Il canto del triplice segreto

Con abilità poetica e insuperabile ortodossia, San Tommaso d’Aquino ha lasciato in eredità ai posteri, in una breve antifona, la spiegazione della dottrina e del mistero ineffabile contenuti nell’augusto Sacramento dell’Amore.

In un certo periodo dell’infanzia, nella mente del bambino sorgono numerose domande che denotano il desiderio di indagare e comprendere il mondo che lo circonda: è la famosa età dei “perché”…

Il giovinetto comincia a navigare nel misterioso mare della conoscenza e ad ogni “scoperta” prova la gioia di un’altra battaglia vinta, di un altro terreno conquistato! Nella vasta gamma di interrogativi che lo assalgono, uno di quelli che di solito si pone è: «come mai l’occhio, così piccolo, ha la capacità di cogliere così tante cose, come la vastità del mare, l’immensità del cielo, l’estensione delle montagne?…»

E il piccolo passa le sue giornate alla ricerca di una risposta convincente che lo rassicuri – risposta che può richiedere anni per essere completamente chiarita – fino a quando, magari in un libro di scuola, apprende come funziona il sistema ottico dell’essere umano. Solo allora la sua mente riposa, con il sollievo di aver raggiunto un’altra conclusione!

Ora, così come l’occhio ha la possibilità di cogliere tante cose, Dio ha creato alcune anime con la capacità di sintetizzare realtà vastissime. È quanto è successo ad alcuni scienziati, filosofi, compositori, poeti e scrittori che hanno immortalato la loro memoria segnando la Storia con il loro favoloso ingegno.

Tra queste figure c’è senza dubbio il grande San Tommaso d’Aquino. È difficile credere che una sola mente abbia potuto spiegare così tante verità! Per la sua mirabile intelligenza unita a un’eminente santità, fu lodato da teologi, Vescovi e Pontefici di tutti i secoli, e molto giustamente Leone XIII lo paragonò al sole, perché «riscaldò il mondo con il calore delle sue virtù e lo riempì dello splendore della sua dottrina».1

Il teologo, il poeta e il Santo

Come si legge nella biografia che apre questa sequenza di articoli sul Dottore Angelico, in occasione dell’istituzione della Solennità del Corpus Domini,2 Urbano IV incaricò San Tommaso di comporre l’ufficio della celebrazione. Tuttavia, superando le aspettative, il Santo-poeta produsse «un gioiello liturgico che ha sfidato sette secoli, e che forse continueremo a cantare nella beatitudine eterna».3 L’insieme delle preghiere e degli inni che lo compone è considerato come «il più tenero, devoto e profondamente teologico che si conosca nella Sacra Liturgia».4 Da esso abbiamo preso, tra gli altri, l’Adoro te devote, il Lauda Sion e l’Ave verum.

Come sottolinea Mons. Biffi, San Tommaso non solo seppe elaborare magistralmente la sua teologia eucaristica, ma la sua «contemplazione dell’Eucaristia fu così intensa che giunse ad aprire la sua vena poetica e a infondere gli accenti della lirica in un ineccepibile e rifinito linguaggio dogmatico, e ne vennero sequenze e inni che tutti conosciamo e ancora cantiamo».5

In questo Ufficio del Corpus Domini, troviamo un’antifona piccola nelle dimensioni ma gigantesca nel contenuto: si tratta del famoso O sacrum convivium.6 In essa, infatti, San Tommaso7 ha consegnato la triplice realtà che, come egli afferma, ogni Sacramento racchiude; in relazione, cioè, al passato, al presente e al futuro della nostra santificazione.

Consideriamo quindi ciascuno di questi aspetti in particolare.

Istituzione dell’Eucaristia e memoriale della Passione

«O sacrum convivium in quo Christus sumitur; recolitur memoria passionis eius O sacro convito nel quale ci nutriamo di Cristo; si fa memoria della sua Passione».

