Irrimediabile incidente, prodigiosa guarigione

Donna Lucilia Corrêa de Oliveira fotografata da
Mons. João Scognamiglio Clá Dias,
poco prima della sua morte

Dopo l’incidente, mi sono resa conto che le mie condizioni erano molto gravi e che, se non fosse stato per un miracolo, sarei morta. Allora ho promesso a Donna Lucilia che, se mi avesse aiutato, avrei deposto per la sua beatificazione e avrei diffuso la devozione a lei. Questo è quello che faccio in queste pagine.

 

Seguendo la narrazione del Vangelo, ci imbattiamo ad un certo punto in un episodio commovente: avendo compassione per dieci lebbrosi, Nostro Signore concede loro la guarigione, ma solo uno di loro torna a rendere grazie per un dono così grande. Fatto che valse da parte del Divino Maestro il paterno ammonimento: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?” (Lc 17, 17).

La gratitudine è un dovere di giustizia, ma anche, come si dice, la più rara delle virtù. Ci vuole uno sforzo particolare da parte nostra per non dimenticarla mai.

A somiglianza di quest’uomo che non ha esitato a cercare Gesù per ringraziarLo, voglio esprimere qui la mia affettuosa e filiale gratitudine a Donna Lucilia Corrêa de Oliveira per l’immenso favore che ho ricevuto per sua intercessione, e spero che queste righe siano di beneficio spirituale per quanti le leggono.

Un incidente apparentemente irrimediabile

Condizioni dell’auto dopo l’incidente

Erano circa le due del pomeriggio del 31 marzo 2014, quando, viaggiando da Joinville a San Paolo (Brasile) sulla strada nazionale BR 101, ho subito un grave incidente. La conducente della mia auto ha dovuto frenare bruscamente a causa di un incidente non segnalato sulla strada, e la macchina dietro di noi non è riuscita a fermarsi in tempo, colpendo la parte posteriore del nostro veicolo, proprio sul lato dove mi trovavo.

È stato tutto molto veloce. Mi sono reso conto che la mia bocca sanguinava e volevo muovermi, ma non riuscivo nemmeno a muovere il collo. Mi sono resa conto che le mie condizioni erano molto gravi e che, se non fosse stato per un miracolo, sarei morta. Allora ho promesso a Donna Lucilia che, se mi avesse aiutato, avrei testimoniato per la sua beatificazione e avrei diffuso la sua devozione. Le ho anche chiesto di concedermi almeno qualche minuto in più di vita per poter ricevere l’Unzione degli Infermi. Grazie a Dio, mi ero confessata prima di iniziare il viaggio.

Mentre pregavo, ho sentito le persone che passavano per la strada gridare che la macchina avrebbe preso fuoco, perché c’era olio o del carburante sparso sulla carreggiata. Ho chiesto alle suore che mi accompagnavano – grazie alla Madonna nessuna delle quattro persone gravemente ferite – di tirarmi fuori dal veicolo. Ma non potevano farlo, era necessario aspettare i soccorsi.

Quando mi sono svegliata ero in terapia intensiva; siccome l’incidente era stato molto grave, la stampa stava già chiedendo informazioni

Arrivata l’ambulanza, i professionisti mi hanno tirato subito fuori dal veicolo. Rendendosi conto della gravità delle mie condizioni, hanno chiamato l’elicottero e sono stata portata all’ospedale di Joinville.

Mi aspettavano lì alcune suore e un sacerdote araldo, che mi ha dato immediatamente l’Unzione degli Infermi. In seguito, mi hanno portato al pronto soccorso e hanno iniziato le procedure per questo tipo di incidente. Mi ero rotta la quarta e quinta vertebra cervicale e mi ero lesionata il midollo spinale; ero tetraplegica e avevo poche possibilità di rimanere in vita.

Suor Ana Lucia in terapia intensiva

Quando mi sono svegliata, mi trovavo già nell’Unità di Terapia Intensiva. È lì che la caposala ha chiesto quando qualcuno della mia famiglia sarebbe arrivato a Joinville, perché, essendo l’incidente molto grave, la stampa stava chiedendo informazioni.

Donna Lucilia e le preghiere del fondatore

Non sapevo ancora cosa la Madonna voleva da me, fino a quando una delle suore è venuta a trovarmi, portando la notizia che Mons. João Scognamiglio Clá Dias si augurava che io vivessi. Stava pregando molto per me e aveva affermato che sarei uscita fuori da quella situazione tragica. La suora ha anche commentato che dopo la partenza dell’elicottero, esse hanno potuto contemplare un bellissimo arcobaleno sul luogo dell’incidente, che dava un’idea di speranza in mezzo a quella catastrofe.

Tutto questo mi ha dato una grande forza, malgrado più volte sembrasse che sarei morta. In uno dei primi giorni di terapia intensiva, per esempio, stavo facendo fisioterapia respiratoria, quando la mia ossigenazione è diminuita e ho iniziato a sentire mancanza d’aria. Ho perso conoscenza e, quando l’ho recuperata dopo alcune ore, non potevo più parlare, perché mi hanno dovuto intubare.

