Dal profano al sacro, gli strumenti musicali hanno contribuito a creare nelle azioni liturgiche un ambiente adeguato al momento di festa o di raccoglimento, preparando le anime all’incontro amoroso con Dio.
Quando la semplicità delle giornate feriali cede il passo agli splendori delle solennità liturgiche, i doni e i sensi dell’uomo si armonizzano in gesti di adorazione che permettono all’anima di penetrare nel divino e di manifestare, attraverso la melodia, il suo amore per il Creatore.
Le voci armoniose di un coro ben intonato, accompagnate dall’organo o da altri soavi strumenti, e a volte eseguite con alteri squilli di tromba, costituiscono una vera e propria orazione se destinate alla gloria di Dio.
Tuttavia, ascoltando la possanza della musica strumentale, i buoni cultori del canto piano ricorderanno – non senza nostalgia – la gravità monodica del gregoriano eseguito a cappella. L’austerità della sua linea melodica, governata da un ritmo senza battute, sembra molto più adatta a far sentire la grandezza e l’elevazione del Sacro Mistero.
Di fronte a questo paradosso, è opportuno chiedersi come gli strumenti si siano uniti al coro nella Liturgia, inaugurando così un nuovo genere di musica sacra. Qual è la loro funzione? Aiutano, realmente, ad avvicinare l’anima alle armonie celesti?
Gli strumenti musicali nella Chiesa primitiva
Gli strumenti musicali erano molto presenti nel culto ebraico e questo lo conferma l’Antico Testamento in passaggi come questo: “Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo, suonate la cetra con arte e acclamate” (Sal 33, 2-3).
La Sacra Scrittura attribuisce ad essi anche un effetto curativo ed esorcistico – furono gli accordi dell’arpa di Davide a liberare Saulo dallo spirito cattivo (cfr. 1 Sam 16, 16-23) – mentre la loro assenza era considerata un segno inequivocabile di disgrazie in procinto di abbattersi sul popolo eletto: “Farò cessare lo strepito delle tue canzoni e non si udrà più il suono delle tue cetre” (Ez 26, 13).
“Questa tradizione ebraica legata agli strumenti musicali non è però passata alla Chiesa primitiva; per lo meno gli scritti apostolici e quelli immediatamente successivi non fanno alcuna allusione ad essa”.1 Sebbene i cristiani non ignorassero questa usanza, la sua assimilazione nel culto divino fu respinta.
Alcuni autori sostengono che si evitò di usarli come misura di prudenza, per non attirare l’attenzione sui luoghi di culto in tempi di persecuzione. Tuttavia, il motivo principale per cui furono rifiutati sembra essere stato il loro uso nei culti idolatrici e nelle feste pagane: “Probabilmente furono banditi dal tempio per il loro carattere profano, sensuale e chiassoso”,2 dichiara Mons. Mario Righetti nella sua celebre Storia della Liturgia.
Clemente di Alessandria sosteneva che, per glorificare Dio, ai cristiani bastava uno strumento, la Parola, portatrice di pace.3 Si vedeva “nell’omofonia del canto sacro un’immagine e un parallelismo con l’armonia dell’Universo e delle sfere celesti”,4 mentre l’eterofonia tra il canto e gli strumenti era considerata contraria all’unità della comunità cristiana.
Si stabilì così nei primi tempi della Cristianità una separazione inconciliabile tra il canto sacro e le melodie strumentali. Forse questa dicotomia ha avuto origine da un soffio divino, che raffreddava gli impulsi squilibrati della musica profana per far nascere e far giungere al suo splendore il canto gregoriano, i cui neumi compongono melodie serene e piene di pace.
