I dieci comandamenti – Garanzia di felicità sulla terra

Una serie di proibizioni provenienti da un Dio risentito per la disobbedienza originaria? In realtà, il Decalogo è qualcosa di molto diverso!

Nella letteratura brasiliana c’è una poesia di Vicente de Carvalho, Velho Tema I, che parla della ricerca della felicità in questa vita. Dopo aver considerato le varie amarezze e i fallimenti che popolano l’esistenza di tutti gli uomini, il poeta riflette infine sul fatto che la felicità «noi non la raggiungiamo / perché è sempre e solo dove la mettiamo / e non la mettiamo mai dove siamo».

Questa saggia considerazione ci fa volgere lo sguardo alle dolci ricompense che la vita offre e di cui non approfittiamo quando ci passano tra le mani, magari presi dal vortice di preoccupazioni mediocri.

Tra questi piaceri puri che appaiono lungo il nostro cammino – e che così frequentemente disprezziamo – ci sono le impressioni primaverili suscitate in noi dal contatto con le verità soprannaturali. Non è raro trovare persone che, imbattendosi nei Dieci Comandamenti, per esempio, scorgono in essi il risuonare della voce divina. Con il tempo, la bellezza della loro formulazione viene esplicitata dalla ragione, tappa seguita dall’adesione o dal rifiuto, operati dalla volontà.

Recuperiamo allora una di queste luci innocenti che forse hanno illuminato la nostra infanzia, a partire dalle considerazioni fatte dal Dott. Plinio Corrêa de Oliveira durante una conferenza per giovani discepoli.1

Dieci comandamenti, perché?

Qual è lo scopo dei Dieci Comandamenti? Dio li ha inventati nel momento in cui ha scritto le Tavole della Legge, consegnandole a Mosè? Ovviamente no. Prima di scriverli sulle pietre del Sinai, li aveva già incisi nel cuore di Adamo sotto la forma di legge naturale.2 Per questo motivo, anche se passano milioni di anni e il progresso tecnico-scientifico raggiunge vette inimmaginabili, «le parole maestosamente semplici del Decalogo sfideranno, immutabili, tutti i tempi».3

Come racconta la Genesi, Dio ha creato il Cielo e la terra con tutto ciò che in essi esiste. Ha dato a ogni essere degli attributi che gli permettono di muoversi secondo la propria natura e di entrare in una collaborazione perfetta, dalla quale deriva l’ordine della creazione. Gli animali, le piante e persino i corpi siderali, tutti si muovono senza danneggiarsi a vicenda, adempiendo il loro scopo.

Nel Paradiso, Adamo era re per natura; doveva agire in conseguenza di questa carica e secondo la condizione degli esseri da lui governati, conosciuti in profondità. Così facendo, metteva in marcia l’immensa perfezione dell’intera creazione. Eppure, egli peccò, agendo non solo contro l’armonia esistente in sé e negli esseri che lo circondavano, ma soprattutto in contrasto con la natura di Dio, da cui aveva ricevuto tante prove di bontà.

L’amore divino, tuttavia, escogitò nuovi modi per attirare l’umanità decaduta donandole i Comandamenti, precetti che l’uomo già conosceva per sua natura, ma che doveva lottare per adempiere, dopo che il demonio aveva seminato in lui la legge della concupiscenza.4 Così, per ricondurlo al bene, il Creatore gli presentò per iscritto le leggi già impresse nella sua anima, le quali manifestavano anche l’armonia dell’ordine dell’universo e il piano divino per la creazione.

Si vede, quindi, che il magnifico insieme delle leggi divine non rappresenta una serie di proibizioni provenienti da un Dio risentito per la disobbedienza originale. Anzi, scaturisce dal suo infinito amore per le creature e la sua pratica esprime l’accettazione da parte dell’uomo di questa suprema carità.

