Per essere cattolici è necessario essere eroi. Ma, quante volte, per essere eroi, bisogna essere cattolici.
Il primo principio è evidente a ogni cattolico fin dalle prime battaglie spirituali. Per dimostrare il secondo, rimandiamo ad alcuni fatti accaduti nei primi mesi della Guerra Mondiale del 1914-1918.1
La chiesa in rovina…
La sciabola del colonnello, con un colpo secco e rapido, squarcia la nebbia mattutina, ancora tinta dal sole che sorge su un campo devastato, cimitero di uomini e costruzioni. Il plotone ferma la marcia al comando muto che risplende sulla lama dell’ufficiale.
— Un prete di buona volontà! – chiede il comandante.
Don Duroy esce dal blocco:
— Presente!
A sinistra del complesso, una chiesa era rimasta in piedi anche dopo i bombardamenti incessanti del giorno precedente. Il reggimento francese e il tempio erano, su quel campo di battaglia del 1914, gli unici sopravvissuti all’artiglieria tedesca.
Di nuovo si alza la voce dell’ufficiale tra le rovine:
Chi vuole assistere alla Messa?
Tutte le braccia si alzano. Le anime si mobilitano.
All’improvviso, un boato! Alcune granate cadono a poca distanza. Le schegge mietono tre vite e lasciano nove feriti. È il segnale per il Santo Sacrificio. Il reggimento invade la chiesa.
La Messa ha inizio, l’armonium risuona e i canti si levano. Il tempio trema. Non solo per le voci dei milleduecento soldati già battezzati, non solo per le acque rigeneratrici, ma per il fuoco della vigilia e per i proiettili che cadono a distanza sempre minore. Ma la fanteria non trema: ieri hanno affrontato la morte, oggi sono di fronte alla Vita; e la Vita sussurra alle loro anime grida più imperiose dei grugniti spaventosi della morte che ritorna.
La voce del predicatore risuona nel santuario. Il cannone prussiano, inconsapevolmente, la rispetta e cessa i suoi colpi per un momento:
— Dio, che ci chiede di soffrire e morire, ci dà con la prova, e più forte di essa, la gioia sovrumana di essere stati scelti per essere eroi. Andate dunque incontro alla morte per la Francia con una preghiera sulle labbra e con la fede nel cuore. Cadere per la patria non è morire; è prendere d’assalto la vita eterna!
Terminata la predica, le note del Credo risuonano potenti nelle volte. E il tempio trema di nuovo: anche le bombe nemiche cantano. La Messa continua con solennità… La truppa si comunica e eleva al Cielo, come incenso mescolato alla polvere da sparo, le sue azioni di grazie.
Infine, il sacerdote-soldato traccia il segno della croce nell’aria e pronuncia la benedizione. All’interno delle sacre mura, continuamente scosse, si sente ora il tintinnio delle baionette che coronano i fucili. L’esercito si prepara nel suo nuovo quartier generale.
…e il Santissimo in pericolo
Ma tutto si ferma improvvisamente. Una tempesta di ferro si abbatte sulle volte che vacillano, si sgretolano, crollano. Tutti corrono fuori. Solo Don Duroy, ancora con la casula sopra l’uniforme, rimane nel sacro edificio. Un luogotenente gli indica il pericolo che incombe sulla sua testa:
— No! – esclama il sacerdote indicando il tabernacolo – Il mio dovere è salvare il Santissimo Sacramento.
Detto fatto, il sacerdote si dirige verso il tabernacolo. Il fondo del santuario crolla allora con un fragore immenso. Lui non desiste. Grandi pietre cadono davanti a lui e si frappongono tra il Divin Generale e il suo soldato. Ma lui avanza. E il suo esempio trascina:
— Aspetti, padre – gridano alcuni militari che tornano in chiesa –, la aiutiamo noi a salvare il Buon Dio!
Quelle braccia, così abituate a scavare trincee, spostano le pietre e le travi. Il sacerdote apre il tabernacolo e prende il Creatore tra le sue mani; i militari si inginocchiano sotto la cupola vacillante. Terminato il trasferimento, il luogotenente ordina l’uscita immediata.
— Mi scusi, signor luogotenente – chiede un soldato che porta alcuni fiori disposti a guisa di improvvisato bouquet da guerra, all’interno di un pezzo di obice –, solo due minuti, lo porto alla Santa Vergine. Sarà il ricordo del reggimento.