Soltanto l’organo fu degno di accompagnare le preghiere della Chiesa, a partire dal VII secolo,5 “perché era particolarmente adatto ai canti sacri e ai sacri riti, perché conferiva alle cerimonie della Chiesa un notevole splendore e una singolare magnificenza, perché muoveva l’anima dei fedeli con la gravità e la dolcezza del suo suono, perché riempiva la mente di una gioia quasi celeste, e perché elevava fortemente a Dio e alle cose celesti”.6
Due percorsi paralleli
Il solido impero stabilito dal gregoriano nella musica sacra si è visto minacciato, a partire dall’XI secolo, dall’ondata di trovatori che emerse in Europa, generando profondi cambiamenti nella mentalità umana.7
Non molto dopo, “la figura dei Santi si affievoliva di fronte ai combattimenti e il culto mariano lasciava il posto all'”amor cortese”. A poco a poco il latino fu abbandonato a favore della lingua vernacolare, accessibile a tutti. La poesia e la musica conquistarono una nuova popolarità, di cui il canto ecclesiastico latino fatalmente difettava”.8
Nati nella stessa culla delle canzoni profane, gli strumenti musicali si svilupparono e si perfezionarono, cullati da braccia mondane. Cominciarono a mettersi in evidenza nelle feste, rallegrando con le loro melodie la vanità sentimentale presente nei tornei e nei giochi popolari.
A maggior ragione, erano lontani dal poter suonare nei templi…
La polifonia sacra e gli oratori
Nel frattempo, la storia del canto sacro stava facendo il suo corso. Dalla monodia gregoriana si passò al contrappunto e alla diversità delle linee melodiche. Nel XVI secolo, bellezze ineffabili furono raggiunte da compositori come Tomás Luis de Victoria e Giovanni Pierluigi da Palestrina, il cui spirito profondo e raccolto salvò la polifonia sacra dalle esagerazioni a cui era esposta.
Fu sempre in quest’epoca che “alla voce dei cantori si aggiunse, oltre l’organo, il suono di altri strumenti musicali”.9 La severa separazione mantenuta per secoli cominciò a scemare. Nascono piccoli gruppi di strumenti, che, all’inizio, suonavano all’unisono con le voci e poco dopo cominciarono ad avere una parte propria nell’accompagnamento.10
Tuttavia, se il canto era penetrato a fondo nel cuore dell’uomo aiutandolo ad esprimere i suoi sentimenti religiosi, gli strumenti non erano ancora in grado di riflettere da soli i dinamismi dell’animo umano. “All’inizio, non parlavano un linguaggio, ma balbettavano imitazioni retoriche della musica vocale, sia di quella austera e pura della Chiesa che delle canzoni popolari gioiose e spensierate”.11
La presenza degli strumenti nella musica sacra aumentò quando iniziò l’epoca degli oratori. Heinrich Schütz (1585-1672), considerato un compositore di transizione tra la polifonia e gli oratori, seppe magistralmente unire alle voci di tutti le risorse orchestrali di cui disponeva, preannunciando l’apogeo del nuovo genere musicale, che si concretizzò con le ispirazioni di Georg Friedrich Händel (1685-1759).
Sebbene quest’ultimo non destinasse le sue opere al culto divino quanto, piuttosto, a presentazioni di carattere religioso in ambienti profani, non per questo possiamo non riconoscere in molte delle sue composizioni la genialità nel mettere in musica la Parola di Dio, che gli valse il titolo di “compositore delle Sacre Scritture”.12 Il suo capolavoro, il Messia, lo dimostra bene.