È proprio dell’amore trasformare chi ama nell’amato. Se amiamo cose ignobili, ci trasformiamo in esse; ma se amiamo Dio, diventiamo divini.5 Il peccato, quindi, è un atto di ribellione contro l’amore divino che scende fino a noi, una violazione dell’ordine che questo stabilisce. E qui si spiega interamente la ragione dei Dieci Comandamenti: mantenere la fedeltà dell’uomo sull’amore di Dio e sui disegni che Egli ha avuto nel crearlo.

Sulla cima del Sinai, il Signore presentò a Mosè due tavole. Su una erano iscritti i primi tre Comandamenti, che riguardano Lui; sull’altra, quelli che servono a ordinare le relazioni umane secondo i suoi disegni.

L’uomo di fronte al divino

La creazione stessa, con le sue multiformi perfezioni, ci rivela chi è Dio: somma perfezione, somma sapienza, somma bontà, somma giustizia, sommo in tutto! Ora, essendo Dio quello che è, ed essendo noi quello che siamo, dobbiamo amarLo sopra ogni cosa. Questo è dunque il Primo Comandamento. Chi nega uno qualsiasi dei Comandamenti che seguono, in fondo, nega questo primo, perché sono tutti conseguenza di esso.

Essendo Dio è quello che è, dobbiamo amarLo sopra ogni cosa e da questo Comandamento derivano gli altri
Celebrazione della Santa Messa – Chiesa di Sant’Egidio, Oberdrees (Germania)

Se amiamo veramente Dio, non pronunceremo mai il Suo Santo Nome invano, perché, essendo Egli così supremo, farlo senza un motivo adeguato significa già mancarGli di rispetto. Pertanto, non bestemmiare mai, non nominare mai questo Santo Nome in conversazioni frivole, in scherzi, in battute.

Riguardando Dio, questo precetto riguarda in qualche modo coloro che hanno una particolare relazione con Lui e, proprio per questo, anche le cose sacre terrene e celesti non devono essere nominate invano, perché partecipano in qualche modo alla dignità divina. Soprattutto i Santissimi nomi di Gesù e Maria meritano tutto il rispetto.

Il Dott. Plinio prende talmente sul serio le conseguenze di questo Comandamento da disapprovare l’abitudine, profondamente radicata ai nostri giorni, di nominare le autorità senza il relativo titolo, come, per esempio, riferirsi al Sommo Pontefice, a un Cardinale, a un Vescovo o a un sacerdote solo con il loro nome civile. Egli estende questa prerogativa anche alla famiglia: a causa della speciale venerazione che i figli hanno verso i loro genitori, non devono mai chiamarli con il loro semplice nome, ma con padre e madre.

Il Terzo Comandamento ci dice di osservare le domeniche e le feste di precetto. Che cosa ha a che fare questo con Dio? In questi giorni Egli esige dagli uomini come un’imposta – non pensare a guadagnare denaro, non lavorare – che deve essere pagata sotto forma di… riposo! Si tratta di una manifestazione della bontà dell’Altissimo che si occupa di ciascuno dei suoi figli facendogli sentire che Egli è Padre. Inoltre, in queste occasioni aleggia sempre una benedizione, qualcosa di festivo, di distensivo, di clemente. È il modo meraviglioso di Dio di riscuotere un’imposta.

Modello per ogni potere che c’è sulla terra

Onorare il padre e la madre è una conseguenza dell’ordine naturale stabilito da Dio. La nostra anima è creata direttamente dall’Altissimo e infusa nel corpo che i nostri genitori generano; l’azione principale è Sua, ma i nostri genitori, in un certo senso, collaborano a quest’opera creatrice. Quindi, se è vero che non posso in alcun modo offendere Dio che è la mia Causa, per una ragione minore ma interamente vera non posso offendere i miei genitori che pure mi hanno dato origine.

