Che si tratti di un eroe o di un cattivo, si potrebbe dire che Talleyrand sia un personaggio delle fiabe… Di estrazione principesca, nato proprio in una “terra incantata”, la vecchia Francia dell’Ancien Régime, regno del buon gusto, dell’etichetta e della douceur de vivre,1 Charles-Maurice trova, nella sua storia, un parallelo sorprendente con Cenerentola.
Sì, dico sul serio, perché, come nel caso di Cenerentola, tutta la sua vita ruota intorno a un piedino e alla relativa scarpetta.
«Mi costringono a diventare un ecclesiastico…»
È fatto incontestabile che Talleyrand abbia acquisito durante l’infanzia una significativa deformità al piede destro – motivo per cui zoppicava – ma nessuno fino ad oggi è stato in grado di individuare i dettagli dell’accaduto, soprattutto perché l’unico testimone oculare fu lui stesso e le versioni differiscono in maniera sostanziale.
Il suo handicap lo costrinse a indossare per tutta la vita scarpe ortopediche – non di cristallo come quelle della principessa incantata, ovviamente – e lo rese inadatto alla carriera delle armi che gli sarebbe spettata in quanto primo dei suoi fratelli.2 Di conseguenza, i suoi genitori decisero di destinarlo allo stato clericale… Si vede chiaramente che il quesito “vocazione” non sembrava avere molta importanza nei loro pensieri.
«Se mi costringono a diventare un ecclesiastico, se ne pentiranno!», affermò Talleyrand. E aveva ragione. Risalgono al seminario i primi scandali relativi alla sua esistenza dissoluta.
«Mio figlio, Vescovo?!»
Risparmieremo al lettore i sordidi dettagli che sovraffollarono la vita intima del nostro personaggio. A titolo meramente illustrativo, narriamo qui l’episodio che si verificò al momento della sua nomina a Vescovo.
Poiché la sede di Autun era vacante, il padre di Charles-Maurice supplicò Luigi XVI che la concedesse al suo amato figlio. Nel venire a conoscenza della richiesta, la madre stessa del giovane intervenne, sostenendo che suo figlio conduceva una vita troppo riprovevole per essere successore degli Apostoli!
Ma il grido d’allarme fu vano. Il re chiuse un occhio e, dichiarandosi “ben informato” sulle presunte qualità morali del sacerdote, lo nominò all’episcopato e la decisione fu ratificata poco dopo da Roma.
Da Autun a Parigi
Il 12 marzo 1789 – anno della Rivoluzione francese – il Vescovo trentacinquenne appena consacrato prese possesso della sua diocesi, ma solo per un breve periodo. Esattamente un mese dopo, salì su una carrozza e intraprese un viaggio verso Parigi… per non rimettere mai più piede ad Autun, almeno non per svolgere le sue funzioni episcopali.
Nuovi e tempestosi venti soffiavano dalla capitale: Luigi XVI aveva convocato gli Stati Generali – un’assemblea con delegazioni da tutto il Paese, che avrebbe subito progressive mutazioni fino a diventare la genesi della Rivoluzione Francese – e Talleyrand si mise nell’occhio del ciclone, lasciandosi eleggere tra i deputati del clero.
Avvertimento di un amico?
Quando scoppiarono le rivolte all’interno degli Stati Generali, Charles-Maurice chiese immediatamente udienza al re. Voleva mettere in guardia Luigi XVI sui pericoli che minacciavano il trono e la Francia. Apprezzava la monarchia, o almeno lo status quo che essa consentiva di mantenere.
Il Vescovo di Autun non fu nemmeno ricevuto da Sua Maestà e dovette accontentarsi di parlare con il fratello del re, il conte di Artois, al quale dichiarò categoricamente che la questione sarebbe stata risolta solo «con un poderoso sviluppo dell’autorità reale, condotto con saggezza e abilità». E aggiunse: «Conosciamo i modi e i mezzi» per raggiungere questo obiettivo, «se la fiducia del re ci chiama a questo». Si trattava di un avvertimento e di un’offerta, provenienti da una persona che aveva la perspicacia necessaria per leggere la situazione e la capacità di invertirla. Purtroppo, non ci fu risposta. Quindici giorni dopo, la Bastiglia cadeva.
La sera del 16 luglio, Talleyrand cercò nuovamente il conte, in un ultimo tentativo, che pure fallì. Non si poteva tornare indietro: Luigi XVI avrebbe seguito il suo corso fino alla fine. Rendendosi immediatamente conto della situazione, Charles-Maurice dichiarò: «Dunque, Monseigneur, a ciascuno di noi non resta altro che curare i propri interessi, dal momento che il re e i principi stanno disertando i propri e quelli della monarchia». A partire da quel momento, Talleyrand si gettò nelle braccia della Rivoluzione.
