Nel corso della Storia, l’umanità ha cercato di indagare sul destino dell’anima dopo la morte e, in questo cammino verso l’eternità, si è con frequenza interrogata sull’esistenza del Purgatorio. È vero che nelle Sacre Scritture non troveremo riferimenti espliciti alla parola Purgatorio, ma vale lo stesso per quanto riguarda la sua realtà essenziale? Una rapida lettura dei Santi Vangeli, per esempio, non metterà in discussione l’opinione di coloro che, adducendo la mancanza di prove bibliche, ne negano l’esistenza? Analizziamo queste questioni nel presente articolo.
Il destino eterno dell’anima
Dopo la morte esistono soltanto due destinazioni eterne: il Cielo e l’inferno. Alla prima ascende solo chi si mantiene saldo nella Fede, in una vita santa: «Chi persevererà sino alla fine sarà salvato» (Mt 10, 22). La perseveranza, tuttavia, non consiste nel non cadere, ma nel rialzarsi in caso di errore e nel progredire continuamente, amando, riverendo e servendo Dio, per meritare così la vita eterna.
Per questo la giustizia di Dio va di pari passo con la sua misericordia, come ci insegna San Paolo: «Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l’eredità. Servite a Cristo Signore. Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v’è parzialità per nessuno» (Col 3, 23-25).
Anche l’inferno, a sua volta, è eterno. Si tratta di una dottrina comune tra il popolo eletto, ribadita in molteplici occasioni da Nostro Signore Gesù Cristo: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. […] Poi dirà a quelli alla sua sinistra: ‘Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere’» (Mt 25, 31.41-42).
Un’evidenza logica del Purgatorio
Sappiamo che il peccato è una rottura con il piano divino per l’umanità, tanto nel senso universale quanto nel particolare. San Giovanni ci insegna la differenza tra il peccato mortale, che rompe le nostre relazioni con Dio, e il peccato veniale, che indebolisce il nostro amore: «Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s’intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte: c’è infatti un peccato che conduce alla morte; per questo dico di non pregare. Ogni iniquità è peccato, ma c’è il peccato che non conduce alla morte» (1 Gv 5, 16-17).
Considerando che ci sono solo due destinazioni eterne, il Cielo e l’inferno, e che alla beatitudine celeste sono ammessi soltanto coloro che sono completamente liberi dal peccato, sorge una domanda: cosa succede a quelli che muoiono in stato di peccato veniale? Il Cielo non ammette imperfezione alcuna, ma il peccato veniale non allontana l’anima da Dio al punto da farle meritare l’inferno. Come purificarsi in questo stato? Ecco la ragione dell’esistenza del Purgatorio.
Il ragionamento è chiaro, ma qual è il suo fondamento nelle Sacre Scritture?
La Bibbia descrive l’essenza del Purgatorio e la necessità della sua esistenza: purificare e ripulire le colpe veniali e le imperfezioni di chi è stato buono, ma non totalmente perfetto, secondo il comando del Signore: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48).
Preghiere e sacrifici espiatori per i morti
Il Secondo Libro dei Maccabei narra che, nel raccogliere i corpi di coloro che erano caduti in battaglia, i soldati ebrei trovarono sotto le tuniche dei morti oggetti consacrati agli idoli, una pratica vietata dalla Legge Mosaica. L’esercito del Signore si mise allora in preghiera, implorando che quel peccato fosse perdonato, e Giuda Maccabeo organizzò una colletta da inviare a Gerusalemme, affinché si offrissero sacrifici espiatori nel Tempio (cfr. 2 Mac 12, 39-46).
Quei combattenti deceduti lottavano nell’esercito del Dio Altissimo, il che fa supporre che non ci sia stata da parte loro una rottura formale con la vera Religione. Tuttavia, la loro colpa li aveva macchiati, al punto da diventare bersaglio del castigo divino (cfr. 2 Mac 12, 40).