Il Dott. Plinio presenta una bella metafora per illustrare questo Comandamento. Immaginiamo che un abile scultore plasmi nella pietra una bella statua che rappresenta un essere umano nella sua massima perfezione. Per un miracolo, la statua prende vita e comincia a pensare, parlare, muoversi e agire autonomamente. A un certo punto, però, si ribella al suo scultore e lo aggredisce con uno schiaffo. «Come? Una statua che ho fatto io, mi dà uno schiaffo?». L’indignazione dell’artista è giustificata. Ebbene, con molta più ragione il figlio deve la sua esistenza ai genitori. Così si presenta il precetto: «Onora tuo padre e tua madre».

Inoltre, la patria potestà costituisce un modello per tutti i poteri esistenti sulla terra, che hanno qualcosa di paterno quando sono ben compresi e ben esercitati. L’onore che dobbiamo rendere ai nostri genitori è, di conseguenza, simile a quello che ci porta a rispettare le autorità.

Dalla pratica dei Dieci Comandamenti dipende non solo la salvezza dell’anima, ma anche la felicità temporale dell’umanità
Scene che rappresentano il Terzo e Quarto Comandamento – Chiesa di Santa Maria, Gdánsk (Polonia)

È naturale che ci siano uomini che governano gli altri, visto che, pur esistendo un gruppo di persone con eccellenti qualità e molta buona volontà, se non hanno qualcuno che le dirige, non saranno in grado di portare a termine un’opera collettiva. E siccome comandare è più che obbedire, colui che comanda deve essere rispettato.

Tuttavia, se sviliamo l’autorità divina negandole l’amore che il Primo Comandamento prescrive, come potrà l’autorità umana rimanere intatta? Impossibile.

«Chiederò conto del suo sangue…»

«Non uccidere» è il Quinto Comandamento. Che cosa implica questo atto, che di per sé provoca all’uomo ripugnanza? Innanzitutto, quando qualcuno toglie la vita a se stesso o a un altro, viola l’ordine naturale per cui è stato creato. Inoltre, quando si parla di togliere la vita, c’è un riferimento implicito alla vita del corpo e a quella dell’anima, che viene lesa attraverso lo scandalo, che implica qualsiasi atto che possa indurre altri al peccato. «Chi scandalizza diventa il tentatore del prossimo. Attenta contro la virtù e la rettitudine; può trascinare il fratello alla morte spirituale».6 Esiste un male peggiore di questo?

Tra gli innumerevoli esempi di omicidio narrati nelle Sacre Scritture c’è l’assassinio di Abele da parte di Caino. Dio stesso denuncia con orrore la perversità di questo fratricidio: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello» (Gn 4, 10-11).

In queste parole, vediamo l’intenzione divina di preservare l’alleanza con l’uomo intrecciandola con la protezione contro la violenza omicida derivante dal peccato originale. Questo Comandamento proibisce la pratica dell’eutanasia, del suicidio, dell’omicidio e dell’aborto, preservando la dignità umana.

L’armonioso tesoro della castità

I due Comandamenti che cercano di ordinare la perpetuazione della specie umana sulla terra e di assicurare la stabilità della famiglia sono il Sesto e il Nono: «Non commettere atti impuri» e «Non desiderare la donna d’altri». Lungi dall’essere strumenti di coercizione per gli uomini, essi offrono loro la possibilità di diventare simili agli Angeli, prescrivendo in modo sapienziale la costituzione famigliare, il rapporto tra i coniugi, la castità nuziale e la castità perfetta.

Entrambi i Comandamenti sono concordi con la dignità originale dell’uomo, perché lo mettono in guardia dagli effetti tempestosi degli istinti e dei piaceri carnali, mentre allo stesso tempo garantiscono lo sviluppo della famiglia in modo sano e puro. Sono in linea con l’armonia posta dal Creatore nella sua opera e sono stati ulteriormente giustificati quando Nostro Signore Gesù Cristo ha istituito il Sacramento del Matrimonio.

La ragione del «non rubare»

Un semplice sillogismo dimostra la bellezza del Settimo Comandamento: l’uomo è padrone di se stesso e quindi è padrone della sua capacità di lavoro; se è padrone della sua capacità di lavoro, è anche padrone del frutto del suo lavoro. Pertanto, nessuno ha il diritto di togliergli ciò che ha ottenuto col suo sforzo. Ecco perché: «Non rubare»!

