Nel raccontare i suoi ricordi d’infanzia, il Dott. Plinio si compiaceva nel ricreare il clima di innocenza che circondava le celebrazioni natalizie dell’epoca, soprattutto nella sua casa, dove la pietà e l’affetto di Donna Lucilia le rivestivano di una gioia molto speciale.
Forse niente della mia infanzia mi manca tanto quanto la grazia del Natale. Ciò che di quell’età è rimasto di così meraviglioso nella mia memoria è rappresentato da questa festa. La gioia del Natale! Era intensa, calma, dolce, elevata, dava un senso di ordine ed equilibrio!
La gioia che precedeva le celebrazioni
Con l’avvicinarsi del Natale, tutto era avvolto da una sorta di pace e di raccoglimento. Era qualcosa che la mia anima sentiva, come un sussurro che veniva da molto in alto, più eloquente di tutti i discorsi, che mi invitava a non prestare attenzione ad altre cose. Mi sembrava che un principio di purezza, di limpidezza, di onestà, di bontà, di gentilezza e di candore scendesse sulla terra e cambiasse l’anima di tutti gli uomini: la malvagità umana si ritraeva e gli Angeli dispiegavano le loro ali. Avevo realmente l’impressione che scendessero sulla terra…
Già nei dieci o quindici giorni precedenti si stabiliva un’aspettativa e la gioia cominciava a scendere sulla piccola città di San Paolo, in Brasile, impregnando l’ambiente in ogni angolo. Per i bambini questo sentimento non era affatto teorico: si trattava allo stesso tempo dell’ansia per la venuta di Gesù Bambino, ma anche della prospettiva della festa del Natale, nei suoi aspetti umani e terreni. Questo faceva parte delle armonie e delle delicatezze d’animo che solo la Chiesa Cattolica è capace di trasmettere.
Preparando il Natale dei bambini
Donna Lucilia, mia madre, era il centro della famiglia quando si trattava di occuparsi dei piccoli, perché per questo possedeva un talento straordinario e aveva un grande affetto, la cui esuberanza soddisfaceva enormemente i bambini. Se avesse voluto, avrebbe gestito alla perfezione una scuola, in modo molto calmo, gentile e delicato.
Essendo mia madre l’animatrice del Natale, questa era in un certo senso la sua festa.
Approfittò di un’abitudine della sua epoca e del suo ambiente, ma allo stesso tempo si pose in reazione contro di essa. Eravamo in un periodo di speciale prosperità a San Paolo e le famiglie organizzavano grandi feste natalizie, facendo bei regali ai loro figli e preparando alberi di Natale con ogni sorta di decorazioni e innumerevoli prelibatezze. Nel contempo, tutto era finalizzato al godimento della vita per i bambini, e l’aspetto religioso, quando esisteva, era vago.
Mamma approfittava allora della festa dei bambini, ma vi aggiungeva una nota di pietà molto accentuata, in modo da darci l’idea della gioia buona, lecita, onesta e terrena, santificata dalla giustapposizione della sacralità.
Arrivavano a casa nostra, provenienti dai negozi, grandi scatoloni, che i più grandi ricevevano e “confiscavano” immediatamente, in modo che i bambini non potessero aprirli. Erano, naturalmente, regali e decorazioni per l’albero di Natale… Vedevamo anche le signore uscire segretamente e tornare cariche di pacchi. A volte ascoltavamo furtivamente qualcosa sui preparativi e iniziavamo le telefonate tra noi e i nostri cugini, raccontandoci le ultime novità.
La giornata del 24 dicembre spuntava in modo completamente diverso dalle altre. Già al mattino venivano distribuite alcune prelibatezze, lasciando però quelle più gustose per la sera. Si sentiva molto il profumo del pane al miele – Honigbrot, secondo l’espressione della Fräulein – che io mangiavo in quantità, con il burro.
