Non c’è nulla di più incantevole della scena del Vangelo in cui troviamo Nostro Signore Gesù Cristo circondato da bambini desiderosi che il Salvatore «imponesse loro le mani e pregasse» (Mt 19, 13). I discepoli, preoccupati per la tranquillità del Maestro, cercano di allontanarli… ma Gesù li rimprovera e chiama a sé i piccoli, li benedice imponendo loro le mani e addirittura li abbraccia. In questa occasione, si manifesta quella caratteristica tenerezza che la pietà popolare presenta nella devozione al Sacro Cuore di Gesù, modello di dolcezza e di bontà.
In circostanze molto diverse, gli stessi Evangelisti ci mostrano Nostro Signore che, brandendo una sferza di cordicelle intrecciata con le proprie mani, scaccia i mercanti dal Tempio (cfr. Gv 2, 14-16), «con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori» (Mc 3, 5). La scena è impressionante: quadrupedi terrorizzati, uccelli che svolazzano senza meta, monete sparse per terra, venditori in fuga che inciampano su tavoli e banchi rovesciati, sotto lo sguardo sbalordito dei compratori attoniti, anch’essi in fuga… Con voce solenne, Gesù sentenzia: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri» (Mt 21, 13).

Ma… si tratta, veramente, della stessa Persona?! Due modi di essere così radicalmente opposti possono coesistere in un’unica anima, in una stessa psicologia, in una medesima santità?
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San Tommaso1 insegna che le passioni umane, considerate in se stesse, costituiscono una mera capacità di dinamismo e sono, pertanto, neutre. Esse diventano agenti di bene o di male quando l’uomo le dirige verso un fine buono o cattivo, così come uno stesso strumento può essere usato per compiere un servizio benefico o per commettere un crimine.
Tuttavia, sebbene il dinamismo della passione aiuti l’uomo a muoversi, egli deve sempre conservarsi padrone di se stesso e delle sue azioni. Se lascia che la passione prenda il controllo delle sue azioni, permette un’inversione dei ruoli: si trasforma in strumento della sua passione, la quale finisce per dominarlo e lo riduce da governante a governato.
In tali circostanze, potrebbe essere talmente preso dall’ira da non riuscire a controllarsi, finendo per scaricare l’eccesso della sua passione su chi gli sta intorno, vicini o familiari, che non hanno nulla a che vedere con le cause del suo furore. In quel momento sarà dominato unilateralmente dall’ira e non ci sarà alcuno spazio per la compassione. Al contrario, chi si lascia dominare dalla passione dell’affetto potrebbe diventare così cieco da non riuscire a riconoscere le cattiverie che stanno tramando contro di lui coloro nei quali ha riposto ingenuamente la sua fiducia.
Si potrebbe quindi dire che l’uomo si trovi nell’obbligo paradossale di negare ogni passione – e, di conseguenza, di diventare un essere apatico – per evitare il rischio di cadere nella follia. E non mancheranno coloro che definiranno questo stato di apatia “equilibrio”… Allora cosa deve preferire? Come deve agire? Con passione o con indifferenza?
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Troviamo la risposta guardando il nostro supremo Archetipo. Infatti, non c’è traccia di questo conflitto interiore in Nostro Signore Gesù Cristo, nel quale tutto è perfezione e, dunque, armonia. Egli non deve optare tra le passioni e l’apatia: le sue passioni sono sempre in equilibrio. Come spiegarlo?
La temperanza è, giustamente, la virtù chiamata a “temperare” – cioè a moderare, a soffocare – il dinamismo delle passioni. Così come le briglie frenano l’impeto di un cavallo troppo focoso, la temperanza mantiene le passioni sottomesse alla volontà e all’intelligenza, che si lascia guidare dalla sapienza. Non le annulla, pertanto, ma le mantiene nella giusta direzione, come il timone di una nave, e non permette mai che cessino di essere uno strumento, usato razionalmente, e che invertano il buon ordine delle cose dominando l’uomo che dovrebbero servire.

Così, non troviamo Nostro Signore tanto attento ai bambini da perdere la sua gravità e la sua serietà; al contrario, si dedica all’apostolato con tutta la serietà, facendo loro il maggior bene possibile in vista della loro salvezza. E, nel rimproverare i mercanti, Egli non perde mai la calma: mai occhi sporgenti, viso arrossato, capelli scomposti… Nulla di più lontano dal suo supremo e permanente equilibrio. Ne è prova il versetto che segue la cacciata dei mercanti, nella versione di San Matteo: «Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì» (21, 14).
Si tratta di due atteggiamenti, senza dubbio, ma non di due modi di essere. Gesù, che flagella un mercante e abbraccia un bambino, ci dà il vero esempio di equilibrio nella temperanza, la cui radice è l’amore per Dio sopra ogni cosa. ◊
Note
1 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.22, a.3; q.24, a.1-3.