Qui troviamo due atti che si compenetrano: l’istituzione dell’Eucaristia e il memoriale della Passione.

Sul punto di morire, Nostro Signore Gesù Cristo lasciò traboccare l’affetto che aveva per i suoi discepoli: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13, 1). E quale fu il contesto scelto per questo? Un sermone nella sinagoga? Un discorso? No: una cena! Il pasto tra amici e parenti possiede un carattere estremamente affettivo, affabile e accogliente: in esso si socializza, ci si congeda da una persona cara o si ritrova qualcuno atteso da molto tempo… Fu proprio questo il contesto che il Divin Salvatore scelse per l’ultimo incontro con i suoi: un “sacro convito”.

Oltre all’aspetto conviviale, San Tommaso indica tre ragioni teologiche per l’opportunità di istituire l’Eucaristia durante una cena. In primo luogo, perché nostro Signore non voleva lasciare soli coloro che tanto amava; così lasciò loro in eredità non solo un ricordo di sé, ma Se stesso come alimento: «DovendoSi allontanare dai suoi discepoli nella sua manifestazione esteriore, Cristo volle rimanere in una manifestazione sacramentale».8

La seconda ragione è nella necessità che ci fosse qualcosa che rappresentasse per i secoli a venire il supremo atto d’amore portato a termine da Gesù nella sua Passione.9 L’allora Cardinale Ratzinger10 commenta che le parole pronunciate dal Divin Maestro nell’Ultima Cena furono un’offerta anticipata in cui Egli misurò tutte le conseguenze e accettò la morte. Pertanto, nella cena pasquale Egli fece la sua offerta e sulla Croce la consumò. E affinché questo mistero fosse ricordato perpetuamente, Egli comandò: «Questo è il mio Corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di Me» (Lc 22, 19).

Comunione degli Apostoli nell’Ultima Cena, di Jules-Élie Delaunay – Cattedrale di San Pietro e San Paolo, Nantes (Francia)

È di estrema importanza sottolineare che i termini rappresentare, ricordare e memoriale sono utilizzati non come un ricordo evocato a partire dai sensi interni della memoria o dell’immaginazione, ma nel senso di attualizzare, rendere presente la Passione di Cristo nel Sacramento dell’altare.

La stessa cena pasquale aveva questo carattere “attualizzante” per il popolo eletto: «Il memoriale ebraico non si limita a ricordare gli atti salvifici compiuti da Dio nel passato, ma li rende presenti nelle nuove circostanze. Si tratta di un rito che attualizza l’azione salvifica di Dio».11 Così anche la Cena Eucaristica non solo ricorda l’offerta e la Morte del Divin Salvatore, ma le rinnova in modo incruento sull’altare.

Infine, come terzo motivo, San Tommaso spiega che era opportuno che questo Sacramento fosse istituito durante l’ultima cena di Cristo con i suoi discepoli, perché «ciò che viene detto per ultimo, soprattutto da amici che se ne vanno, rimane più profondamente impresso nella memoria, soprattutto perché allora l’affetto verso gli amici diventa più acceso».12

Cambiati in Dio stesso…

«Mens impletur gratia L’anima è ricolmata di grazia».

Così recita il vecchio adagio: “La persona è ciò che mangia». Ora, se la salute corporale può essere valutata dall’alimento ingerito, cosa si può dire degli effetti prodotti nell’anima di colui che si alimenta del Corpo e del Sangue di Cristo?

Nell’alimentazione corporale, i nutrienti e le vitamine penetrano nel nostro organismo diventandone parte costitutiva, come il sangue, i capelli o i muscoli, ad esempio. Tuttavia, San Tommaso chiarisce che l’alimento spirituale, cioè l’Eucaristia, possiede un effetto diverso da quello naturale: non si converte nella nostra sostanza, ma ci trasforma in quello che mangiamo.13

Nell’Eucaristia non siamo noi che assumiamo Gesù, Seconda Persona della Santissima Trinità, ma è Lui che ci assume completamente! Sicuramente qui sta l’effetto particolare e la grazia specifica di questo Sacramento: l’unione intima dell’uomo con Cristo, di modo che il fedele, ricevendo la Comunione, può esclamare come la sposa del Cantico dei Cantici: «Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me» (6, 3).