Mamma comprava, alla periferia di San Paolo, un abete che fosse possibile sistemare nella stanza dei giochi e, aiutata dalla Fräulein Mathilde, lo decorava ogni anno con qualche novità: una stella molto grande e bella, un angelo di carta incollato in un cerchio dorato, blu o verde scuro. Tutti i tipi di decorazioni! Ai bambini era proibito entrare durante i preparativi e venivano dirottati in giardino, quando il tempo lo permetteva.
Verso le cinque o le sei del pomeriggio, il movimento per le strade cominciava a diminuire. Si accendevano tutte le luci delle case del quartiere, dando ad esse un aspetto più festoso e, a volte, le sale da cerimonia – che restavano abitualmente chiuse nei giorni comuni – avevano le finestre spalancate. Si vedevano alberi di Natale eretti qua e là.
La sera arrivavano a casa nostra tutti i cugini e le cugine, e allora ci si radunava in una sala intensamente illuminata. Eravamo una ventina di bambini che si rivolgevano l’un l’altro in modo più rispettoso ed elegante del solito, perché eravamo tutti vestiti con gli abiti della festa. Tuttavia, non prestavamo molta attenzione alla conversazione, perché sentivamo i bisbigli dei grandi, vedevamo scendere vassoi misteriosi e ci irritavamo perché volevamo sapere cosa stesse succedendo!
Finalmente, verso le nove, si presentava mia madre annunciando che la festa di Natale stava per iniziare.
“Stille Nacht, Heilige Nacht…”
Allora, ci tenevamo per mano e iniziavamo a intonare i canti di Natale, generalmente in tedesco – sotto l’influenza della nostra Fräulein e della governante dei nostri cugini, la cui lingua tutti parlavamo – soprattutto un canto che in italiano si traduce come Astro del ciel, ma il cui testo in tedesco dice quanto segue:
“Stille Nacht! heilige Nacht! Alles schläft; einsam wacht nur das traute hoch heilige Paar – Notte silenziosa! Notte Santa! Tutto dorme; è sveglia soltanto la Coppia rispettabile e altamente santa”.
Scendevamo per la grande scala di marmo portando la statua di Gesù Bambino con le braccia aperte, che ogni anno veniva adornata da mamma con un vestitino diverso. Facevamo un breve giro del giardino cantando e quando raggiungevamo la stanza dei giochi, la porta era ancora chiusa…
Finalmente aprivano e noi entravamo e trovavamo la stanza completamente trasformata! Per me, quella era una gioia enorme: l’albero di Natale, preparato alla tedesca, aveva sulla punta una stella dorata o argentata, con un angelo. Sui rami c’erano figurine di carta raffiguranti angeli e santi, candele accese, palline dorate, rosse, blu, argentate e verdi, con sfumature molto vivaci. Rimanevo incantato dall’abete e lo trovavo bellissimo, ma essendo desideroso di una perfezione maggiore, che non esisteva nelle cose terrene, vedevo l’albero di Natale come la figura di una pianta che sarebbe potuta esistere nel Paradiso Terrestre.
Mi sembrava che il fascino dell’albero fosse enormemente accresciuto dal fatto che avesse palle e bonbon appesi in mezzo alle decorazioni. Forse la mamma li metteva perché conosceva il mio inesauribile appetito. Ai quattro angoli della sala c’erano tavoli pieni di dolci e salatini, uno dei quali era riservato alle bevande a base di jabuticaba e di altra frutta, preparate in casa.
