Valeva la pena piangere!

C’è «un tempo per piangere», medita l’Ecclesiaste, e ci sono lacrime per ogni tempo, potremmo aggiungere. Le lacrime fanno parte della vita umana dopo il peccato originale e talvolta si rivestono di un carattere soprannaturale. Come?

Quanto sarebbe interessante se esistesse un libro intitolato La teologia del pianto, in cui si potesse studiare a fondo ciò che veramente c’è dietro le lacrime dell’uomo, espressione fisica dei sentimenti della sua anima.

In realtà, esistono tanti tipi di lacrime quante sono le diverse situazioni della vita! Nel corso della Storia, quanti pianti ci sono stati, ognuno con le sue sfumature, il suo simbolismo e i suoi misteri…

Lacrime per ogni tempo e per ogni luogo

C’è chi piange di dolore, di nostalgia, di odio, di paura. Ci sono occasioni in cui l’angoscia o la tristezza, la soddisfazione o la gioia estrema si trasformano in lacrime. Ci sono persino pianti che esprimono ideali realizzati o sogni che non si realizzeranno mai. E che dire delle lacrime di pentimento? Solo chi le ha versate all’ombra di una grande misericordia per un perdono concesso, sarà capace di descriverle! Ricordiamo, ad esempio, la mirabile scena di Maria Maddalena mentre lava i piedi del Divin Maestro con le sue lacrime (cfr. Lc 7, 38). Esistono, dunque, momenti nei quali è bello piangere!

Anche il Divin Maestro pianse durante la sua vita terrena, e Maria Santissima unì alle sofferenze del Salvatore le sue lacrime di Corredentrice del genere umano. Cosa potremmo considerare di più elevato?

L’Uomo-Dio pianse per la perdita del suo diletto Lazzaro (cfr. Gv 11, 35), un pianto in cui mantenne tutta la sua grandezza e, allo stesso tempo, espresse tutta l’emozione che Lo commuoveva. «Vedi come lo amava!» (Gv 11, 36), esclamarono i presenti stupiti di fronte a tale spettacolo di incomparabile sublimità: un Dio che piange la morte del suo amico.

A questo proposito, Mons. João commenta con particolare ispirazione: «Quanto il Signore, in questa occasione, si mostra umano senza smettere di essere divino, soprattutto versando, anch’Egli, le Sue preziosissime lacrime, santificando, in questo modo, le lacrime versate da tutti i cuori sofferenti per amore di Dio o pentiti delle loro colpe».1

In un altro episodio – e con un tenore diverso! – Gesù pianse per la durezza di cuore della Gerusalemme deicida (cfr. Lc 19, 41), lacrime forse di disillusione e di dolore, espressione di un amore totalmente non corrisposto…

Quali altri dettagli potremmo conoscere sull’adorabile pianto di Gesù? Sicuramente, se esistesse, questo libro sarebbe uno dei più belli mai scritti sulla terra e potrebbe intitolarsi: Anche Gesù ha pianto.

Uno sguardo attraverso la Storia Sacra

Dal pianto disperato di Agar quando nel deserto vide l’imminenza della morte (cfr. Gn 21, 16), fino alle lacrime degli anziani di Efeso quando salutarono per l’ultima volta l’Apostolo Paolo (cfr. At 20, 37), le Sacre Scritture ci offrono una vasta gamma di esempi da cui possiamo trarre preziosi insegnamenti.

Con le sue preziose lacrime, Nostro Signore ha santificato il pianto di tutti i cuori che soffrono per amore di Dio
“Cristo che porta la croce”, di Tiziano – Museo del Prado, Madrid

Meditiamo, ad esempio, sul valore di una preghiera bagnata da sincere lacrime di pietà, come quella recitata da Anna, la moglie di Elkana, che nella tristezza della sua sterilità implorò la grazia di avere una discendenza e fu esaudita, diventando la madre del profeta Samuele (cfr. 1 Sam 1, 10-20).

È così che comprendiamo il Salmo che esclama: «Il Signore ascolta la voce del mio pianto» (6, 9). Secondo Sant’Agostino,2 quelle lacrime sono il sangue del cuore, quella sofferenza profonda che non può essere ignorata da Dio e che Egli raccoglie in un otre, secondo la felice espressione del salmista (cfr. Sal 56, 9).

Quando è Dio a farti piangere…

Esiste un’altra categoria di pianto: quello che Dio stesso esige da certe anime, che nutre con «pane di lacrime» (Sal 80, 6). Consideriamo, ad esempio, l’enigmatica figura della figlia di Iefte (cfr. Gdc 11, 30-40). Condannata a morire nel fiore della gioventù a causa di una promessa del padre, chiede di andare prima sulle colline a piangere la sua morte, lamentando il fatto che non sarà l’antenata del Messia.