Ispirato dallo Spirito Santo, l’autore sacro elogia l’atteggiamento di Giuda: «La sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2 Mac 12, 45). E da questa affermazione si evince che certi peccati possono essere rimessi dopo aver varcato la soglia dell’eternità, cosa che diventerà ancora più chiara nell’insegnamento del Divin Maestro.
«Finché non gli avesse restituito tutto il dovuto»…
Analizziamo innanzitutto la parabola del servo crudele che, subito dopo essere stato perdonato di un grosso debito, non dimostrò la stessa misericordia con il suo debitore, venendo per questo sottoposto ad un severo castigo (cfr. Mt 18, 23-35).
Nel dialogo finale, Nostro Signore Gesù Cristo rivela un dato importante sulla punizione che questo servo riceverà per le sue azioni: «Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: ‘Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?’ E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre Celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (Mt 18,32-35).
Nella sua divina sapienza, il Salvatore ha voluto introdurre il dettaglio «finché non gli avesse restituito tutto il dovuto», che ci permette di dedurre l’esistenza del Purgatorio. Sappiamo infatti che il Cielo e l’inferno sono eterni, ma la parabola ci rivela che, per misericordia divina, esiste uno stato di attesa per coloro che sono stati salvati e hanno bisogno di purificarsi prima di contemplare il volto del Dio tre volte Santo; un tempo di sofferenze ripagherà i “debiti” contratti su questa terra a causa dei propri peccati.
Un’altra affermazione del Divin Maestro ci conduce alla stessa certezza: «A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro» (Mt 12, 32). Pertanto, ci sono alcune colpe che possono essere perdonate nell’aldilà, e molte altre che non saranno cancellate nemmeno nell’eternità.
Le diverse classi di peccati, castighi diversi
In un altro passo dello stesso Evangelista, vediamo Nostro Signore sulla cima del monte che proclama le Beatitudini, che insegnano agli uomini di tutti i tempi il comportamento morale perfetto.
A un certo punto, il Maestro afferma: «Avete inteso che fu detto agli antichi: ‘Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio’. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo» (Mt 5, 21-26).
È degna di nota la distinzione fatta dal Divin Redentore sulla gravità delle colpe: imperfezioni, peccati lievi e peccati gravi. Questi ultimi conducono certamente all’inferno; gli altri no, ma in questo passo Nostro Signore sottolinea la necessità che l’anima si purifichi da essi prima di entrare nella Patria Celeste – «non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo» – come menzionato in precedenza
Colui che pecca si rivolta contro Dio, contro l’ordine che Egli ha stabilito nell’universo e contro la sua stessa coscienza.1 L’assoluzione sacramentale ricevuta nella Confessione perdona l’offesa commessa contro Dio e la conseguente pena eterna, ma non cancella alcune reminiscenze del peccato, come l’offesa contro l’ordine dell’universo e, nel caso biblico sopra citato, contro il prossimo e contro la propria coscienza, colpe che comportano una pena temporale. Una parte di questa pena può essere saldata in questa vita mediante le indulgenze, penitenze, preghiere o mortificazioni, ma ciò che di essa rimane deve essere purificato nelle fiamme del Purgatorio.
Nel giorno del giudizio, il fuoco metterà alla prova le nostre azioni.
Passiamo ora dall’insegnamento del Divin Maestro a quello degli Apostoli.
Uno dei passi più illuminanti sul Purgatorio si trova nella Prima Epistola ai Corinzi, in cui San Paolo spiega l’importanza della retta intenzione nell’apostolato e la necessità di restituire a Dio la gloria di tutte le nostre azioni, perché nulla di buono che facciamo proviene da noi stessi.
Rivolgendosi a persone che si dedicavano a predicare la buona novella, fa loro il seguente ammonimento: «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco» (1 Cor 3, 11-15).
San Paolo elenca innanzitutto materiali nobili come l’oro, l’argento e le pietre preziose, che simboleggiano le opere fatte per puro amore di Dio. Al contrario, il legno, il fieno e la paglia, rappresentano, secondo le parole dell’Apostolo, le opere di chi non ha posto il suo cuore esclusivamente sul Signore, che saranno consumate dal fuoco. Poiché non è un perfetto seguace di Cristo, è necessario che le opere di chi agisce in questo modo passino attraverso il fuoco, ma solo per un po’ di tempo, perché sarà comunque salvato…
E i meriti di Cristo?