Il cittadino-Vescovo
Il Vescovo di Autun divenne famoso, exempli gratia, per la proposta che fece all’Assemblea Nazionale il 10 ottobre 1789, di confiscare i beni del clero per raccogliere denaro per la nazione – evidentemente, non senza essere riuscito prima, attraverso qualche piroetta burocratico-diplomatica, a trarre un profitto per sé nel mettere in atto l’idea… Come avrebbe affermato il suo amico Mirabeau qualche tempo dopo: «Talleyrand venderebbe la sua anima per denaro e avrebbe ragione, perché scambierebbe il suo sterco con l’oro».
Infine, il 28 dicembre dell’anno successivo, Charles-Maurice prestò giuramento alla costituzione civile del clero, consumando, così, la sua apostasia. È evidente quanto fosse azzeccato il soprannome con cui divenne famoso: il Diavolo Zoppo…

Nomina di Talleyrand a Ministro degli Affari Esteri della Repubblica, lettera da lui firmata nell’esercizio di questa funzione (al centro) e decreto dell’Assemblea Nazionale che confisca i beni del clero
Per ordine di Danton…
Nel frattempo la Rivoluzione stava diventando sempre più incontrollabile. Spaventato dal vortice degli eventi, Talleyrand decise di emigrare in Inghilterra. Non gli sembrava appropriato, però, fuggire semplicemente, poiché questo avrebbe rappresentato una diserzione dalla causa repubblicana – cosa assolutamente sconveniente. Chi, in quelle circostanze, avrebbe potuto prevedere il futuro della Francia? Sarebbe stato meglio tenere un piede in ogni barca, e il piedino del Diavolo Zoppo era fatto su misura per questo.
Attraverso il doppio gioco, riuscì, nello stesso tempo, a ristabilire alcuni legami con la monarchia e ad avvicinarsi a Danton, al punto da ottenere da quest’ultimo un passaporto firmato con la dicitura: «Maurice Talleyrand si reca a Londra per nostro ordine». Il 9 settembre 1792 lasciava la Francia, dove sarebbe tornato soltanto quattro anni più tardi dopo un piacevole periodo sabbatico in Inghilterra e negli Stati Uniti.
In occasione del suo ritorno, oramai nel periodo del Direttorio, a Parigi tutti parlavano solo di un generale che stava acquistando fama nelle campagne d’Italia: un certo Napoleone Bonaparte…
Gettare grani d’incenso, per il raccolto tardivo
Sebbene non fosse ancora giunto il momento del Còrso, Charles-Maurice, con la lungimiranza di sempre, decise di gettare la sua rete.
Appena nominato ministro degli Esteri nel Direttorio, annunciò la sua nomina al futuro imperatore in questi termini: «Giustamente spaventato dalle funzioni di cui avverto la pericolosa importanza, ho bisogno di essere rassicurato dal sentimento di ciò che la vostra gloria deve portare in termini di mezzi e facilitazioni nei negoziati. Il semplice nome di Bonaparte è un aiuto che deve tutto appianare».
Questi e altri semi, piantati nel fertilissimo terreno dell’orgoglio di Napoleone, non avrebbero mancato di produrre i loro frutti a tempo debito, frutti che Talleyrand avrebbe saputo raccogliere con arte…
Due Papi: situazione favorevole alla Rivoluzione
Fino ad allora, però, il cittadino-ministro non aveva ancora dimostrato la sua devozione alla Repubblica – e lo fece in modo sorprendente! In questo senso, troviamo molto eloquente la proposta che fece al Direttorio il 30 aprile 1798, descritta dall’eminente storico André Castelot come «un testo veramente diabolico».3 All’epoca era appena stata proclamata la Repubblica Romana e il Papa era imprigionato a Briançon.
Talleyrand sosteneva che, sebbene Pio VI fosse stato privato del suo potere temporale, rimaneva comunque oggetto di attenzione da parte di tutte le potenze d’Europa – cosa dannosa per la causa rivoluzionaria. Sarebbe quindi stato degno di una sana politica nasconderlo, spargere la voce della sua morte, eleggerne un altro – o anche più di uno! – e al momento opportuno far riapparire Pio VI: «Questa diversità di pontefici», affermava l’ex Vescovo di Autun, «non avrebbe mancato di produrre uno scisma benefico per i principi repubblicani».
Fortunatamente il piano si interruppe a distanza di pochi mesi, a causa della morte del Vicario di Cristo.