È l’olocausto dell’innocente, di cui il Signore Si compiace di dire: «Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo» (Sal 126, 5). Su di loro aleggia la promessa divina di una consolazione senza fine: se su questa terra è stato chiesto loro di soffrire, Dio «asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8) nell’eternità.

Ricordiamo anche uno dei pianti che più hanno segnato la Storia della Chiesa: quello dell’Apostolo San Pietro, il pianto di un traditore pentito… In quella fatidica notte in cui Nostro Signore Gesù Cristo fu imprigionato, il primo Papa negò di essere suo discepolo quando lo interrogarono nel cortile della guardia del sommo sacerdote (cfr. Mt 26, 69-74). La sua colpa si ripeté per tre volte, in un triste compimento della profezia che il Divin Maestro gli aveva fatto: «Prima che il gallo canti, Mi rinnegherai tre volte» (Mt 26, 34).

Tuttavia, quella terza negazione fu anche l’inizio di un lungo pianto, misto di pentimento e di perdono, che sarebbe durato fino alla fine dei suoi giorni. Infatti, per questa colpa, Pietro «uscito, pianse amaramente» (Lc 22, 62) fino alla sua morte. Secondo una venerabile tradizione, le lacrime che sgorgarono copiosamente dai suoi occhi segnarono il suo volto invecchiato con due profondi solchi, fondendosi in un atto di riparazione e di amore ininterrotto, e facendogli sentire il cuore purificato e più vicino al Signore che un tempo aveva rinnegato.

Un’obiezione e un pianto infruttuoso

Qualcuno, poco incline a manifestare emozioni, potrebbe obiettare che, essendo una persona di poche lacrime, non rientrerebbe in nessuna delle realtà enunciate in questo articolo. Niente di più sbagliato. Così come esistono sanguinamenti interni che possono far soffrire fino alla morte, così c’è un certo tipo di anima che, senza versare alcuna lacrima, può piangere anche più di chi ha con frequenza questa manifestazione esteriore di emozione.

Inoltre, quando si parla di lacrime, non bisogna confondere la quantità con la qualità, perché, se così fosse, ci sarebbe chi pretenderebbe i favori divini solo per aver riempito un contenitore considerevole con il suo pianto. È, piuttosto, quel «sangue del cuore» di chi soffre con rassegnazione e offre tutto a Dio, aspettando da Lui il momento della consolazione.

Infine, ci sono anche le lacrime infruttuose, che non portano a nulla, frutto dell’amor proprio piuttosto che dell’amore per Dio. Poiché esse sono molto comuni ai nostri giorni, lasciamo al lettore il compito di trarre le proprie conclusioni in merito…

La struggente storia di Giuseppe d’Egitto

Ma prima di concludere queste righe, invitiamo il lettore a soffermarsi più approfonditamente su un episodio toccante narrato nel Libro della Genesi, in cui si incrociano due pianti: la storia di Giuseppe d’Egitto (cfr. Gn 37-47).

Prediletto di Giacobbe tra i suoi dodici figli, Giuseppe fu vittima di un feroce odio fraterno, alimentato dall’invidia suscitata dalla sua eminente posizione. Infatti, oltre ad essere amato dal padre, Giuseppe dava segni di predestinazione divina e, con un gesto di estrema crudeltà, fu venduto come schiavo dai suoi fratelli, andando a finire nelle lontane terre d’Egitto.

Lì, esule e tra i pagani, Giuseppe visse un’autentica odissea. Guidato dalla mano di Dio, passò da schiavo a servo, da maggiordomo a di nuovo prigioniero, e da prigioniero ascese a primo ministro del regno, quasi un faraone. È una storia mozzafiato che supera di gran lunga qualsiasi fiction dei nostri giorni!

A un certo punto, la sua famiglia scese in Egitto in cerca di approvvigionamenti e lo trovò che esercitava la funzione di governatore. È interessante notare che questa costituì la fase più pericolosa per lui: quando tutto gli andava bene, Giuseppe avrebbe potuto dimenticarsi di suo padre e di quello che rappresentava, ossia, dell’alleanza che Dio aveva stretto con il suo popolo… Era stato fedele?

La risposta si trova nel racconto stesso dell’incontro, in cui lo scrittore sacro non manca di sottolineare un dettaglio: le lacrime di Giuseppe. Infatti, quando riconobbe i suoi fratelli, sta scritto che «diede in un grido di pianto e tutti gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone» (Gn 45,2). Si trattò, quindi, di uno di quei pianti voluminosi che non si possono reprimere, perché sgorgano dal profondo del cuore.

