nave spagnola, che non poteva evitare lo scontro. Questa volta, però, chi avrebbe preso l’iniziativa dell’attacco sarebbe stato il Capitano Mesía.
Al chiaro di luna, e come se per lei non ci fosse un domani, la San Ignacio de Loyola si precipitò verso la Montagu, sparando alcuni colpi di cannone a distanza ravvicinata che la costrinsero a battere in ritirata per non tornare più. Tuttavia, il risultato più importante della manovra fu quello di collocare la nave spagnola al fianco della Lark, permettendole di sparare tutte le sue batterie di tribordo con una tale precisione che la fregata inglese, completamente priva di alberi, fu messa fuori combattimento.
Alla fine virò per attaccare il Warwick e, quando lo ebbe a portata di tiro, gli scaricò addosso l’intera batteria di babordo, incrociando i suoi proiettili con quelli del disperato inglese, che non riusciva a dare credito all’insolito movimento. Dopo di che, si voltò ancora una volta e lo bombardò con i suoi cannoni del lato destro. La battaglia durò più di sei ore, al termine delle quali Erskine, capitano del Warwick, approfittò del vento favorevole per fuggire dal fuoco nemico e chiedere aiuto. La sua nave era distrutta.
Vittoriosi, gli spagnoli poterono continuare il loro viaggio. Le avarie subite erano piuttosto gravi e la nave danneggiata sembrava mostrare le sue vele strappate come un invitto stendardo di guerra. Tuttavia, l’equipaggio era felice. Non sapevano che quello scontro era soltanto l’inizio…
«Zafarrancho!»
Dopo alcune settimane senza grandi novità, la domenica del 13 agosto, quando mancavano appena dieci leghe marittime per arrivare a Capo Finisterre, la vedetta dall’albero maestro avvistò varie vele. Il giorno seguente si scoprì che erano tre navi della Royal Navy: la nave Oxford, la fregata Shoreham e il brigantino Falcon. Tutte e tre avanzavano rapidamente verso l’avariata San Ignacio de Loyola, come se la stessero aspettando da tempo. Forse volevano solo regolare i conti.
Di fronte a questo tragico scenario, i volti preoccupati degli spagnoli lasciavano intravedere gli innumerevoli dubbi che, come palle di cannone, si affollavano nelle loro menti: sarebbero usciti indenni o sarebbero morti nello scontro? Mancava così poco per arrivare a casa che quello sembrava loro un vero incubo. Ma presto il silenzio mortale che suscitava tante domande fu rotto da un grido del capitano Mesía: «Zafarrancho!». Non era il momento di formulare ipotesi, ma di pregare e combattere.
La flotta britannica si avvicinava a poco a poco. Infine, verso le quattro del pomeriggio, la Shoreham e la Falcon incrociarono il San Ignacio de Loyola su un lato di quest’ultimo, a una distanza prudenziale, mentre l’Oxford faceva lo stesso dall’altro lato, ma nessuno aprì il fuoco.
Avendo la preda a portata di mano, gli inglesi manovrarono per iniziare la cattura. In un attimo, il capitano Mesía dispose la sua nave in posizione favorevole per scambiare con le navi nemiche reciproche e calorose salve di piombo e fuoco.
Durava ormai da quasi tre ore l’impari duello, quando il capitano Callis, comandante della flotta inglese, non potendo più sopportare il castigo che la San Ignacio de Loyola gli infliggeva, decise di battere in ritirata. La scena era incredibile. Un vero miracolo! Uno straordinario segno della protezione divina che non li abbandonava.
Appaiono all’orizzonte gli ultimi nemici
Infine, il 16 agosto raggiunsero il porto di Concurbión, in Galizia, dove scaricarono il prezioso tesoro in un luogo sicuro. La loro missione era compiuta! Ma la loro odissea continuava. Dopo aver effettuato le riparazioni più urgenti alla nave, l’11 ottobre salparono in direzione del porto di El Ferrol, dove avrebbero avuto tutto il necessario per completare il restauro.
Purtroppo non riuscirono ad arrivare a causa di una forte burrasca. Inoltre, si trovavano nelle vicinanze della Costa della Morte, regione temuta dove molte barche naufragavano. Non era prudente proseguire su quella rotta, soprattutto nelle loro precarie condizioni. Per questo il Capitano Mesía ordinò di prendere la direzione di Cadice.
Durante questo viaggio, all’alba del 17 ottobre, si presentò un’altra sventura: all’orizzonte apparve la Royal Family, una squadra di corsari comandata dal commodoro inglese George Walker, che si trovava a bordo della nave ammiraglia King George. Seguito dalla fregata Prince Frederick, Walker si lanciò all’inseguimento della nave spagnola danneggiata. Era ormai caduta la notte quando il corsaro raggiunse la sua preda. La battaglia fu combattuta ancora una volta al chiaro di luna.