In cerca di un sapiente equilibrio
Considerato il fatto che già accompagnavano non solo la voce degli uomini, ma anche, negli oratori, la Parola di Dio, gli strumenti musicali gradualmente passarono dal teatro al tempio, guadagnando infine la cittadinanza nella Gerusalemme Celeste. A metà del XVIII secolo, Papa Benedetto XIV confermò che essi sostenevano il canto liturgico.13
Tuttavia, non tutto nell’arte musicale sacra procedeva in modo equilibrato poiché nel corso dell’Ottocento la musica orchestrale diede occasione ad abusi all’interno dei templi, facendo della chiesa una continuazione del teatro, compromettendo il carattere sobrio e tranquillo della preghiera liturgica e mettendo a repentaglio l’integrità del canto ecclesiastico.14
Ora, l’abuso non impedisce l’uso. Per porre rimedio a questo male, la giusta prudenza di San Pio X esortò a far sì che la scelta degli strumenti, soprattutto quelli a fiato, fosse limitata, giudiziosa e proporzionata all’ambiente; e che la composizione fosse fatta in modo grave, conveniente e simile in tutto a quelle dell’organo,15 poiché ci sono alcuni stili più adatti al culto sacro e altri meno. Inoltre, “siccome il canto deve sempre primeggiare, così l’organo o gli strumenti devono semplicemente sostenerlo e non mai opprimerlo”.16
Pio XII rafforzò la necessità di questo equilibrio insegnando che, “oltre l’organo vi sono altri strumenti che possono efficacemente venire in aiuto a raggiungere l’alto fine della musica sacra, purché non abbiano nulla di profano, di chiassoso, di rumoroso, cose disdicevoli al sacro rito e alla gravità del luogo”.17
La musica sacra post-conciliare
Il XX secolo è stato testimone di profondi cambiamenti nel campo della cultura e la musica sacra non ne è stata purtroppo immune.
Nel suo documento dedicato alla Liturgia, il Concilio Vaticano II ha ribadito l’ammissione di altri strumenti musicali, oltre all’organo, nel culto divino18 e ha incentivato anche il canto popolare religioso, “in modo che nei pii e sacri esercizi, come pure nelle stesse azioni liturgiche, secondo le norme stabilite dalle rubriche, possano risuonare le voci dei fedeli”.19 Ma salvaguarda l’integrità del gregoriano in quanto “canto proprio della Liturgia romana”.20
Non c’è quindi nessuna novità rispetto al Magistero precedente. Tuttavia, il panorama della musica sacra è cambiato radicalmente nel periodo post-conciliare: “Soprattutto nei primi vent’anni dalla riforma, abbiamo assistito a un’incorporazione sproporzionata di melodie dell’ambito profano, o meglio, dell’ambito religioso o catechetico al tempio. […] Il criterio che è prevalso non è stato altro che il fatto che si tratti di una melodia orecchiabile, ritmica, vivace, alla quale il popolo partecipa”.21
Analizzando sapientemente gli eccessi avvenuti in questo periodo, che ancora oggi contaminano in larga misura molte celebrazioni liturgiche, Benedetto XVI ricorda che nella musica sacra è sempre necessario preservare “il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio”.22
Questi criteri importanti, “da considerare attentamente anche oggi”, non contraddicono, ma rafforzano “il primato del canto gregoriano quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa”.23
Ricco, profondo e armonico atto di lode
Infine, lasciamo da parte le considerazioni sugli strumenti musicali nella storia degli uomini e passiamo ad esaminarli dal punto di vista del Creatore.
“La musica strumentale contribuisce, in modo eccezionalmente efficace, a creare l’ambiente adeguato al momento di festa o di raccoglimento”,24 commenta un autore contemporaneo. Essa fornisce all’anima lo stato adeguato per elevarsi a Dio, perché una grande orchestra che risuona in preghiera all’interno del tempio può ben simboleggiare l’anima della Chiesa che rende al Creatore un atto di lode ricco, profondo e armonioso.
In un organico musicale esistono strumenti a corda e a fiato. Tra questi, c’è ancora una differenza molto marcata tra legni e ottoni. E se l’armonia dell’insieme è sempre migliore delle parti, com’è bello, tuttavia, ascoltare ogni strumento separatamente, sentendo l’unicità dei timbri e delle risonanze che esprimono differenti stati d’animo.
