Chi predicando non si cura di condurre gli uomini a una più piena cognizione di Dio e sulla via dell’eterna salute, potrà essere definito un vano declamatore, non un predicatore evangelico. Potrà ottenere il plauso degli stolti, ma non sfuggirà al severissimo giudizio di Cristo.

 

Gesù Cristo, morendo sull’altare della Croce, compì la redenzione del genere umano, e volendo indurre gli uomini, mercé l’osservanza dei suoi comandamenti, a guadagnarsi la vita eterna, non ricorse ad altro mezzo che alla voce dei suoi predicatori, affidando loro il compito di annunziare al mondo le cose necessarie a credere o ad operare per la salute. “Piacque a Dio di salvare i credenti per mezzo della stoltezza della predicazione” (1 Cor 1, 21).

Scelse quindi gli Apostoli, ed avendo loro infusi con lo Spirito Santo i doni appropriati a sì alto ufficio: “Andate — disse — per tutto il mondo e predicate il Vangelo” (Mc 16, 15). Ed è questa predicazione appunto che rinnovò la faccia della terra. Poiché se la Fede cristiana convertì le menti degli uomini da molteplici errori alla conoscenza della verità, e le anime loro dall’indegnità dei vizi alla eccellenza di ogni virtù, non per altra via le convertì se non per la via della predicazione: “la Fede dall’udito, l’udito poi per la parola di Cristo” (Rm 10, 17).

La Parola di Dio avrà perso la sua efficacia?

Infatti, poiché per divina disposizione le cose si conservano per quelle medesime cause che le hanno generate, così è manifesto essere legge divina che l’opera dell’eterna salute si continui mediante la predicazione della cristiana sapienza; a buon diritto venir questa annoverata tra le cose di suprema importanza, e meritare perciò tutte le nostre cure e sollecitudini, massime se ci fosse ragion di credere che, essa fosse in qualche modo venuta meno alla sua originale autenticità, perdendo perciò in efficacia. […]

Forse che la parola di Dio non è più quella che l’Apostolo chiamava viva ed efficace e penetrante più d’una spada a due tagli (cfr. Eb 4, 12)? Forse col tempo e coll’uso la spada s’è spuntata? Certo è colpa dei ministri, che non sanno maneggiarla, se essa perde spesso della sua forza. Né davvero si può dire che gli Apostoli incontrassero tempi migliori dei nostri, come se allora il mondo fosse più docile al Vangelo o meno riottoso alla legge di Dio. […]

Che cosa i predicatori, nell’adempiere al loro ufficio, abbiano d’avere innanzi agli occhi; si rileva da questo: essi possono e debbono dire di sé quanto scrisse San Paolo: “Noi siamo ambasciatori di Cristo” (2 Cor 5, 20). Se dunque sono ambasciatori di Cristo, nel compiere la loro ambasceria debbono volere quello stesso che Cristo intese nel darla loro; anzi, quello che Egli stesso si propose, mentre visse sulla terra. Giacché gli Apostoli, e dopo gli Apostoli i predicatori, non ebbero missione diversa da quella di Cristo: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Gv 20, 21).

Hanno cercato il plauso degli stolti, troveranno il giudizio di Cristo

E noi conosciamo il motivo per cui Cristo discese dal cielo, avendo Egli apertamente dichiarato: “Io sono venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18, 37); “Io sono venuto perché abbiano la vita” (Gv 10, 10). Pertanto, coloro che esercitano la sacra predicazione debbono mirare all’una e all’altra cosa, cioè a diffondere la verità da Dio rivelata e a destare, ad alimentare la vita soprannaturale in coloro che li ascoltano; in una parola, a promuovere la gloria di Dio, adoperandosi per la salute delle anime.

Quindi, come a torto si direbbe medico chi non eserciti la medicina, o maestro di un’arte qualsiasi chi quell’arte non insegni, così chi predicando non si cura di condurre gli uomini a una più piena cognizione di Dio e sulla via dell’eterna salute, potrà essere definito un vano declamatore, non un predicatore evangelico. […]

E poiché tra le cose rivelate da Dio ve ne sono alcune che spaventano la debolezza della corrotta natura umana, e perciò non sono adatte ad attirare le folle, di esse cautamente non parlano, e trattano argomenti nei quali, salvo la natura del luogo, niente vi è di sacro. E non di rado avviene che, nel trattare di verità eterne, scendono alla politica, specialmente se qualche cosa di questo genere appassiona fortemente gli animi degli uditori.

Questa soltanto sembra essere la loro preoccupazione: piacere agli uditori e assecondare coloro che, secondo San Paolo, “hanno il prurito agli orecchi” (2 Tim 4, 3). Da qui quel gesto non pacato e grave, ma da scena e da comizio; da qui quelle patetiche modulazioni di voce o le tragiche impetuosità; da qui quel modo di parlare proprio dei giornali; da qui quell’abbondanza di citazioni attinte da scrittori empi e acattolici, non dalle Sacre Scritture o dai Santi Padri; da qui, infine, quella vertiginosità di parola che si riscontra nella maggioranza di loro e che serve ad ottundere le orecchie e a far stupire gli uditori, ma non fornisce ad essi niente di buono da riportare a casa.

È davvero incredibile di quale inganno siano vittime tali predicatori. Conseguano pure il plauso degli stolti, che essi cercano con tanta fatica e non senza profanazione; ma ne vale la pena, quando con ciò essi vanno incontro al biasimo di tutti i saggi e, quel ch’è peggio, al tremendo, severissimo giudizio di Cristo? […]

Non è possibile servire Dio e Belial

Ma, per tornare a Paolo, se cerchiamo di conoscere di quali argomenti era solito trattare nella sua predicazione, egli li riassume in questa espressione: “Io infatti ritenni di non sapere altra cosa, in mezzo a voi, se non Gesù, e questi crocifisso” (1 Cor 2, 2). Egli si adoperò con tutto il fervore dell’anima di apostolo affinché gli uomini conoscessero sempre meglio Gesù Cristo, e lo conoscessero non tanto per le cose che dovevano credere quanto per quelle che dovevano vivere.

Quindi predicava tutti i dogmi e i precetti di Cristo, anche i più severi, senza alcuna reticenza o addolcimento: parlava dell’umiltà, dell’abnegazione di sé, della castità, del disprezzo delle cose terrene, del perdono da concedere ai nemici, e di altri argomenti simili.

Né aveva paura di proclamare che occorre scegliere fra Dio e Belial, in quanto non è possibile servire ad ambedue; che tutti, appena escono da questa vita, debbono sostenere un tremendo giudizio; che con Dio non sono possibili transazioni; che si può sperare nella vita eterna se si osserva tutta la legge; oppure dovrà temere il fuoco eterno colui che, per soddisfare le passioni, avrà trascurato il proprio dovere.

Né mai il “Predicatore della verità” ritenne di doversi astenere da questi argomenti per il motivo che — data la corruzione dei tempi — potessero apparire troppo duri a coloro ai quali parlava.

Risulta chiaro, dunque, quanto debbano disapprovarsi quei predicatori che, per non recare fastidio agli ascoltatori, non osano toccare certi argomenti della dottrina cristiana. Forse che il medico darà rimedi inutili al malato se questi rifiuta quelli utili? D’altra parte, proprio qui verranno dimostrate la virtù e l’abilità dell’oratore, se egli riuscirà a rendere gradite le cose spiacevoli. 

Estratto da: BENEDETTO XV.
Humani generis redemptionem, 15/6/1917

 

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