Due giorni dopo il ricovero in ospedale, sono stata sottoposta a un intervento chirurgico molto delicato al collo. 1 Il professionista responsabile dell’operazione chirurgica ha poi commentato che aveva fatto il suo dovere di medico, ma non vedeva in me alcuna speranza di sopravvivenza. Ricordo che quando è venuto a trovarmi, mi ha chiesto cosa volessi, e io ho risposto solo muovendo le labbra, perché non potevo parlare, che volevo la guarigione. Allora mi ha detto: “Ah, ma questo, lo può solo il Padre del Cielo”.

Nei lunghi periodi di solitudine e di dolore, ciò che più mi consolava e mi incoraggiava era guardare la foto di Donna Lucilia

Ciò che mi dava più forze di lottare per la vita era pensare che Mons. João stava pregando per me e voleva davvero che io vivessi. Credo che sarei morta per questo incidente, ma le sue preghiere – includeva sempre la mia guarigione nelle intenzioni delle sue Messe – e soprattutto il suo desiderio, come fondatore, hanno cambiato i piani di Dio a mio riguardo. Così, durante i lunghi periodi di solitudine e di dolore, mi dava coraggio guardare la foto di Donna Lucilia che è rimasta con me in ospedale durante i quasi tre mesi che vi ho trascorso, e ricordare le parole di Mons. João su di me quando collocava le intenzioni delle sue Messe: “Che Suor Ana Lucia viva, viva e viva!”

Mons. João Scognamiglio Clá Dias, EP

Trascorsi alcuni giorni, un sacerdote araldo, che è anche medico, è venuto da San Paolo a farmi visita alla Terapia Intensiva e a verificare il mio stato di salute. Lui ha avuto la bontà di telefonare a Mons. João, affinché mi dicesse alcune parole: “Salve Maria, figliola! Non preoccuparti. Starai bene, vivrai e camminerai. Già ti vedo camminare”.

“Tua figlia è la paziente più grave dell’Unità di Terapia Intensiva”

Sarebbe troppo lungo raccontarvi tutto quello che mi è successo in quel periodo. Basti dire che ho documentato e conservato tutti gli esami e i referti dell’evoluzione medica, in un volume di circa cinquecento pagine

A causa di episodi di atelettasia, i miei polmoni molte volte quasi si chiudevano e non riuscivo a respirare; ho usato un drenaggio toracico; ho avuto due polmoniti; ho dovuto ricevere una trasfusione di sangue; usavo una sonda nasale e vescicale; sono stata sottoposta a gastrostomia, perché non riuscivo nemmeno a ingoiare la mia saliva.

Sono stata cosciente praticamente per tutto il tempo e, essendo il mio letto di fronte al banco dei medici e degli infermieri, ascoltavo le informazioni trasmesse ad ogni cambio di turno. Comprendevo bene che il quadro era gravissimo, al punto che un’infermiera ha detto a mia madre: “Sua figlia è la paziente più grave dell’Unità di Terapia Intensiva”.

Nonostante le notizie preoccupanti che gli giungevano, lui manteneva una fede incrollabile nella mia guarigione

Una delle dottoresse che ha seguito il mio caso ha commentato ad un sacerdote che mi aveva fatto visita: “Questa, se sopravvive, resterà così
” La mia situazione peggiorava ogni giorno, aumentando la certezza che sarei sopravvissuto solamente per un miracolo.

Intanto, Mons. João manteneva una fede incondizionata nella mia guarigione. Nonostante le notizie preoccupanti che gli giungevano riguardo alla mia condizione, egli continuava ad affermare: “Lei vivrà e starà bene”. E continuava a pregare: “Per la guarigione di Ana Lucia”.

Un sogno premonitore del miglioramento inspiegabile

Poiché è permesso dalla Chiesa di rinnovare l’Unzione degli Infermi ogni volta che c’è pericolo di morte, ho ricevuto questo Sacramento più di una volta nel corso di quelle settimane, finché il mio caso ha cominciato a stabilizzarsi un po’ e mi hanno dimesso dalla Terapia Intensiva. Tutti gli araldi erano molto contenti e sorpresi della notizia, ma quando hanno raccontato a Mons. João, lui non si è sorpreso e ha esclamato: “L’avevo detto, lei ne uscirà da tutto questo”.

Uno momento della vita comunitaria nella Casa Santa Ildegarda,
della quale Suor Ana Lucia è responsabile

Nella stanza d’ospedale, ho avuto ancora gravi complicazioni, soprattutto per quanto riguarda la parte respiratoria, perché l’ossigenazione diminuiva con una certa frequenza. Stando sdraiata, non c’era una posizione in cui non sentissi dolore. Inoltre, non riuscivo a stare seduta per molto tempo e, per passare dal letto alla poltrona, o viceversa, era necessario che il personale infermieristico eseguisse un’operazione complicata.