Cosa nascondeva il suo pianto? Lo scopriamo dalla domanda che pone subito dopo: «Vive ancora mio padre?» (Gn 45, 3). Ecco l’incertezza che lo affliggeva! Dopo tanti anni di sofferenza, quali prove passavano per il suo animo? Cosa significavano quelle lacrime di abbandono nel mezzo di ogni avversità che gli era capitata? La domanda non poteva essere altro che: «Mio padre mi ama ancora?».

Quando finalmente poté stringerlo tra le sue braccia, quante desolazioni furono consolate, quante incomprensioni risolte, quante angustie dimenticate! Come deve essere risultata chiara a Giuseppe la provvidenzialità di tutte le sue sofferenze!

Giacobbe, il padre che ama e piange

Vediamo, d’altra parte, che anche Giacobbe aveva pianto. E molto!

Per nascondere l’infamia del crimine, i figli gli avevano detto che Giuseppe era stato ucciso da una bestia. Ma Giacobbe non credeva alla morte del figlio, forse presentendo in lui un disegno altissimo che Dio desiderava realizzare. È quello che si deduce dalle sue parole quando racconta l’episodio della sua scomparsa: «E dissi: certo è stato sbranato! Da allora non l’ho più visto» (Gn 44, 28). Egli sapeva che solo se Giuseppe fosse stato divorato da una bestia, non sarebbe più tornato…

L’autore sacro ci lascia intravedere in questa espressione sui generis «e dissi» che Giacobbe cercava di convincersi della tragedia che si era abbattuta sul suo figlio prediletto, senza comprendere come si sarebbe compiuta la volontà di Dio a suo riguardo. Ed è facile intuire la profonda sofferenza che questa contraddizione gli procurava, le lacrime che versava ogni volta che se ne ricordava…

Come Giuseppe e Giacobbe che seppero confidare in Dio in mezzo al dolore e furono ascoltati, anche noi dobbiamo mettere il nostro pianto nelle mani della Madonna
Incontro di Giuseppe con suo padre Giacobbe – Battistero di San Giovanni, Firenze

Il pianto di Giacobbe, d’altro canto, alimentava la speranza di rivedere il figlio perduto, auspicando che, ovunque egli fosse, continuasse a essere fedele.

Due messaggi, uno stesso pianto

Abbiamo quindi due situazioni diverse. Le lacrime del padre, come se augurasse al figlio: «Persevera! Sii fedele!»; e le lacrime di Giuseppe, angosciato: «Non capisco niente, è tutto sbagliato, ma se mio padre mi ama ancora, tutto si sistemerà».

Giuseppe temeva l’oblio del padre più di tutte le disgrazie che gli capitavano, e Giacobbe temeva di aver perso il figlio e la promessa divina per sempre; ma poiché entrambi seppero confidare in Dio, dal loro pianto sorse una conferma nella speranza. Quando queste due tipologie di lacrime si incontrarono, purificate dalla sofferenza e dall’incomprensione, si trasformarono in un mare di consolazione: «Allora Giuseppe fece attaccare il suo carro e salì […] incontro a Israele, suo padre. Appena se lo vide davanti, gli si gettò al collo e pianse a lungo stretto al suo collo. Israele disse a Giuseppe: ‘Posso anche morire, questa volta, dopo aver visto la tua faccia, perché sei ancora vivo’» (Gn 46, 29-30).

È una scena bellissima questa, che la Scrittura riprende per lasciarci una lezione: piangere è normale, qualunque sia il motivo. Ma dobbiamo sopra-naturalizzare il nostro pianto, trasformare le nostre lacrime in preghiera, mettendole nelle mani della Provvidenza e confidando nel fatto che l’amore del Padre per noi è inestinguibile!

Così, quando ci assalgono angosce, malintesi, tristezze, abbandoni, incomprensioni, paure… consegniamo con fiducia il nostro pianto interiore o esteriore nelle mani di Maria Santissima. Con le nostre lacrime, Ella riempirà un calice sacro che, in un determinato momento, presenterà al Sacro Cuore di Gesù, ottenendo per noi grazie che non possiamo nemmeno immaginare. Solo allora capiremo che valeva la pena piangere! ◊

 

Note


1 CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. La resurrezione di Lazzaro. In: L’inedito sui Vangeli. Città del Vaticano-São Paulo: LEV; Lumen Sapientiæ, 2013, vol.I, p.244.

2 SANT’AGOSTINO. Confessionum. L.V, c.7, n.13. In: Obras Completas. 7.ed. Madrid: BAC, 1979, v.II, p.205.

 

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