Il buon maestro è colui che padroneggia in tal modo la materia insegnata che i suoi alunni sentono piena sicurezza e soddisfazione per le lezioni ricevute perché, più che avere la didattica, il vero docente deve vivere ciò che insegna.
Quanto è più ricca la lezione di un insegnante di Geografia che ha visitato molti luoghi e ha potuto verificare con l’esperienza ciò che nel momento della lezione condivide con gli studenti in classe, o quella di un insegnante di Lingua Portoghese che comunica in modo accessibile senza errori grammaticali e tratta opere letterarie famose con la stessa naturalezza con cui racconterebbe i fatti della propria vita?
Ebbene, esattamente cent’anni fa entrava nell’eternità un’anima che aveva ricevuto dal Divin Maestro un’eccellente formazione in campo soprannaturale, e ora la sua vita è un autentico modello per apprendere alla medesima scuola.
Nessuno insegna ciò che non sa
Josefa Menéndez y del Moral nacque a Madrid il 4 febbraio 1890 e concluse la sua carriera terrena a Poitiers, in Francia, il 29 dicembre 1923, quando aveva l’età perfetta, trentatré anni.
Pochi giorni prima della sua Prima Comunione, nel 1901, Josefa sentì una voce che le diceva: «Voglio che tu sia tutta mia».1 Questa prima chiamata divenne gradualmente più chiara, fino a quando entrò nella Società del Sacro Cuore nel 1919. Da quel momento in poi, Nostro Signore la costituì messaggera del suo amore per gli uomini.
«Perché il mondo conosca la mia bontà, ho bisogno di apostoli che mostrino il mio Cuore; ma, soprattutto, che Lo conoscano… Nessuno, infatti, può insegnare ciò che non sa», le confidò Gesù. Per questo per prima cosa la introdusse nella sua intimità, affinché lei, più tardi, fosse capace di trasmettere all’umanità i suoi divini desideri di perdono e misericordia.
La condizione per attirare Gesù
Va detto che Josefa era estremamente debole. Nonostante il fuoco della sua anima, spesso si lasciava abbattere e vacillava di fronte al cammino per lei designato. Questa era la croce che la Provvidenza le aveva concesso: la sua stessa debolezza. Ma fu proprio questa stessa fragilità ad attirare lo sguardo di Gesù: «Ho fissato la radice della tua piccolezza nella terra del mio Cuore», le disse un giorno.
D’altra parte, il Signore le disse anche: «Non cerco la grandezza né la santità». Certo! Essendo la fonte della virtù, non la cerca, ma la dà! La Sua predilezione per i più deboli si spiega, allora, con queste parole rivolte alla veggente: «Non ti amo per quello che sei, ma per quello che non sei, perché così ho dove collocare la mia grandezza e la mia bontà».
E qui troviamo il primo punto della formazione spirituale impartita a Suor Josefa: la necessità di prendere coscienza del proprio nulla. «Piccola è ancora qualcosa, e tu non sei niente», le disse il Salvatore nell’agosto del 1922. Questo requisito particolare le permise di ricevere altissime grazie, come quella concessale il giorno seguente: «Siccome non sei nulla, vieni… Entra nel mio Cuore… È facile per il nulla entrare in quest’abisso d’amore».
In nessun momento Josefa sentì un sospiro di impazienza da parte di Cristo. Al contrario, quando lamentava la sua insufficienza e il timore che aveva di essere infedele, sentiva risposte come questa: «Non aver paura! Sai già che quante più miserie troverò in te, tanto più amore troverai in Me».
Nei primi tempi di vita religiosa, Josefa si sentiva dispiaciuta per aver abbandonato l’ambiente famigliare. Pensava a sua madre2 e alle sue sorelle, sentendosi triste per loro, senza contare abbastanza su Dio… All’improvviso, Gesù le Si presentò con il Cuore in fiamme e pieno di maestà. Rimproverandola, la ammonì: «Da sola, cosa potresti fare per loro? Fissa qui il tuo sguardo».
Così ella imparò che per vincere la sua insufficienza avrebbe dovuto tenere gli occhi sempre puntati sul suo ideale.
Dare la propria piccolezza a Gesù
Un altro aspetto importante della vita spirituale della Venerabile consiste nella consegna della propria insignificanza. A prima vista sembra una cosa semplice, ma quanto è duro per l’orgogliosa natura umana! Questa consegna può essere effettuata solo per mezzo di tre virtù: l’abbandono, la fiducia e l’amore.
L’abbandono fu, per così dire, il motto dell’esistenza di Suor Josefa. Quante volte il Sacro Cuore la istruì su questa via: «Non ho bisogno delle tue forze, Io voglio solo il tuo abbandono»; «Io sopperisco a ciò che ti manca: lascia che sia Io, lascia che sia Io, che Io agisca in te».
