La Compagnia di Gesù di fronte alle persecuzioni – Resistenza e reazione!

«Abbiamo bisogno della nostra reputazione per esercitare fruttuosamente l’apostolato; non possiamo né dobbiamo subire il peso di una calunnia. È necessario, quindi, che ci venga fatta giustizia per la maggior gloria di Dio».

Un’imbarcazione che affronta il mare in tempesta, rischiando di affondare da un momento all’altro e resistendo all’impatto delle ondate violente, può servire come analogia alla parabola di alcuni uomini e donne che hanno segnato la Storia della Chiesa e delle nazioni per le loro virtù eroiche.

Queste anime hanno attraversato situazioni parossistiche, contraddittorie e umilianti, secondo l’opinione del mondo, e hanno lasciato alle generazioni future un notevole esempio di resistenza. Esse hanno compreso il linguaggio dei saggi e hanno seguito la strada indicata dal Redentore: l’obbedienza alla volontà del Padre!

Chi erano?

Ritorniamo al XVI secolo. Innumerevoli navi sfidavano gli oceani e navigavano intorno al mondo per soddisfare i desideri dei grandi sovrani. A quel tempo, in Spagna, la Santissima Vergine conquistò il cuore di un uomo dall’animo ardente e cavalleresco: Íñigo López de Loyola.

Dopo la celebre conversione di colui che a partire da allora sarebbe stato chiamato Ignazio, l’illustre guerriero – nobile di lignaggio, ma soprattutto di carattere – guidato dal soffio dello Spirito Santo, radunò alcuni uomini per costituire una squadra in difesa della nave di Pietro. Essi attiravano l’attenzione ovunque andassero: nelle piazze, nei collegi, nelle università, nelle corti, sui pulpiti e in altri ambienti ecclesiastici, erano oggetto di applausi o di censure. Disposti ad affrontare qualsiasi rischio, educavano le coscienze “riformate” dalle eresie dell’epoca.

Come definirli? Intrepidi missionari? Diplomatici accorti? Simpatici consiglieri? Saggi educatori? Umili religiosi o pii sacerdoti? Chi erano? «A coloro che ci chiedono che cosa siamo, risponderemo che siamo soldati della Santa Chiesa, arruolati sotto la bandiera di Gesù Cristo, e che formiamo la Compagnia di Gesù»,1 aveva dichiarato il fondatore ai suoi primi discepoli.

Nuovi apostoli di Gesù Cristo

In un’epoca in cui l’eresia di Lutero infondeva negli animi lo spirito di insubordinazione e di rivolta contro l’autorità spirituale e temporale, al Sommo Pontefice conveniva accogliere questi uomini che gli offrivano scienza, talento e, soprattutto, uno zelo sconfinato per l’ortodossia. Papa Paolo III seppe vedere nella nascente Compagnia una potente arma con cui Dio muniva la sua Chiesa. Egli affidò ai gesuiti cattedre dalle quali avrebbero potuto insegnare la sana dottrina e combattere l’errore. Quanto al santo fondatore, gli fu affidata la missione di predicare la riforma dei costumi a Roma, che giaceva tristemente corrotta dall’immoralità.

I santi uomini gesuiti lasciarono ai secoli futuri un esempio di resistenza nelle persecuzioni
Sant’Ignazio di Loyola con le Costituzioni della Compagnia di Gesù – Palazzo Ducale, Gandia (Spagna)

Sant’Ignazio predicava nelle strade e nelle piazze pubbliche, senza tener conto di quanto era preso in giro per il fatto di non parlare bene l’italiano. La santità della sua vita e la dolcezza delle sue parole soggiogavano la folla di coloro che si facevano beffe di lui, che presto si accalcavano per ascoltarlo. E così iniziò l’espansione dell’Ordine.

Tuttavia, il male non tardò a presentarsi sotto “veste di pecora” allo scopo di distruggere quest’apostolato. Per farlo, fece ricorso a un trucco millenario: la diffamazione.

«Che ci sia fatta giustizia!»