Se un ispirato compositore si prodigasse a mettere in musica le gesta di Elia il profeta, impiegherebbe certamente la soave nobiltà dei legni per rendere il mormorio della brezza leggera che ha preceduto il suo incontro con Dio (cfr. 1 Re 19, 12-13). Se, al contrario, desiderasse mettere in musica il fuoco del Signore che divorò la legna, le pietre, la cenere, l’acqua e la vittima sull’altare del Monte Carmelo (cfr. 1 Re 18, 38), userebbe senza dubbio gli ottoni che suonano come manifestazione dell’implacabile giustizia divina. D’altra parte, solo gli strumenti a corda sarebbero in grado di esprimere la profondità dell’affetto reciproco tra Elia ed Eliseo quando il carro di fuoco rapì il maestro del discepolo (cfr. 2 Re 2, 11-12).
Tuttavia, quando Dio parla, solo l’organo è degno di accompagnarlo. Riunendo in sé la semplicità e la varietà, questo grandioso strumento forma un insieme equilibrato, sublime e perfetto dei più svariati suoni e timbri.
Linguaggio che tutti possono intendere
Così contemplata, la musica strumentale costituisce una forma di preghiera che tocca il profondo delle anime attraverso un linguaggio senza parole che tutti gli uomini sono in grado di comprendere.
“Purtroppo”, commenta Papa Benedetto XVI, “dopo gli eventi della Torre di Babele, le lingue ci separano, creano barriere. Ma in quest’ora abbiamo visto e sentito che c’è una parte intatta del mondo, anche dopo la torre e la superbia di Babele, ed è la musica: la lingua che possiamo capire tutti, perché tocca il cuore di noi tutti”.25
La glorificazione delle perfezioni divine attraverso la musica non è, pertanto, “solo una garanzia che la bontà e la bellezza della creazione di Dio non sono distrutte, ma che noi siamo chiamati e capaci di lavorare per il bene e per il bello, ed è anche una promessa che il mondo futuro verrà, che Dio vince, che la bellezza e la bontà vincono”.26 ◊
Note
1 RIGHETTI, Mario. Historia de la Liturgia. Madrid: BAC, 1955, vol.I, p.630.
2 Idem, ibidem.
3 Cfr. CLEMENTE DI ALESSANDRIA. Le Pédagogue. L.II, c.4, n.42, 3: SC 108, 93.
4 RIGHETTI, op. cit, p.631
5 Tradizionalmente si attribuisce a Papa San Vitaliano, il cui pontificato si estese dal 657 al 672, l’introduzione dell’organo nel culto liturgico.
6 PIO XII. Musicæ sacræ disciplina.
7 Cfr. DELLA CORTE, A.; PANNAIN, G. Historia de la música. De la Edad Media al siglo XVIII. Barcelona: Labor, 1950, t.I, p.143.
8 PAHLEN, Kurt. La grande aventure de la musique. Verviers: Gérard & Co, 1947, p.48.
9 PIO XII, op. cit.
10 Cfr. RIGHETTI, op. cit., p.631.
11 DELLA CORTE; PANNAIN, op. cit., p.579.
12 PAHLEN, op. cit., p.127.
13 Cfr. BENEDETTO XIV. Annus qui hunc, n.12.
14 Cfr. RIGHETTI, op.cit., p.631.
15 Cfr. SAN PIO X. Tra le sollecitudini, n.20.
16 Idem, n.16.
17 PIO XII, op. cit.
18 Cfr. CONCILIO VATICANO II. Sacrosanctum Concilium, n.120.
19 Idem, n.118.
20 Idem, n.116.
21 ALCALDE, Antonio. Canto e música litúrgica: reflexões e sugestões. 2.ed. São Paulo: Paulinas, 2000, pp.44-45.
22 BENEDETTO XVI. Lettera al Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra in occasione del centenario della sua fondazione, 13/5/2011.
23 Idem, ibidem.
24 DUCHESNEAU, Claude; VEUTHEY, Michel. Musique et Liturgie. Le document “Universa laus”. Paris: Du Cerf, 1988, p.90.
25 BENEDETTO XVI. Saluto alla fine del concerto in suo onore, nel Palazzo Pontificio di Castel Gandolfo, 2/8/2009.
26 Idem, ibidem.