Al di là della morte, al di là dei cieli

Per quanto si voglia sfuggire all’implacabile realtà della morte, nell’uomo c’è la profonda certezza che tutti prima o poi dobbiamo morire. Questa convinzione è così radicata nell’essenza della natura umana che può essere paragonata all’evidenza dei principi primi o al fatto che due più due fa quattro. In molti cimiteri si legge la famosa esortazione del defunto ai vivi: «Io sono stato ciò che tu sei, tu sarai ciò che io sono».

Il mondo contemporaneo, tuttavia, vive non solo come se Dio non esistesse, ma anche come se l’ora della morte non dovesse arrivare mai. Piuttosto, una delle ragioni per vivere come atei consiste proprio nella negazione della vita ultraterrena. Se Dio non esiste, tutto è permesso e nulla verrà addebitato…

Per fare questo, l’uomo cerca di sovvertire lo scopo della sua esistenza in modo da confinarla nel mantra degli appetiti, delle ricchezze, degli onori, del “fare ciò che piace”… La vita, però, impone sempre sfide inesorabili, difficoltà, croci, che ci invitano a cambiare condotta e a riporre la nostra fiducia nel Signore: «Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia speranza» (Sal 62, 6). Non c’è pace se non quella che scende dall’alto e non c’è vera speranza se non quella che conduce alla beatitudine eterna.

Ebbene, dove non c’è speranza, c’è letteralmente la disperazione, proprio perché l’uomo quando si rende conto della sua contingenza di fronte all’impossibile – cioè, la felicità su questa terra – finisce per ribellarsi all’ordine delle cose e a se stesso. In effetti, nella Storia dell’umanità non ci sono mai stati così tanti disturbi psicologici come ora…

Paradossalmente, l’epoca in cui il maggior numero di persone fugge dalla morte è anche quella in cui si registra il maggior numero di omicidi, aborti e suicidi. Inoltre, il secolo scorso è stato quello che ha mietuto più vittime nelle guerre. Se l’esistenza terrena non ha più molto senso, che si dirà della vita eterna?

Esistono posizioni più stoiche, come quella che afferma che la vita è solo un passaggio e la morte è un viaggio senza ritorno. Tali opinioni, però, si rivelano incomplete.

Secondo alcuni autori di spiritualità, la vita virtuosa su questa terra è già rivestita di Cielo, ossia, è separata dalla beatitudine solamente da un interstizio, la morte. Dopo di che inizia un nuovo viaggio, ma non prima di aver attraversato una “dogana” chiamata giudizio particolare. Lì viene controllato il passaporto del viaggio terreno per verificare se il viaggiatore è idoneo a intraprendere il più straordinario di tutti i viaggi: quello che permette di visitare le pulcritudini di Dio stesso. Se, al contrario, il visto viene negato, al viaggiatore non resta che esplorare i tuguri dei baratri eterni…

Tutto sembrerebbe concluso. Invece, anche se nella gloria, l’anima rimane in uno stato di violenza, desiderosa di riprendere il corpo di cui è forma. E questo accadrà effettivamente nella resurrezione finale e nel Giudizio Universale, quando Nostro Signore tornerà per giudicare i vivi e i morti. I buoni saranno allora assunti in un luogo «al di sopra di tutti i cieli» (Ef 4, 10), il Cielo Empireo, dove vivranno per sempre con Cristo, nella Sua gloria. 

 

Sentiero nel bosco

 

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