In quel periodo, predicava nella Città Eterna anche un frate agostiniano, di nome Agostino di Piemonte, che godeva di grande accettazione da parte dei fedeli. Le sue parole, però, erano ben lontane dal meritare l’ammirazione che suscitavano.

Dopo qualche tempo divenne chiaro ad alcuni che il prospero predicatore era in realtà un sostenitore segreto di Lutero. Avvertito di questo, Sant’Ignazio lo ammonì con prudenza e carità, ma il perfido monaco si adirò e, temendo l’Inquisizione, denunciò i gesuiti come autori delle eresie di cui era accusato, menzionando persino l’esistenza di presunte prove.

E il popolo? Credette ciecamente alle calunnie che venivano dal pulpito… I gesuiti, fino ad allora venerati da tutti, diventavano ora oggetto di orrore. Ma il rifiuto popolare non riuscì a spaventare la piccola Compagnia di Gesù; al contrario, suscitò nell’animo del santo fondatore una reazione che i suoi avversari non si aspettavano.

«Avete ragione a mantenere la calma», disse ai suoi discepoli, «ma noi abbiamo bisogno della nostra reputazione per esercitare in modo fruttuoso l’apostolato; non possiamo né dobbiamo subire il peso di una calunnia che renderebbe impossibile o infruttuoso il nostro ministero; è quindi necessario che ci sia resa giustizia per la maggior gloria di Dio, Nostro Signore».2 Siccome lo Spirito Santo guidava quegli uomini, mediante la loro reazione virtuosa la verità venne a galla. Agostino dovette dichiararsi seguace di Lutero e i suoi complici furono processati e condannati.

Il martirio in alto mare

Circa sessantacinque anni dopo la fondazione della Compagnia, trascorsi in mezzo a molte altre persecuzioni, l’odio dei nemici di Cristo si scatenò con virulenza contro di essa, questa volta in un attacco feroce.

Durante il generalato di San Francesco Borgia, una difficile missione attirò lo zelo di numerosi gesuiti. Si trattava di partire per il Nuovo Mondo sotto la direzione del Beato Ignazio de Azevedo, il quale, dopo aver realizzato una prima ricognizione nella Terra di Santa Croce, era tornato in Europa in cerca di altri apostoli.

Dopo l’approvazione del suo Superiore Generale e del Papa, egli partì da Lisbona portando con sé settanta missionari divisi in tre imbarcazioni. Tuttavia, a causa di una violenta tempesta, la nave San Diogo, che trasportava Ignazio de Azevedo e altri trentanove missionari, finì per separarsi dalle altre. Apparvero, allora, intorno a loro, cinque navi corsare, una delle quali al comando del pirata calvinista Jacques Sourie. Quest’uomo infame, inveendo con odio satanico, rivelò il motivo che lo spingeva ad attaccarla: «Ai gesuiti! Ai gesuiti! Nessuna tregua per queste canaglie! Stanno andando in Brasile per diffondere il seme delle false dottrine; finiamoli!» 3

Iniziò una terribile carneficina e i figli di Sant’Ignazio diedero la vita, uno ad uno, in un martirio folgorante. Fu risparmiato soltanto il frate Giovanni Sanchez, condannato a servire come cuoco per i calvinisti. Le acque del mare, rosse di sangue innocente, ebbero l’onore quel giorno di essere il palcoscenico di questo episodio eroico e la testimonianza del coraggio di questi guerrieri di Gesù Cristo. Era il 15 luglio 1570.

Dopo che trentanove membri della Compagnia erano già saliti al Cielo, si udì un grido sul ponte:

— Sono qui! Anch’io sono della Compagnia di Gesù!

— «Tu non porti l’abito di questi papisti, non meriti la morte», gli rispose Jacques.