Senza smettere di cantare, formavamo un cerchio che ruotava intorno all’albero, ai piedi del quale c’era il presepe con statuine, figure di pastori e, naturalmente, l’asinello e il bue, che non potevano mancare. A due passi dall’abete c’era mia madre, incantata dall’innocenza infantile e sorridente ai bambini che arrivavano. Sembrava avere nel cuore un albero di Natale per ognuno di noi…
C’era una raccomandazione formale: continuare a tenersi per mano e non mangiare né bere nulla prima di aver pregato. Credo che fossi uno dei primi a mostrare segni di stanchezza a un certo punto, cosa che lei – conoscendo suo figlio come il palmo della sua mano – comprendeva bene e ordinava di interrompere il girotondo. Tuttavia, non faceva mai intendere che lo stava facendo a causa mia, per non darmi l’idea che stesse esaudendo tutti i miei desideri…
Pregando ai piedi del presepio
Cominciava la celebrazione vera e propria del Natale. Mamma si inginocchiava con tutti i bambini ai piedi del presepe, vi collocava il Bambino Gesù e recitava diverse preghiere piuttosto lunghe con grande dolcezza, pietà e serietà. Ho l’impressione che fosse lei a comporre le preghiere in quel momento, dedicandole al Bambino, alla Madonna e a San Giuseppe, e chiedendo queste o quelle grazie, preghiere che erano ripetute dai bambini.
Durante la celebrazione tutto l’ordine era mantenuto dalla semplice presenza della mamma, in un modo irreprensibile. Ma, nell’incertezza, le governanti vigilavano e non avrebbero fatto la minima cerimonia nel reprimere severamente il bambino che avesse disobbedito. Comunque, durante le preghiere solo la nostra Fräulein restava con noi. Era cattolica e si inginocchiava anche lei, ma l’altra era protestante e si allontanava per non prendere parte alle preghiere.
Quando mamma si alzava, noi ci tenevamo di nuovo per mano e facevamo il giro dell’abete per altre tre o quattro volte, cantando.
La cena di Natale
I bambini avevano un appetito feroce e io ero uno dei capitani della scorpacciata. Non ho molti dubbi sul fatto che io fossi generalmente il primo a mangiare, perché questo era il mio modo di essere e non eravamo in età di diete o penitenze…
In poco tempo tutti parlavamo, mangiavamo, e, naturalmente, giocavamo anche molto, alla maniera brasiliana.
Si può immaginare cosa fosse un gruppo di venti bambini messi insieme, che mangiavano e bevevano a volontà! Essendo molto amico dei colori, la mia attenzione si posava su alcune palle dorate o arancioni, che avevano la forma di piccoli anelli, numeri o animali, zuccherate all’esterno e contenenti all’interno liquori di vario tipo.
Mamma rimaneva in piedi, guardando tutto affettuosamente, ma mantenendo le cose in ordine, aiutata da Fräulein Mathilde e dall’altra governante. Da lontano si sentivano gli echi dei canti di altri bambini che festeggiavano il loro Natale. Non c’era quasi nessun rumore nelle strade, dato che le famiglie facevano festa all’interno delle case.
Tutto questo ci dava una felicità candida, pura e verginale che non era turbata da intemperanza alcuna. Nessun bambino faceva birichinate o monellerie, e tutti giocavano tra di loro con la più grande calma, entro quella pace che sembrava emanare dalle statuine del Bambino Gesù e della Madonna che si diffondeva per tutta la stanza. Questa gioia ci trasmetteva qualcosa che non so esprimere bene, ma che era l’idea che ci è stato dato un Bambino – “Puer natus est nobis” – e che un grande gaudio era disceso dal Cielo. Avevo la sensazione di vivere il Natale! Per me, era come se Gesù Bambino fosse nato realmente e stesse insieme a noi!
La nostra festa durava più o meno due ore. A un certo punto, sentivamo le campane delle chiese che cominciavano a rintoccare e gli adulti uscivano per assistere alla Messa del Gallo, alla quale i bambini a quel tempo non erano condotti. Eravamo in un periodo di fortissimo anticlericalismo da parte di alcuni settori e c’era il timore che si verificassero disordini durante la celebrazione.
Il Natale ci riservava ancora le delizie del riposo. Le lenzuola erano state cambiate quel giorno. Com’era bello il cuscino! Com’era morbido il materasso! Io dormivo cullato dal ricordo di Stille Nacht, con la soddisfazione dell’innocenza. Era concluso il Natale dei bambini? No! Il meglio stava per cominciare.