I meriti di Nostro Signore Gesù Cristo sono infiniti e sufficienti a purificarci dai nostri peccati. Tuttavia, il rifiuto dei beni della Redenzione, manifestato con il peccato attuale, ci esclude dalle benedizioni divine, che sono recuperate solo mediante il Sacramento della Confessione, istituito dal Salvatore.
Nessuno contemplerà Dio faccia a faccia avendo nella propria anima una qualche macchia o imperfezione, per quanto piccola essa sia. Davanti al Tribunale Supremo – secondo le parole di San Giovanni – «se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi» (1 Gv 1, 8-10).
Insistiamo sul fatto che i meriti di Cristo sono infiniti, ma se, a causa del peccato, non li accettiamo, essi diventano il segno della nostra condanna. È necessario, quindi, il concorso dei nostri sacrifici, come afferma San Paolo: «Io completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1, 24).
Dalle Scritture al Magistero della Chiesa
Sulla base delle Sacre Scritture e della Tradizione Apostolica, i Concili e i Papi sono stati unanimi nell’affermare l’esistenza del Purgatorio.
Già nel XIII secolo, il Primo e il Secondo Concilio di Lione lo dichiararono così: «Con quel fuoco transitorio, infatti, vengono certamente purificati i peccati, non però quelli delittuosi o mortali che non sono stati perdonati prima mediante la penitenza, ma quelli piccoli e di poco conto che pesino ancora dopo la morte, anche se sono stati perdonati durante la vita»; [Coloro che] «siano morti in vera penitenza nella carità, prima di aver soddisfatto con frutti degni di penitenza ciò che hanno commesso o omesso di fare, la loro anima viene purificata dopo la morte, con pene purificatrici».2
Non meno categorico fu Papa Leone X nell’affermare l’esistenza del Purgatorio quando condannò le dottrine che Lutero stava diffondendo nella Cristianità. Nella sua Bolla Exsurge Domine, del 1520, il Sommo Pontefice condannò le seguenti affermazioni dell’eresiarca: «Il Purgatorio non può essere provato mediante la Sacra Scrittura contenuta nel canone»; «Le anime del Purgatorio non sono sicure della propria salvezza»; «Le anime del Purgatorio peccano continuamente ogni volta che cercano riposo e hanno orrore delle pene» …3
Il Concilio di Trento concluse nella sua professione di fede: «Sostengo con costanza che il Purgatorio esiste e che le anime lì imprigionate sono aiutate dai suffragi dei fedeli».4 E la Congregazione della Dottrina della Fede ha chiarito che questa purificazione precedente alla visione divina è totalmente diversa dal castigo dei condannati.5
Preghiamo per le anime del Purgatorio!
Tenendo presente quanto esposto in queste righe, convinciamoci che il Purgatorio esiste perché, se la misericordia di Dio così lo decreta, anche noi potremo andarci in un futuro incerto, e chissà non molto lontano…
Inoltre, è nelle nostre mani alleviare i nostri fratelli che soffrono in questo luogo di tormenti, offrendo per loro non solo il fervore delle nostre preghiere o sacrifici espiatori, come fece Giuda Maccabeo, ma l’olocausto dal valore infinito che si rinnova tutti i giorni sull’altare, la Santa Messa.
Che per i meriti del nostro Divin Salvatore, uniti a quelli del Cuore Immacolato di Maria, possiamo intercedere per le anime che ancora soffrono nel Purgatorio, conquistando per loro la chiave che aprirà le porte del Cielo! ◊
Note
1 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.87, a.1; SAN PAOLO VI. Indulgentiarum doctrina, n.2.
2 DH 838; 856.
3 DH 1487-1489.
4 DH 1867.
5 Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE. Lettera su alcune questioni concernenti l’Escatologia, n. 7.