Ecco perché questo Sacramento supera in eccellenza tutti gli altri, perché in esso non riceviamo soltanto un aumento della grazia santificante, ma l’Autore stesso della grazia, che ha promesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6, 56).

Ora, quante volte ci siamo fermati a meditare su chi è questo Dio nel quale veniamo trasformati? Secondo le parole del Discepolo Amato, «Dio è amore» (1 Gv 4, 8); quindi, quando questo Dio-Amore ci assimila, siamo trasformati nella sua stessa carità… Abbiamo ragione, dunque, a chiamarlo Sacramento della carità.

A proposito di questo particolare, Alastruey scrive: «Quest’unione dell’uomo con Cristo si ottiene principalmente con la virtù della carità, che racchiude in sé una potente forza unitiva e trasformante dell’amante nell’amato».14 Senza tuttavia essere ipostatica, sostanziale o fisica, è in questa unione morale che conformiamo la nostra volontà e il nostro affetto al Suo.

Oltre a unirci a Cristo e a perfezionare in noi la virtù della carità, altri effetti derivano dalla ricezione di questo augusto Sacramento: esso aumenta la grazia santificante, sostenendo, riparando e dilettando la nostra anima, in modo analogo a quanto fanno il cibo e la bevanda nell’organismo umano; perdona i peccati veniali con la forza dell’azione della carità; previene dai peccati futuri, poiché la carità diminuisce la concupiscenza e i demoni sono sconfitti in virtù della Passione di Cristo; favorisce l’unione tra i membri del Suo Corpo Mistico.15

Questa interconnessione è stabilita attraverso la Comunione, perché una volta che in questo Sacramento siamo uniti a Cristo, Capo della Chiesa, ci deve essere necessariamente un’unione reciproca dei fedeli tra di loro, come membri di un solo Corpo: «Ci comunichiamo gli uni con gli altri e ci uniamo gli uni agli altri».16

Pegno di gloria futura

«Et futuræ gloriæ nobis pignus datur». Come abbiamo già visto, nell’Eucaristia si rinnova la Passione di Cristo; tuttavia, questo sacrificio ha raggiunto il suo culmine solo nella Risurrezione. Allo stesso modo, il banchetto eucaristico avrà la sua conclusione definitiva solo in Cielo, poiché per questo Cristo è morto e risorto. È in questo senso che San Tommaso conclude l’antifona dicendo che l’Eucaristia ci è data come «pegno della gloria futura».

«La passione di Cristo, per il cui potere questo Sacramento agisce, è causa sufficiente di gloria, non in modo che con essa siamo immediatamente introdotti nella gloria, poiché dobbiamo prima ‘soffrire con Lui’ per ‘essere con Lui glorificati’, come dice Paolo. Così anche questo Sacramento non ci introduce immediatamente nella gloria, ma ci fa ottenere la forza di arrivare alla gloria».17

Commentando questo passo dell’antifona, Torrell afferma che «l’evocazione della speranza non appare per caso poiché, se la celebrazione del Sacramento è pervasa dal memoriale della Passione, allora è anche totalmente orientata al suo compimento alla fine dei tempi, visto che essa è garanzia della gloria futura».18

Effettivamente, affinché nessuno ritenga che il Regno dei Cieli si ottiene con uno sforzo personale, il Dottore Eucaristico spiega che in questo Sacramento riceviamo Colui che, in virtù della sua Morte e Risurrezione, ci ha aperto le porte del Paradiso.19 E questo effetto escatologico del Banchetto Eucaristico è confermato dalle parole stesse di Nostro Signore: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi […] poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio» (Lc 22, 15-16).