Un passo indietro
Il Direttorio, comunque, non sarebbe durato per sempre. Quando l’anno successivo Napoleone fece il colpo di Stato diventando Primo Console, Talleyrand non mancò di farsi vedere, riuscendo così a mantenere il proprio incarico nel nuovo regime.
In effetti, Bonaparte aveva bisogno di lui. In questa fase e in quella successiva – nel Consolato e nell’Impero – conveniva dare al governo una certa aria di eleganza, spogliandolo delle abitudini rivoluzionarie di cui l’Opinione Pubblica era satura e il Còrso sapeva che non sarebbe mai stato in grado di farlo da solo: «Avevo bisogno di un aristocratico, e di un aristocratico che sapesse gestire un’insolenza tutta principesca». Talleyrand era la persona più indicata.
In effetti, questo spiega in parte la quantità di titoli che Napoleone gli conferì: capo ciambellano, principe di Benevento, vice grande elettore dell’Impero.
Austerlitz: la sconfitta di Napoleone
Di vittoria in vittoria, Bonaparte costruiva il suo trono di baionette. Tuttavia, nessuno, nemmeno lui, poteva rimanere a lungo in equilibrio su un monumento così instabile e poco confortevole… Come sempre, Talleyrand se ne rese conto in anticipo.
Spesso si dice che la battaglia di Austerlitz, combattuta il 2 dicembre 1805, fu la grande vittoria di Napoleone. Ma non così il suo caro ministro considerava i fatti. Circa due mesi prima, gli aveva già espresso la sua opinione, che ribadì in una lettera tre giorni dopo la battaglia: «Vostra Maestà ora può rompere la monarchia austriaca o ricostruirla. Una volta frammentata, non sarà possibile per Vostra Maestà riunire i frammenti sparsi e ricomporli in un’unica massa. L’esistenza di tale massa è necessaria».

“Napoleone riceve il Barone Vincent, ambasciatore austriaco”, di Nicolas Gosse; Talleyrand si trova al centro – Palazzo di Versailles, Parigi
Bonaparte, però, trascurò orgogliosamente il consiglio e, agendo in senso contrario, oltrepassò i limiti. La sua caduta era, di conseguenza, solo questione di tempo. E Talleyrand iniziò a prepararsi per la fase successiva con sette anni di anticipo…
Sopravvivere ad altri tre regimi
È ridicolo seguire la strategia di Charles-Maurice che, mentre adulava l’Imperatore con totale sfacciataggine proponeva, sotto il naso di Napoleone, un’alleanza tra Austria e Russia contro di lui.
Alla fine, nel 1812, quando l’impero si stava di fatto spaccando da tutte le parti, aggiunse anche la carta reale al mazzo, offrendo i suoi servigi a Luigi XVIII, allora esiliato in Inghilterra. Con l’Austria da una parte e i Borbone dall’altra, il futuro era garantito. Di lì a poco il Còrso sarebbe salpato per l’esilio e il principe di Benevento – poiché aveva conservato il titolo – avrebbe mantenuto il suo posto di ministro nella monarchia.
Come ben affermò Napoleone stesso: «Ho due errori da rimproverarmi riguardo a Talleyrand: il primo, di non aver seguito i saggi consigli che mi aveva dato; il secondo, di non averlo fatto impiccare, per non aver seguito il sistema che mi aveva indicato».
Mantenendosi in piedi nella restaurazione dei Borbone, Charles-Maurice, tuttavia, non era persona grata a Luigi XVIII che finì per licenziarlo dal suo incarico. Si direbbe un fallimento politico, invece no. Lanciandosi all’opposizione, Talleyrand raggiunse una tale influenza che durante la rivolta del luglio del 1830, in cui la legittima monarchia in Francia crollò definitivamente, Luigi Filippo gli inviò una consulta allo scopo di sapere se dovesse accettare o meno la carica di luogotenente generale del regno, e solo dopo la risposta affermativa dell’ex ministro, acconsentì alla nomina.
La semplice notizia del legame di Talleyrand con il nuovo regime portò monarchi come lo zar Nicola a riconoscerne la legittimità. Grazie a Charles-Maurice, conclude giustamente Castelot, «i tre colori [della bandiera rivoluzionaria] smisero di terrorizzare l’Europa».4
1789-1830: una visione d’insieme
L’affermazione è più profonda di quanto sembri. Cerchiamo di capirla attraverso le spiegazioni del Dott. Plinio Corrêa de Oliveira.
