Coesione nella diversità

La riconciliazione operata da Dio in Cristo trova espressione storica permanente nella Chiesa. Essa è il centro di irraggiamento dell’unione degli uomini con Dio e dell’unità tra di loro, che si afferma progressivamente nel tempo.

La Chiesa ha avuto coscienza, fin dalle origini, della trasformazione attuata dall’opera redentrice di Cristo, e ne ha dato il lietissimo annuncio: per essa, il mondo è divenuto una realtà radicalmente nuova (cfr. 2 Cor 5, 17), nella quale gli uomini hanno ritrovato Dio e la speranza (cfr. Ef 2, 12) e, fin d’ora, sono resi partecipi della gloria di Dio «per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione» (Rm 5, 11).

Tale novità è dovuta esclusivamente all’iniziativa misericordiosa di Dio (cfr. 2 Cor 5, 18-20; Col 1, 20-22), e la stessa viene incontro all’uomo che, allontanatosi da Lui per sua propria colpa, non poteva più ritrovare la pace col suo Creatore. Quella iniziativa di Dio, poi, si è attualizzata mediante un intervento direttamente divino. Egli, infatti, non ci ha semplicemente perdonati, né si è servito di un semplice uomo intermediario tra noi e lui; ma ha costituito il suo «Unigenito Figlio come intercessore di pace»:1 «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2 Cor 5, 21). In realtà Cristo, morendo per noi, ha cancellato «il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce» (Col 2, 14); e, per mezzo della Croce ci ha riconciliati con Dio, «distruggendo in se stesso l’inimicizia» (Ef 2, 16).

La Santa Chiesa è il sacramento della riconciliazione

La riconciliazione, attuata da Dio in Cristo crocifisso, si iscrive nella storia del mondo, che annovera ormai tra le sue componenti irreversibili l’evento di Dio fattosi uomo e morto per salvarlo. Ma essa trova permanente espressione storica nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa, nella quale il Figlio di Dio convoca «i suoi fratelli da tutte le genti»2 e, in quanto suo capo (cfr. Col 1, 18), ne è il principio di autorità e di azione che la costituisce sulla terra quale “mondo riconciliato”.3

Poiché la chiesa è il Corpo di Cristo e Cristo è «il Salvatore del suo Corpo» (Ef 5, 23), tutti, per essere membri degni di questo Corpo, devono, in fedeltà all’impegno cristiano, contribuire a mantenerlo nella sua natura originaria di comunità di riconciliati, derivante da Cristo nostra pace (cfr. Ef 2, 14) che «ci rende rappacificati».4 […]

E poiché detta riconciliazione trova privilegiata espressione e più densa concentrazione nella Chiesa, questa è «come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»;5 cioè, il centro di irraggiamento dell’unione degli uomini con Dio e dell’unità tra di loro, che, attraverso progressiva affermazione nel tempo, troverà compimento nella consumazione dei tempi. […]

Correzione fraterna: stimolo alla santità

Questa apertura agli altri, sorretta da volontà di comprensione e da capacità di rinuncia, renderà stabilmente e ordinatamente operante quell’atto di carità comandatoci dal Signore, che è la correzione fraterna (cfr. Mt 18, 15). Dato che questa può essere fatta da qualunque fedele ad ogni fratello nella Fede, può essere il mezzo normale per risanare non pochi dissensi o per impedire che ne sorgano.6 A sua volta, essa spinge chi la compie a toglier la trave dal suo occhio (cfr. Mt 7, 5), perché non sia pervertito l’ordine della correzione.7

E quindi la pratica della medesima si risolve in principio di animazione verso la santità, che sola può dare alla riconciliazione la sua pienezza; la quale consiste non in una pacificazione opportunistica che maschererebbe la peggiore delle inimicizie,8 ma nella conversione interiore e nell’amore unificante in Cristo che ne deriva, quale si effettua principalmente nel Sacramento della Riconciliazione, che è la Penitenza, mediante la quale i fedeli «ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a Lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato»,9 purché «questo […] Sacramento di salvezza […] prenda radice in tutta la loro vita e li spinga ad un più fervente servizio di Dio e dei fratelli».10

La coesione ecclesiale nella diversità di vocazioni

Rimane tuttavia che «nella struttura del Corpo di Cristo vige una diversità di membri e offici»,11 e che questa diversità provoca inevitabili tensioni. Esse sono riscontrabili anche nei Santi, ma «non tali da uccidere la concordia, non tali da distruggere la carità».12 Come impedire che esse degenerino in divisione? È da quella stessa diversità di persone e di funzioni che deriva il sicuro principio di coesione ecclesiale. Di quella diversità, infatti, sono componente primaria e insostituibile i pastori della Chiesa, costituiti da Cristo suoi ambasciatori presso gli altri fedeli e dotati, per questo, di un’autorità che, trascendendo le posizioni ed opzioni dei singoli, tutte le unifica nell’integrità del Vangelo, che è appunto la «parola della riconciliazione» (cfr. 2 Cor 5, 18-20). […]

Che i sacri pastori, come in modo eminente e visibile rappresentano Cristo stesso e ne fanno le veci,13 così imitino e trasfondano nel popolo di Dio l’amore con cui Egli si è immolato: «ha amato la chiesa e ha dato Se stesso per lei» (Ef 5, 25). E sia questo loro rinnovato amore, esempio efficace per i fedeli, in primo luogo per i sacerdoti e i religiosi, che fossero venuti meno alle esigenze del proprio ministero e della propria vocazione, di modo che tutti nella chiesa, con «un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32), tornino ad essere impegnati «a propagare il Vangelo della pace» (Ef 6, 15).

La madre Chiesa guarda con dolore e amore all’abbandono di alcuni suoi figli insigniti del sacerdozio ministeriale o, con altro speciale titolo, consacrati al servizio di Dio e dei fratelli. Tuttavia trova sollievo e gioia nella generosa perseveranza di tutti quelli rimasti fedeli ai loro impegni con Cristo e con la Chiesa; e, sorretta e confortata dai meriti di questa moltitudine, essa vuole convertire anche il dolore che le è stato arrecato in un amore che tutto può comprendere e che tutto può in Cristo perdonare. 

Tratto da: SAN PAOLO VI.
Paterna cum benevolentia, 8/12/1974 –
Traduzione: Araldi del Vangelo

 

Note


1 TEODORETO DE CIRO. Interpret. Epist. II ad Cor.: PG 82, 411.

2 CONCILIO VATICANO II. Lumen gentium, n.7.

3 SANT’AGOSTINO D’IPPONA. Sermo 96, 7, 8: PL 38, 588.

4 SAN GIROLAMO. In Epistolam ad Ephesios, 1, 2: PL 26, 504.

5 CONCILIO VATICANO II, op. cit., n.1.

6 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. II-II, q.33, a.4.

7 Cfr. SAN BONAVENTURA. In IV Sent., dist.19, dub.4.

8 Cfr. SAN GIROLAMO. Contra pelagianos, 2, 11: PL 23, 546.

9 CONCILIO VATICANO II, op. cit., n.11.

10 ORDO PÆNITENTIÆ. Prænotanda, n.7.

11 CONCILIO VATICANO II, op. cit., n.7.

12 SANT’AGOSTINO D’IPPONA. Enarrationes in Psalmos, 33, 19: PL 36, 318.

13 Cfr. CONCILIO VATICANO II, op. cit., n.21.

 

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