Fiducia era il grido costante che il Redentore rivolgeva all’umanità attraverso la sua messaggera: «Che le anime vengano a Me!… Che le anime non abbiano paura di Me!… Che le anime abbiano fiducia in Me!». L’errore più grande che un peccatore commette, infatti, è perdere la fiducia in quest’oceano di misericordia quando si rende conto della propria miseria. Il Maestro se ne lamenta con parole toccanti: «Non è il peccato che ferisce di più il mio Cuore… Ciò che Lo lacera di più è che non vengano a rifugiarvisi dopo averlo commesso».
D’amore ha sete il Buon Dio e solo i suoi figli possono saziarlo, come dimostrò una notte in cui apparve a Josefa come un povero dall’aspetto triste e supplichevole.3 Mistero dell’iniquità! È il caso di chiederci con San Bernardo: «Come possiamo non amare Colui che è essenzialmente Amore?»4 E Gesù ci risponde, attraverso la sua veggente: «Amare il mio Cuore non è né difficile né duro; è facile e soave»…
Anche ricevendo le pugnalate dell’ingratitudine, Nostro Signore comprende l’indigenza umana, come spiegò una volta alla sua confidente: «Nel mezzo della sua grande miseria, un’anima può essere folle per Me… Ma comprendi bene, Josefa, che non Mi riferisco alle colpe preannunciate e premeditate, ma a quelle commesse per fragilità e inavvertenza».
Corrispondere alle fiamme di questa fornace di carità fu un obiettivo costante nella vita della religiosa spagnola, che cercava di saziare al massimo i desideri del Divin Cuore: «L’unica cosa che voglio è amore. Amore docile, che si lascia condurre da Colui che ama… Amore disinteressato, che non cerca né i propri gusti né i propri interessi, ma quelli del suo Amato… Amore zelante, ardente, divoratore, che supera tutti gli ostacoli che l’amor proprio gli presenta; questo è il vero amore, quello che allontana tante anime dall’abisso di perdizione in cui si precipitano».
La vittoria del perdono
Un altro punto indispensabile nella formazione di Suor Josefa Menéndez fu riconoscere la necessità del perdono. Questo dono non solo reca beneficio a chi lo riceve, ma soprattutto porta un’enorme consolazione a chi lo dà! «Attendo sempre con amore… Non scoraggiatevi! Venite! Gettatevi tra le mie braccia senza timore! Sono vostro Padre!», esclamava il Signore.
Josefa sentiva frequentemente il peso della sua infedeltà alla chiamata divina, cosa che a volte le provocava una ripugnanza incontrollabile; ma non esitava a chiedere indulgenza e alla fine imparò che «non è più felice chi non ha mai avuto bisogno di perdono, ma colui che ha dovuto umiliarsi molte volte».
Alla fine, si realizzò in lei esattamente ciò che il Salvatore dichiarò: «Perdonando te stessa, conosceranno la mia misericordia», visto che «i tuoi peccati non saranno mai più grandi della mia misericordia, che è infinita!».
Il potere dell’amore ingrandisce le azioni più piccole
Col passare del tempo, Nostro Signore instillò nell’anima di Josefa il desiderio di salvare anime e di riparare i peccati commessi contro il suo Cuore Divino.
Il 3 maggio 1922 – data in cui si celebrava l’attuale festa dell’Esaltazione della Santa Croce – la religiosa sentì un grande desiderio di baciare le piaghe del Crocifisso. Pochi istanti dopo, Egli le apparve per esaudire il suo desiderio. Alla fine, con sommo affetto, le disse: «Vedi che non ti nego nessuna consolazione. E tu Me ne negherai qualcuna?».
Queste consolazioni erano in realtà l’offerta all’Eterno Padre di ogni atto – grande o insignificante – in unione con il Sangue di Gesù Cristo, per riparare così all’ingratitudine del mondo. Egli la addestrò in questa pratica: «Nulla di ciò che si fa per amore è piccolo… perché la forza stessa dell’amore lo rende grande».
Alla stessa scuola la educarono anche altre manifestazioni celesti, come la visione della fondatrice della Società del Sacro Cuore, Santa Maddalena Sofia Barat, che le spiegò: nel ricevere le grazie, era la veggente a riposare in Gesù; quando, invece, il Salvatore la affliggeva con le sofferenze, era Lui a riposare nella religiosa. In questo modo, avrebbe potuto consolarLo nelle circostanze più diverse.
Toccante in questo senso è un fatto verificatosi durante la malattia che avrebbe portato Josefa alla morte. Alcuni gemiti le sfuggivano involontariamente. Impaurita, chiese a Nostro Signore:
— Questi lamenti Ti offendono?