Nello stesso istante, il ragazzo si chinò su un corpo che giaceva lì, lo spogliò della tonaca insanguinata e, dopo averla indossata, disse al corsaro:

— Eccomi qui! Durante il viaggio ho ammirato le virtù dei gesuiti, li ho amati, mi sono sentito chiamato alla loro Compagnia, ho chiesto a Padre Azevedo di accogliermi tra i postulanti, e lui me lo ha promesso; vi chiedo di mantenere ora la sua promessa.

Era Giovanni, nipote del capitano della nave. Non accontentandosi di rimanere su questa terra quando il suo cuore era già in Cielo, questo giovane completò con il suo coraggio il numero dei quaranta martiri del Brasile.

Reazione protetta dal Cielo

Compagnia di Gesù! Il suo semplice ricordo suscitava la pietà di innumerevoli cattolici, facendo loro ripetere con riverenza il dolce nome del Redentore! Ma poiché la sorte dei giusti è la tribolazione, nuovi venti contrari non tardarono a tormentarla.

Papa Sisto V, eletto il 24 aprile 1585, cercava di coinvolgere il maggior numero possibile di Ordini monastici in alcune dispute politiche in Francia. Il Superiore Generale dei gesuiti, Claudio Acquaviva, aveva però proibito ai suoi religiosi di entrare in tali questioni, al fine di preservare lo spirito della Compagnia entro i limiti stabiliti da Sant’Ignazio.

Avendone avuta notizia, il Santo Padre ne fu contrariato e considerò il fatto come un’opposizione… Cominciò a lamentarsi dell’eccessivo potere attribuito al Generale gesuita dalle costituzioni dell’Ordine e decise di modificarle. I cambiamenti da lui proposti, tuttavia, avrebbero rovinato l’economia della congregazione e avrebbero essenzialmente adulterato il suo spirito, se fossero stati applicati.

Ispirato da Dio, Claudio Acquaviva decise di non rassegnarsi a questa battuta d’arresto. Mostrò gli inconvenienti, insistette e fece capire al Sommo Pontefice l’impossibilità di conciliare il pensiero del fondatore con una costituzione così differente da quella che aveva creato; e così ottenne alcune concessioni. Sisto V, tuttavia, si mostrava irremovibile nel voler cambiare il nome dell’Ordine.

«Acconsento a che usino il nome di gesuiti, diceva frequentemente il Papa, in privato. Ma non permetterò mai che l’Ordine usi il nome di Compagnia di Gesù! Compagnia di Gesù!, ripeteva. Chi sono questi sacerdoti di cui non si può parlare senza scoprirsi la testa?»4

Il Generale dell’Ordine «pregava e sperava nel soccorso dall’alto, sempre lottando, ma con così tanta mansuetudine nella sua fermezza e un tale rispetto nel suo linguaggio, che il Papa non poteva ritenersi offeso dalla sua umile resistenza».5 Tuttavia, aveva fatto voto di obbedienza al Sommo Pontefice e dovette alla fine sottomettersi alle determinazioni papali: egli stesso avrebbe dovuto redigere un documento in cui si richiedeva il cambio di nome della Compagnia, poiché il Pontefice non voleva che questa iniziativa ricadesse su di lui, ma che si giudicasse che egli l’aveva solo permessa. Fatto questo, Acquaviva si presentò a Sisto V. Quest’ultimo, soddisfatto, prese il documento, lo lesse e lo chiuse a chiave nella sua scrivania. Era il 18 agosto 1590.

Dopo quell’incontro, il Padre Generale raccomandò ad alcuni dei suoi novizi di iniziare una novena supplicando la protezione divina. E le loro preghiere furono presto esaudite, in modo del tutto inaspettato: l’ultimo giorno della novena, il Pontefice, da tempo affetto da una malattia mortale, stremato dalle fatiche e dagli anni, esalò il suo ultimo respiro senza aver ancora promulgato il decreto che avrebbe abolito il titolo dell’Ordine. Il 5 dicembre dello stesso anno, Gregorio XIV promulgò una bolla che confermava all’opera di Sant’Ignazio l’amato nome di Compagnia di Gesù. Si trattava, senza dubbio, della zelante protezione del fondatore che, dall’eternità, continuava a guidare la sua squadra.