Cosa possono fare gli uomini resuscitati dal perdono
È il 6 settembre del 1914. Sul fronte vicino alla Marna mancano due ore al combattimento. Nel frattempo, si verifica il peggiore degli scontri: l’attesa di una battaglia che si sa inevitabile, implacabile e spietata. Un sacerdote decide di sfruttare al meglio il momento:
— Figli miei – dice ai compagni d’armi, – la situazione si surriscalderà e tre quarti di noi non torneranno per l’ispezione del pomeriggio. Un proiettile o l’esplosione di un obice, e poi il salto oltre il muro dell’esistenza…
Il soldato Planteau prende allora la parola a nome degli altri:
— Mi scusi, padre. Credo che sia il caso che ognuno di noi scambi due parole con lei individualmente, perché lei capisce che…
In realtà, tutti capiscono. Immediatamente, da soli con il sacerdote, ognuno mette a nudo le proprie ferite morali. La mano sacerdotale si alza per curarle.
Sono pronti! Dimostreranno ciò che può fare un uomo resuscitato dal perdono.

Soldati assistono alla Messa in una cappella bombardata a Dommartin (Francia)
Accanto alla Croce
Passano le due ore. Risuona l’ordine di attacco. Si scatena la confusione. Cavalli e uniformi si incrociano, le baionette si scontrano, piovono piombo e morte. Planteau e il suo amico Brigeois, anche lui confessatosi pochi minuti prima, compiono prodigi di coraggio. Dargis, il comandante, li vede e grida un ordine che spetterebbe solo a dei veri eroi:
— Scalerete quella collina – ordina l’ufficiale, indicando un’altura non protetta –, e da lì vedrete dove si trova l’artiglieria nemica. Poi – e questa è la parte più difficile da eseguire – dovrete tornare per riferirmi.
I soldati cercano di calcolare quanti chili di metallo fuso volano intorno alla collina, ma desistono. Mio Dio, che diluvio!…
Tuttavia, obbediscono e si lanciano nella salita! Quando gli avversari vedono i due combattenti correre in cima alla collina, dimenticano tutto. La temeraria coppia diventa protagonista della scena. Si scatenano fucili e cannoni. E Planteau ha ancora il coraggio di lasciarsi andare al buon umore:
— Vecchio mio – dice ansimando durante la corsa, – siamo talmente insignificanti che ci puntano contro una batteria da 77 millimetri!
— Ci scambiano sicuramente per il generale Joffre…
È così che, con un sorriso, raggiungono la cima. Si preparano a ispezionare il campo, ma si fermano riverenti. Lassù in cima regna una grande croce. Si inginocchiano davanti al Redentore e pregano alla luce delle esplosioni e al suono degli obici che li cercano:
— Mio Dio, Tu sei morto per noi. Ebbene, se Ti è gradito, noi possiamo ricambiarTi allo stesso modo. Ti chiediamo solo che, se qui cadiamo, Tu ci inserisca nell’albo d’onore del Tuo reggimento.
Terminata la preghiera, scorgono l’artiglieria nemica e decidono di scendere immediatamente. In quel momento, però, un proiettile cade davanti a loro e entrambi vengono scaraventati a terra.
— Sei morto? – chiede Planteau.
— Credo di no. E tu?
Dio prende d’assalto la trincea
Nelle trincee le ore sono giorni, i giorni passano come anni, le settimane equivalgono a una vita e a molte morti. E così passano mesi dopo mesi… «La pioggia di due giorni fa ha trasformato il fossato in un pantano. La battaglia di ieri lo ha reso un cimitero. La pioggerella di oggi lo trasforma in una valle di lacrime. Il cielo piange su di noi: siamo già defunti cosparsi di acqua santa. Sì, un nuovo combattimento si avvicina…». Ecco i pensieri cupi che assalgono i difensori della trincea, coperti come sono dalle nuvole grigie di un giorno senza sole, di un mattino che non sorge.
«In questi soldati si spegne il morale, il coraggio e la speranza di vincere. Tradotto nel linguaggio della guerra: la vittoria muore, malata, prima ancora dello scontro…». Ecco le tenebrose certezze che si combattono nella coscienza del capitano, spaventato dalla domenica buia che inizia.
I colpi sibilano continui sulla trincea: la curiosità di alzare la testa può costare la vita. Ma all’improvviso una sorpresa, come una bomba inaspettata, cade sulla trincea. Le nuvole continuano a essere impenetrabili a ogni luce del cielo, il fuoco non smette di sorvegliare il rifugio con le sue detonazioni. Eppure, nella trincea il Sole sorge:
— Buongiorno, figli miei! Vi porto il Buon Dio.