Egli sostiene che la Rivoluzione è solita subire metamorfosi, talvolta simulando delle ritirate per essere più facilmente accompagnata dall’Opinione Pubblica. Per esemplificare la sua tesi, propone una mirabile sintesi dei vari regimi che la Francia ha vissuto dal 1789 fino all’ascesa di Luigi Filippo. Leggendo le sue parole, abbiamo quasi l’impressione di trovarci di fronte a un riassunto biografico di Talleyrand:
«Lo spirito della Rivoluzione Francese, nella sua prima fase, usò una maschera e un linguaggio aristocratico e persino ecclesiastico. Frequentò la corte e si sedette al tavolo del Consiglio del Re.
«Poi divenne borghese e lavorò per l’estinzione incruenta della monarchia e della nobiltà, e per una velata e pacifica soppressione della Chiesa Cattolica.
«Appena poté, divenne giacobino e si ubriacò di sangue nel Terrore.
«Ma gli eccessi praticati dalla fazione giacobina suscitarono reazioni. Tornò indietro, ripercorrendo le stesse tappe. Da giacobino si trasformò in borghese nel Direttorio, con Napoleone tese la mano alla Chiesa e aprì le porte alla nobiltà in esilio, e, alla fine, applaudì al ritorno dei Borbone. Una volta terminata la Rivoluzione Francese, non termina il processo rivoluzionario. Eccolo che torna a esplodere di nuovo con la caduta di Carlo X e l’ascesa di Luigi Filippo, e così attraverso successive metamorfosi, sfruttando i suoi successi e anche i suoi fallimenti, ha raggiunto il parossismo dei nostri giorni».5
Talleyrand contribuì a rendere possibile l’affermazione definitiva della Rivoluzione Francese e, oseremmo dire, ne ha incarnato lo spirito. Fino a che punto svolse intenzionalmente questo ruolo? Impossibile stabilirlo. Dopotutto, come disse lui stesso, «non si va mai così lontano come quando non si sa dove si va»…

“L’uomo a sei teste”, caricatura di Charles-Maurice de Talleyrand et Périgord – Museo Carnavalet, Parigi
«Non dimenticatevi che sono Vescovo!»
In ogni caso, il viaggio di Charles-Maurice non si era ancora concluso. Quello che manca è l’esito finale della narrazione, che forse è il maggiore plot twist della Storia.
Ormai molto vecchio, poche ore prima della morte, il Diavolo Zoppo accetta finalmente di ricevere i Sacramenti! Dopo aver firmato una ritrattazione di tutta la sua vita, dopo essere stato perdonato dei suoi peccati in seguito ad una lunga Confessione, gli viene amministrata l’Estrema Unzione. Al momento dell’unzione delle mani con gli oli sacri, le presenta chiuse, dichiarando con impressionante presenza di spirito: «Non dimenticatevi che sono Vescovo!». Era già stato unto quasi mezzo secolo prima e, pertanto, secondo la norma, avrebbe dovuto ricevere gli oli santi sul dorso delle mani! E così consegnò la sua anima, dopo aver perpetrato l’ultimo tradimento: al mondo, per riconciliarsi con Dio.
Pentimento sincero? O un semplice azzardo, come gli altri? Un’altra domanda difficile a cui rispondere… In questa valle di lacrime, ci sono forse solo due cose più imperscrutabili dei segreti della politica: i misteriosi sentieri del cuore umano e le profondità infinite della misericordia divina.
Concludiamo con una breve riflessione. Nell’imbatterci nei fatti qui raccontati, non possiamo fare a meno di chiederci se Charles-Maurice non avesse ricevuto tali doti naturali in funzione di una chiamata a combattere per la causa del bene in un’epoca così travagliata. Se per oscuri interessi personali egli offrì i suoi servigi, così utili al male, ai sovrani effimeri dell’epoca, quanto non avrebbe fatto comodo un Talleyrand dedito al servizio della Santa Chiesa e alla lotta per la legittimità in quel periodo storico? Non sembra irragionevole affermare che la Storia dell’Occidente sarebbe stata diversa, almeno per un lungo periodo. Quanta responsabilità abbiamo, quindi, davanti a Dio nel far fruttare i talenti che Egli ci ha dato per la nostra santificazione e per il compimento della nostra missione! ◊
Note
1 La famosa espressione fu coniata dallo stesso Talleyrand: «Chi non ha vissuto in Francia negli anni intorno al 1789 non sa cosa sia la dolcezza di vivere» (CASTELOT, André. Talleyrand ou le cynisme. Parigi: Perrin, 1980, p.39). Le altre frasi storiche di questo articolo sono state trascritte dalla stessa opera.
2 In realtà, Charles-Maurice aveva un fratello maggiore che, però, morì quando era ancora molto giovane.
3 Idem, p.153.
4 Idem, p.644.
5 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Revolução e Contra-Revolução. 9.ed. São Paulo: Arautos do Evangelho, 2024, pp.53-54.