Dopo aver perso l’albero maestro nella prima salva di fuoco e aver subito gravi perdite tra morti e feriti, la King George sostenne da sola il combattimento per quasi tre ore.3
Era notte fonda quando entrò in scena la fregata Prince Frederick. Il suo comandante, Edward Dottin, cannoneggiò la San Ignacio de Loyola, allo scopo di distrarre i colpi che non cessavano di cadere sulla nave del commodoro, ricevendo la meritata risposta. Infine, secondo le parole dello stesso Walker, «alle undici in punto, con nostra sorpresa, il nemico salpò, […] ma noi non potemmo seguirlo».4
Fino all’ultima palla di cannone
Il giorno successivo, 18 ottobre, la San Ignacio de Loyola era inseguita dalle fregate King George, Duke e Prince Frederick, la Famiglia Reale era quasi al completo! Come se questo non bastasse, davanti alla nave spagnola apparve un altro vascello di Sua Maestà: il Darmouth, comandato dal Capitano John Hamilton.
Quando questo si trovò a portata di tiro, entrambi si batterono a lungo finché, all’improvviso, uno dei proiettili della San Ignacio de Loyola colpì la polveriera della nave inglese, facendola saltare in aria. L’effetto della tragica esplosione fu tale che dei trecentosettanta uomini dell’equipaggio solo diciotto riuscirono a salvarsi la vita.
Ciò nonostante, la tregua fu di breve durata. Verso mezzanotte, un’altra nave aprì il fuoco contro la San Ignacio de Loyola: la Russel, potente nave di linea di Sua Maestà, con tre ponti e novantadue cannoni, che si era unita alle fregate della Royal Family. Che cosa avranno pensato gli spagnoli, vedendo la situazione andare così di male in peggio? A questo punto, forse per molti di loro non faceva differenza affrontare due o quattro navi…
Sotto il fuoco delle fregate e della Russel, il capitano Mesía e i suoi uomini si difesero fino all’ultima palla di cannone. Quando queste si esaurirono, caricarono i loro cannoni con ogni tipo di materiale metallico che riuscirono a trovare. Alla fine non avevano più nulla con cui caricarli…
“Gloriosi” vivi, pronti a lottare e a resistere
A tal punto questa resistenza sembrava inverosimile che il Commodoro George Walker scrisse: «Mai gli spagnoli – in realtà, mai nessuno – hanno combattuto con una nave meglio di quello che hanno fatto costoro».5 Verso le sei del mattino, quando i primi raggi di sole illuminavano ciò che ancora rimaneva della San Ignacio de Loyola, gli inglesi entrarono nella nave e vi trovarono centotrenta feriti e trentatré morti. Il resto dell’equipaggio fu condotto sulle imbarcazioni inglesi, da dove ogni spagnolo poté contemplare meglio la sua nave devastata.
In quel tragico momento, sotto lo sguardo triste di coloro che tanto sangue vi avevano versato, la nave stessa parve prendere vita per dire loro le sue ultime parole: «Cosa state guardando, fratelli? Non preoccupatevi più di questi resti che presto saranno distrutti. La materia se ne va, ma la gloria ricade su coloro che hanno sofferto con me e hanno combattuto fino alla fine».
Difficile concepire una fine più gloriosa, pensavano i marinai. Rimarrà allora fissato per sempre il suo soprannome di Gloriosa? Probabilmente. Quel che è certo, però, è che da quel momento ognuno di loro diventò un vero Glorioso vivente, pronto a lottare e a resistere, con la speranza di cui ci parla l’Apostolo: «noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza» (Rm 5, 3-4). ◊
Note
1 Infatti, fin dagli inizi del XVIII secolo, i porti spagnoli erano un autentico «formicaio di agenti britannici pronti a informare il contrammiraglio Sir Chaloner Ogle, comandante in capo della flotta britannica delle Indie Occidentali, su qualsiasi minimo movimento delle navi spagnole» (PACHECO FERNÁNDEZ, Agustín. El “Glorioso”. 5.ed. Valladolid: Galland Books, 2021, p.93).
2 “6.412 rubbi di cocciniglia fine, 2.354 di campeggio, 64 di cocciniglia selvatica, 281.092 semi di vaniglia, 68 quintali di estratto di gialappa, 350 rubbi di zucchero, 24 di balsamo, 55 di cacao e 300 pelli di animali” (Idem, p.135).
3 Cfr. ROJO PINILLA, Jesús Ángel. Cuando éramos invencibles. 7.ed. Madrid: El Gran Capitán, 2017, p.147.
4 WALKER, George. The Voyages and Cruises of Commodore Walker. Londra: A. Millar, 1760, vol.II, p.216.
5 Idem, p.231.