Un sabato mattina, un certo medico che seguiva il mio caso ma che da un po’ di tempo non mi visitava, è venuto nella stanza per raccontare un sogno che aveva fatto su di me, in cui parlavo e mi muovevo
cosa che non facevo più. Come rimase sorpreso entrando, nel vedermi muovere le mani e sentirmi pronunciare qualche parola, nonostante la voce fosse ancora deformata per la tracheotomia realizzata a un certo momento. Se ne è andato emozionato e ha detto a mia sorella: “Questo è un miracolo. Dio esiste davvero!”

A poco a poco, senza alcuna spiegazione clinica, sono migliorata e quasi non correvo più rischio di vita. Ho iniziato gradualmente a muovere gli arti superiori, finché un giorno uno dei professionisti che mi assistevano è venuto a visitarmi e mi ha detto: “Ana, lei, che è tetraplegica, deve essere contenta se un giorno potrà manovrare la sua sedia a rotelle ed essere così indipendente”. Allora ho risposto: “Non sono tetraplegica, e con la grazia che Donna Lucilia mi darà e le preghiere del mio fondatore, camminerò!”

Detto questo, ho cominciato a muovere la gamba
Le infermiere che erano nella stanza si sono messe a piangere di emozione e sono uscite urlando nel corridoio al sesto piano dell’ospedale quello che era successo. La dottoressa si è spaventata ed ha esclamato: “Come fa lei, che è tetraplegica, a muovere la gamba? Ana, che Santo ha pregato?!” Le ho indicato la foto di Donna Lucilia e ho raccontato che dal momento dell’incidente le avevo chiesto il miracolo, promettendo che avrei dato la mia testimonianza per la sua beatificazione. Ho anche commentato che la stessa dottoressa avrebbe potuto dare la sua testimonianza in quanto medico, al che mi ha risposto: “Andiamo a Roma, che io voglio parlare con il Papa!”

Il mio caso ha riacceso la fede in molti cuori

A partire da quel giorno, molti operatori ospedalieri venivano in camera mia a chiedere preghiere. Una volta una signora, riferendosi alla foto di Donna Lucilia, ha confidato: “La guardo e sento il bisogno di chiedere una grazia”. E un’infermiera mi ha raccontato: “Ana, lei è il nostro miracolo. Il suo caso è il più commentato dell’ospedale!”.

Un altro aspetto della vita comunitaria nella Casa Santa Ildegarda

Questa professionista si sentiva così attratta dalla storia di Donna Lucilia che le ha chiesto la grazia di avere un altro figlio, perché ne aveva solo uno e a causa di problemi di salute non riusciva più a rimanere incinta. Qualche mese dopo, ho potuto parlarle al telefono e lei mi ha detto che aveva ricevuto la grazia e che presto avrebbe dato alla luce un altro bambino.

Un’infermiera del turno di notte, cattolica, ma lontana dalla Chiesa, ha commentato: “Non so esattamente perché abbia subito questo incidente, ma penso che potrebbe essere stato affinché le persone crescessero nella fede.

Molta gente qui in questo ospedale non aveva più fede e diceva che non ci sono miracoli ai nostri giorni; ora, molte persone si stanno convertendo”.

Confidando nella sua bontà e intercessione non si è mai abbandonati e non c’è mai una situazione senza via d’uscita

L’infermiere che mi ha ricevuto quando sono arrivata al pronto soccorso portava sempre i suoi studenti di infermieristica a farmi visita, raccontando loro il miracolo del mio essere viva e l’evoluzione inaspettata del mio caso.

Infine, l’11 giugno, ho fatto qualche passo nel corridoio dell’ospedale, con due fisioterapisti che mi aiutavano. A questa scena hanno assistito medici, infermieri, tecnici infermieristici e pazienti che erano lì.

Oggi ho una vita normale, con soltanto pochi postumi per quanto riguarda la forza degli arti superiori e inferiori della parte sinistra. Continuo a fare fisioterapia motoria una volta alla settimana, ma sono indipendente, cammino senza deambulatore e senza alcun tipo di sostegno, e sono responsabile di una delle case che la Società di Vita Apostolica Regina Virginum possiede a San Paolo.

Un altro momento della vita comunitaria nella Casa Santa Ildegarda

Insomma, ci sono state innumerevoli circostanze nella mia vita in cui ho potuto verificare la protezione materna di Donna Lucilia, ma dopo questo incidente sono stata consolidata nella certezza che, confidando nella sua bontà e intercessione, non si è mai abbandonati e non c’è mai una situazione priva di una via di uscita, per quanto brutti siano i disastri per i quali passiamo. Infatti, come disse una volta il Dott. Plinio, Donna Lucilia “possiede un amore traboccante non solo verso i due figli che ha avuto, ma anche verso i figli che non ha avuto. Si direbbe che era fatta per avere migliaia di figli” 2

 

Note

1 Subito all’inizio, una trazione halo-cranica è stata eseguita per ridurre la frattura-lussazione della quarta e quinta vertebra cervicale. L’intervento chirurgico, accedendo dalla parte anteriore del collo, è consistita nella decompressione del midollo spinale (corpectomia) e nella fissazione dalla terza alla sesta vertebra cervicale attraverso una placca (artrodesi).
2 CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. Donna Lucilia. Città del Vaticano-São Paulo: LEV; Lumen Sapientiæ, 2013, p.615.

 

 

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