Altare durante una Messa nella Basilica di Nostra SIgnora del Rosario, Caieiras (Brasile)

La nostra unione con Nostro Signore Gesù Cristo e con gli altri membri del suo Corpo Mistico qui sulla terra, per mezzo dell’Eucaristia, è una prefigurazione della felicità che avremo in Cielo! Se la compagnia di coloro che si amano provoca tanta gioia in questa vita, cosa si può dire della nostra piena unione con Dio e con i beati nell’eternità?

Dolore e amore: il sacrificio che porta alla gloria

Ora, cosa ha spinto Dio a darci così tanto? L’amore! Un amore smisurato, intero, completo… veramente infinito. Un amore che Si è annichilito a favore di coloro che amava, versando il suo Sangue quando è stato inchiodato a una Croce.

Quando esiste un amore vero e puro, esso porta l’amante a volersi donare completamente all’amato, in modo che nemmeno la vita corporale sia capace di frapporsi in tale donazione; se è per il bene dell’altro, egli sarà disposto a rinunciare persino alla propria esistenza. Esempio massimo di questa realtà ce lo ha offerto il Salvatore, che è morto e Si è donato agli uomini in Corpo, Sangue, Anima e Divinità: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15 ,13).

Ci fu, pertanto, una sorta di “ponte” tra l’amore manifestato durante l’Ultima Cena e l’olocausto consumato durante la Passione. Da ciò possiamo concludere che il Divin Maestro volle insegnarci che senza sofferenza non c’è amore, perché il vero amore si dimostra solo nel sacrificio.

Non disprezziamo questa lezione del Signore che abbiamo davanti a noi quotidianamente sugli altari di tutto il mondo, e cerchiamo di abbracciare con generosità tutte le prove e le croci che la Provvidenza ci manda, sapendo che alla fine riceveremo una ricompensa enorme: la perfetta unione con Cristo in Cielo! ◊

 

Note


1 LEONE XIII. Æterni Patris.

2 L’11 agosto 1264, Urbano IV emanava la Bolla Transiturus de hoc mundo, con la quale stabiliva la celebrazione solenne della festa del Corpus Domini in tutta la Chiesa.

3 FARREL, OP, Walter; HEALY, STD, Martin J. El libro rojo de Dios según Santo Tomás de Aquino. Pamplona: Don Bosco, 1980, p. 598.

4 RAMÍREZ, OP, Santiago. Introducción general. In: SANTO TOMÁS DE AQUINO. Suma Teológica. 3.ed. Madrid: BAC, 1964. v.I, p.51.

5 BIFFI, Inos. L’Eucaristia in San Tommaso “Dottore Eucaristico”. Teologia, mistica e poesia. Siena: Cantagalli, 2005, p. 9.

6 Cfr. SAN TOMASO D’AQUINO. Officium Corporis Christi Sacerdos. Vesp. II. Antiphona ad Magnificat.

7 Cfr. SAN TOMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.60, a.3; q.73, a.4.

8 Idem, q.73, a.5.

9 Cfr. idem, ibidem.

10 Cfr. RATZINGER, Joseph. La Eucaristía centro de la vida: Dios está cerca de nosotros. 2.ed. Valencia: EDICEP, 2003, p.32.

11 SAYÉS, José Antonio. El misterio eucarístico. 2.ed. Madrid: Palabra, 2011, pp.23-24.

12 SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.73, a.5.

13 Cfr. Idem, a.3.

14 ALASTRUEY, Gregorio. Tratado de la Santísima Eucaristía. 2.ed. Madrid: BAC, 1952, p.225.

15 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.79, a.4-7.

16 SAN GIOVANNI DAMASCENO. De fide orthodoxa. L.IV, c.13: PG 94, 1154.

17 SAN TOMMASO D’AQUINO. Summa Theologica. III, q.79, a.2, ad 1.

18 TORREL, Jean-Pierre. Saint Thomas en plus simple. Paris: Cerf, 2019, p.81.

19 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.79, a.2.

 

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