Come insegna giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica, il Settimo Comandamento «richiede, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata. La vita cristiana cerca di ordinare i beni di questo mondo a Dio e alla carità fraterna».7 Anche in questo caso, si tratta di una conseguenza del Primo Comandamento, perché la preoccupazione è quella di indirizzare i beni al Creatore e al prossimo, in modo da raggiungere il fine per il quale esistono.

Scene che rappresentano il Quinto e Settimo Comandamento – Chiesa di Santa Maria, Gdánsk (Polonia)

Una proibizione che incoraggia la virtù opposta

La voce ci è stata data per dire la verità. Questa è la giustificazione dell’Ottavo Comandamento: «Non dire falsa testimonianza». La menzogna – cioè il parlare o l’agire in modo contrario alla verità – induce all’errore e offende la relazione fondamentale dell’uomo e della sua parola con Dio.8 Al contrario, la verità comporta la gioia e lo splendore della bellezza spirituale, oltre a esprimere razionalmente la conoscenza della realtà creata e increata, esigenza fondamentale per l’uomo dotato di intelligenza.

I Comandamenti che presentano una proibizione incoraggiano la pratica della virtù opposta al vizio che condannano. Così, proibire la menzogna è esaltare la testimonianza della verità, la cui forma più radicale si chiama martirio, quando è resa a favore della Fede.

Inoltre, questo precetto condanna la falsa testimonianza, lo spergiuro, la mancanza di rispetto per la reputazione del prossimo sotto forma di giudizio temerario, maldicenza o calunnia.

«Non desiderare la roba d’altri»

Infine, il Decimo Comandamento incide sull’intenzione del cuore e, insieme al Nono, riassume l’intero Decalogo. In altre parole, non dobbiamo, nemmeno con il pensiero, desiderare un bene che appartiene a un altro e che non possiamo acquisire. L’uomo che pratica questo precetto nella sua interezza si rallegra nel vedere un altro carico di beni materiali o spirituali.

Questo Comandamento condanna l’avidità, la cupidigia e l’invidia.

*     *     *

Questa breve meditazione sulle luminose massime divine ci porta a un moto di azione di grazie, perché esse rivelano, innanzitutto, l’estrema cura di Dio per le sue creature e ci fanno esclamare con il Salmista: «Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?» (Sal 8, 5).

Ne consegue anche che dalla pratica dei Dieci Comandamenti non dipende solo la salvezza dell’anima, ma la felicità temporale dell’umanità. O gli uomini obbediscono a queste leggi divine fondamentali o dovranno rassegnarsi a non godere mai della tranquillità, della pace e della gioia per le quali la loro natura è stata creata. Pertanto, l’adempimento del Decalogo ci assicura l’equilibrio della vita presente. E qui sta l’intera portata dei Dieci Comandamenti: anche se non ci fossero altre leggi, con essi l’esistenza sulla terra sarebbe quasi il Paradiso.

È la ricerca di questa vera felicità plasmata nell’anima di Adamo, perduta con il peccato originale e riproposta all’uomo attraverso la pratica della Legge divina, che libera l’uomo dall’attaccamento smodato ai beni di questo mondo, gli garantisce un rapporto piacevole con i suoi simili e lo conduce alla piena beatitudine nella visione beatifica di Dio. Troviamola, dunque, e daremo ragione al lamento del poeta: la felicità «è sempre e solo dove la mettiamo / e non la mettiamo mai dove siamo». ◊

 

Note


1 Cfr. CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. San Paolo, 17/3/1987.

2 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Decem legis præcepta expositio, proœmium.

3 TÓTH, Tihamér. Os Dez Mandamentos. 3.ed. Porto: Apostolado da Imprensa, 1966, p.10.

4 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., proœmium.

5 Cfr. Idem, ibidem.

6 CCE 2284.

7 CCE 2401.

8 Cfr. CCE 2483.

 

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