Ricevendo i regali di San Nicola
San Nicola era un Vescovo dell’Asia Minore che aveva un’attenzione particolare nei confronti dei bisognosi, specialmente delle famiglie che impoverivano a causa di affari andati male e di altre ragioni.
Questo prelato aveva l’abitudine di passare per le case dei poveri la vigilia di Natale, di lasciar cadere i regali attraverso le finestre e di andarsene via di corsa, senza essere notato. E si stabilì per questo la tradizione di affermare che in quella notte il santo e affabile Vescovo passasse per tutte le case del mondo e lasciasse giocattoli per i bambini mentre essi dormivano.
Noi credevamo in questa visita e io ero un entusiasta di San Nicola. Nel salutarci, mamma ci ricordava che sarebbe entrato in casa e ci avrebbe lasciato dei giocattoli. Naturalmente, ero molto eccitato e volevo sorprendere San Nicola mentre consegnava il regalo, ma lui era così abile, e io andavo a dormire con così tanto sonno, che questo non succedeva mai!
Tuttavia, verso le quattro o le cinque del mattino mi svegliavo per la curiosità, perché volevo sapere se San Nicola fosse già arrivato. E infatti, era passato… Ricordo l’impressione deliziosa che avevo quando mi giravo e improvvisamente sentivo il peso di una grande scatola. Pensavo: “Sarà che è passato San Nicola?”
In ogni caso, la mia reazione non era quella di buttarmi a capofitto sul regalo. Facevo il seguente ragionamento: “Non è meglio godersi questa attesa piuttosto che distruggerla ora e giocare tutto eccitato per poi non riuscire più a dormire? In questo modo continuo a sperare e approfitterò a tempo debito del piacere”.
Verso le sette o le otto, avevamo il miglior risveglio dell’anno! In nessun altro mattino – se non in caso di malattia – succedeva questo: mi svegliavo e trovavo mamma ai piedi del letto, che mi guardava e si deliziava del piacere che avrei avuto nel vedere il regalo. Nel corso della mia vita, non ho mai più contemplato uno sguardo simile. E lei non sapeva che, per me, la sua gioia era un regalo migliore del giocattolo!
Quando vedeva che ero completamente sveglio, allungava le braccia e diceva:
— Piccino mio!
E prima di aprire il regalo, mi gettavo tra le sue braccia, perché quella compenetrazione di anime aveva per me molto più valore.
La mia felicità cominciava con la carezza materna e, mentre la abbracciavo, continuavo a guardare quella scatola. Di lì a poco iniziava una delle più grandi gioie del Natale, che consisteva nello strappare i nastri, i lacci e gli spaghi, rompere la scatola se necessario, aprirla e vedere cosa aveva lasciato San Nicola. Non ricordo una sola volta in cui abbia portato meno di quanto gli avessi chiesto! Mi meravigliavo della coincidenza e pensavo: “Guarda un po’… Come San Nicola sa proprio tutto!”
I giorni 25 e 26: uno iato luminoso
Il 25 dicembre avveniva quello che chiamavano “il funerale degli ossi”: mangiavamo le prelibatezze e bevevamo gli ultimi ponches rimasti del giorno precedente, ma mettevamo da parte e conservavamo molti pacchetti di dolcetti non ancora aperti per darli ai bambini poveri il giorno del Capodanno, e ne venivano acquistati alcuni in più appositamente per loro.
La sera di quel giorno era uno iato luminoso, pieno di soavità, pace e dolcezza, e avevo l’impressione che tutto il cielo, con le sue stelle, fosse impregnato di miele e profumo… Mi sembrava che il suono delle campane arrivasse più lontano e che una gioia enorme circondasse tutta la città, avvolgendo anche i giardini oscuri e ricordando: “Cristo è nato! È nato a Betlemme”. Andavamo a dormire sotto quella brezza del Natale sacro, con il sonno pesante e delizioso della coscienza tranquilla. ◊
Tratto, con piccoli adattamenti, da:
Notas Autobiográficas, São Paulo: Retornarei,
2008, vol. I, pp.479-496.