— No. So cosa stai soffrendo e il tuo dolore è come se fosse mio… La tua sofferenza cade sul mio Cuore come un balsamo prezioso per cicatrizzare le mie ferite.
Mano nella mano…
Per ultimo, ma non meno importante, un fattore decisivo per la perseveranza e la fedeltà di Suor Josefa alla chiamata del Cuore di Gesù fu la sua profonda devozione alla Madonna. Senza la Stella del Mare, la religiosa non sarebbe mai stata capace di compiere la sua missione.
Cristo stesso lo disse con tenerezza: «Cominci la mia opera mano nella mano con mia Madre. Questo non ti dà coraggio?». Tali parole la riempirono di gioia, perché era pienamente convinta dell’amore di Maria. «Sì, mio Gesù», rispose, «questo mi dà molto coraggio e grande fiducia».
Hai freddo? Allora avvicinati al fuoco!
Sfogliando le pagine del suo libro Invito all’Amore, è impossibile rimanere insensibili dinanzi ai torrenti di affetto immeritato che cadono su di noi ogni secondo! Frasi come «Non mi stancherò mai di te» o «Io sono tuo Padre e ho [gli occhi] aperti per condurti e guidarti», pronunciate da Nostro Signore Gesù Cristo, commuovono anche i cuori più duri. Come può la malvagità umana arrivare a un estremo così satanico da rifiutare o dubitare di questo amore?
Nella Settimana Santa del 1923 – l’ultima di Suor Josefa su questa terra d’esilio – il Redentore le rivelò in una visione alcuni particolari dei misteri della sua Passione, come quello della Lavanda dei Piedi, alla quale era presente anche Giuda, il traditore: «In quel momento ho voluto insegnare ai peccatori che non devono allontanarsi da Me perché sono in peccato, pensando di non aver più alcun rimedio e che non saranno mai amati come prima di peccare. […]Non sono questi i sentimenti di un Dio che ha versato tutto il suo Sangue per voi…». E a proposito dell’istituzione della Sacra Eucaristia, dichiarò anche: «Non sono rimasto tra gli uomini per vivere soltanto con i perfetti, ma per sostenere i deboli e nutrire i piccoli».
Sbaglia di grosso chi, alla vista del sudiciume che ha dentro di sé, si allontana dall’unica Persona che lo può purificare. La stoltezza di un simile atteggiamento è maggiore di quella di chi, tremando di freddo, si allontanasse dal fuoco. Al contrario: se il corpo è congelato, si avvicini alle fiamme per riscaldarsi!
Alla scuola del Cuore di Gesù
«Se le mie anime elette vivono unite a Me e Mi conoscono veramente, quanto bene potranno fare a tante altre che vivono lontane da Me e non Mi conoscono!», affermò Gesù il 12 dicembre, data in cui Josefa fece la sua professione religiosa in articulo mortis.
Percorrendo in queste righe, i pochi anni di esistenza della mistica spagnola, abbiamo seguito la storia di una persona che ha conosciuto il Sacro Cuore accettando il suo amore, in esso è stata plasmata e, per così dire, da lui è stata dominata perché fosse trasmesso al mondo. Alla fine di questo cammino, che le è costato tanto sangue, ha raggiunto il grado di perfezione a cui era chiamata, non per i suoi meriti, ma in virtù della carità del Buon Gesù.
Il Cuore del Salvatore batte anche per noi, è stato trafitto per noi, si infiamma d’amore per noi… Riconosciamo la nostra miseria, consegniamola a Lui, chiediamo il Suo perdono – sempre sotto il manto della Vergine Santissima – per poterci unire in questo modo a Lui e consolarLo!
Che un giorno possiamo sentire dalle sue auguste e dolci labbra la stessa frase che rivolse a Josefa: «La tua piccolezza ha lasciato il posto alla mia grandezza… La tua miseria e anche i tuoi peccati, alla mia misericordia… E la tua fiducia, al mio amore e alla mia bontà». ◊
Note
1 I dati biografici e le citazioni testuali del messaggio che il Sacro Cuore di Gesù affidò a Suor Josefa Menéndez sono stati tratti dall’opera: MENÉNDEZ, RSCJ, Josefa. Un llamamiento al amor. 7.ed. Madrid: Religiosas del Sagrado Corazón, 1998.
2 Il padre di Josefa, Leonardo Menéndez, era già morto quando Josefa entrò nella vita religiosa.
3 A questo proposito, si vedano due episodi in cui il Cuore di Gesù appare alla veggente – secondo le sue parole – come «un povero affamato» che le chiede di soddisfare la sua fame di anime: cfr. MENÉNDEZ, op. cit.
4 Cfr. SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE. Sobre el Cantar de los Cantares. Sermón LXXXIII, n.5. In: Obras Completas. Barcelona: Rafael Casulleras, 1925, vol. III, p.709.