Dicendo questo, il sacerdote, con la tonaca che ondeggia al soffio dei proiettili e armato del Santissimo Sacramento, prende d’assalto il rifugio francese. La resistenza è quasi nulla. Gli uomini si sono già arresi, in ginocchio davanti al Signore degli Eserciti.
— Amici miei, vi porto la Comunione, perché alcuni di voi l’hanno richiesta. È il Maestro che viene a visitarvi, il Capitano invincibile!
Ufficiali, sottufficiali e soldati si nutrono del cibo degli Angeli. Qualcuno forse ringrazia facendo proprie le parole di Zaccaria: «grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, che viene a visitarci come un Sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (cfr. Lc 1, 78-79).
Nella trincea, i volti lividi per il dubbio e gli sguardi spenti dalla disperazione assumono i colori del Sole che è sorto. Il sorriso conquista il terreno come con un lanciafiamme. La gioia inonda la trincea. L’entusiasmo comincia a traboccare in quella che era una valle di lacrime!
— Ora – esclama un soldato – possono venire!
— Quando li rivedremo? – risponde, ansioso, un secondo.
Sono lì! – ruggisce infine la sentinella, accorgendosi di un movimento offensivo nella posizione nemica.
Le tre grida riecheggiano ormai sulla bocca degli ufficiali e delle mitragliatrici. Dal rifugio parte una controffensiva furiosa e calma e, proprio per questo, irresistibile.
Tutti escono. Il sacerdote rimane solo con Dio. Lo deposita su un altare improvvisato e Lo adora al suono del concerto di urla e scoppi. Le grida di guerra competono in fragore con le raffiche. Queste iniziano a tacere. Il protagonismo sonoro spetta allora ai gemiti e alle urla. Sono passati trenta minuti in questa tempesta. Ai piedi del Signore, il sacro ministro ascoltava e invocava.
Ora, però, le voci di vittoria dominano l’aria. I militari tornano trionfanti alla trincea. Portano con sé i compagni feriti. Sono questi i più onorati: portano le vesti tinte di porpora e le medaglie di ferro, introdotte dai colpi nemici, glorificano i loro corpi. Li portano presso il Santissimo Sacramento.
Muoiono, sì. Ma davanti al Divin Sole racchiuso nel ciborio, gli occhi socchiusi di questa gioventù ringiovanita dal Cattolicesimo contemplano la magnifica aurora di una vittoria che hanno conquistato e l’aprirsi di un Cielo che li ha conquistati.

Fanteria francese spara da una trincea
Alcuni anni dopo
Quante volte, per essere un eroe, è necessario essere cattolici!
Ogni soldato constata la realtà di questo principio al primo rombo dei cannoni: «In guerra», spiegherebbe un combattente che ha assistito a fatti come quelli narrati sopra, «stiamo meglio senza pane che senza preghiera e, quando assistiamo alla Messa, corriamo alla lotta con un entusiasmo irresistibile».2
Ma per essere cattolici bisogna essere eroi!
E ora più che mai. Perché cos’è l’eroismo se non il coraggio moltiplicato dal coraggio? Cos’è il coraggio se non avanzare nonostante il pericolo? E cos’è la guerra se non il moltiplicarsi del pericolo per il pericolo?
Ebbene, siamo in guerra! Nel corso dei secoli la Chiesa cresce in grazia e santità e, quindi, cresce in inimicizia con il demonio, il mondo e la carne. La guerra diventa sempre più totale, e il coraggio dei cattolici di oggi non può più essere quello delle epoche passate. Deve essere completo, deve moltiplicarsi per se stesso, deve diventare eroismo.
Il coraggio di credere nell’indistruttibilità della Chiesa non ci basta. È necessario l’eroismo di continuare sotto le sue volte, anche quando queste sembrano vacillare.
Il coraggio di affrontare i mille pericoli della vita non ci basta. È necessario l’eroismo di andare avanti, davanti alla croce che domina il nostro calvario, fino all’olocausto.
Il coraggio di aspettare il sorgere del sole nonostante le nuvole non ci basta. È necessario cercare, conquistare e far sorgere l’aurora invincibile del Regno di Maria su un mondo che striscia nel fango, nella depressione e nelle tenebre.
«Ai nostri giorni», scriveva profeticamente, ancora bambino, Plinio Corrêa de Oliveira, nel suo quaderno di scuola, «non basta più il coraggio dei tempi di pace. Ci resta solo da scegliere se essere eroi o codardi». ◊
Note
1 Le informazioni storiche contenute in questo articolo sono tratte da resoconti dell’epoca, inseriti in: GAELL, René. Les soutanes sous la mitraille. Scénes de la guerre. Paris: Henri Gautier, 1915.
2 Idem, p.101.