La triste soppressione dell’Ordine

Dopo questa vittoria, sotto il suo glorioso e onorato nome, l’Ordine di Sant’Ignazio ha attraversato circa due secoli lavorando per la salvezza delle anime, l’evangelizzazione del mondo e la difesa della Chiesa, fino a quando diventò del tutto insopportabile all’inferno. Questo, in combutta con l’avidità di certi principi e governanti, decise di porre fine alla sua esistenza. E, in effetti, lo fece.

Il 21 luglio 1773, le campane della Chiesa del Gesù suonarono a un’ora insolita, richiamando l’attenzione del Vaticano:

— Perché le campane suonano al Gesù? – chiede il Sommo Pontefice.

— È per annunciare la novena in onore di Sant’Ignazio, Santità.

— Vi sbagliate – risponde il Papa, con profonda tristezza – non è per i Santi che il Gesù suona. È per i morti!

Quel giorno il Cardinal Marefoschi presentò a Clemente XIV il documento Dominus ac Redemptor, che sopprimeva la Compagnia di Gesù in tutto il mondo. Si trattava non di una bolla, che avrebbe vincolato i prossimi successori di San Pietro, ma di un breve, documento facilmente revocabile, che il Pontefice aveva acconsentito a firmare unicamente a causa delle eccessive pressioni dei nemici della Società. Tuttavia, le sue conseguenze erano comunque gravi. «Il Papa firma il breve e, dice il Cardinal Pacca nelle sue Memorie, dopo averlo firmato, getta la carta da una parte, la penna d’oca dall’altra e impazzisce! Quella firma era costata la ragione allo sfortunato Pontefice! A partire da quel giorno, egli godette delle sue facoltà mentali solo per brevi istanti».6

Essendo la loro esistenza diventata insopportabile per l’inferno, i gesuiti si confrontarono con una nuova e terribile prova: la soppressione dell’Ordine
In primo piano, Papa Clemente XIV – Museo di Rimini; sullo sfondo, Chiesa del Gesù – Roma

Non c’era una prova che li incriminasse…

Meno di un mese dopo questo episodio, nella prima serata del 16 agosto, un sacerdote, accompagnato da soldati e poliziotti dello Stato Pontificio, fece aprire le porte del Gesù. Mostrò al Superiore Generale, Padre Lorenzo Ricci, l’ordine di soppressione della Compagnia. Dopo aver letto il documento, gli agenti iniziarono a sigillare gli archivi, le carte dei sacerdoti, i libri contabili, la procura, la sacrestia…

Il 22 settembre, il Padre Generale fu rinchiuso insieme ad alcuni altri gesuiti nelle prigioni di Castel Sant’Angelo, per presunta volontà del Papa, che era demente, ma in nome del quale si faceva comunque tutto.

In realtà, ciò che si cercava in tutte le case dei gesuiti era il denaro. «Si parlava tanto delle loro ricchezze, delle miniere d’oro del Paraguay, della fortuna che i grandi nobili portavano all’istituzione, che ognuno si sfregava le mani nella speranza di avere una buona parte del bottino».7 In questo senso, le vittime innocenti venivano interrogate con insistenza.

— È stata apportata qualche modifica all’istituto durante il suo governo? – chiese un avvocato al Superiore Generale.

— Assolutamente nessuna. Sono stato attento a preservarne l’integrità.

Ci sono stati abusi nell’Ordine?

— Non c’è stato abuso, di nessun tipo, per la misericordia divina. Al contrario, nella Compagnia regnava molta carità, dimostrata in quindici anni di estreme tribolazioni, in cui non si sono visti sconvolgimenti o tumulti interni, e tutti sono rimasti molto legati al loro stato.

— Dove sono i tesori dell’Ordine? Avete mobili o denaro nei sotterranei del Gesù? Avete inviato denaro fuori Roma?

— Non esiste nessun tesoro. La credenza di tesori applicati o nascosti è solamente una diceria popolare senza fondamento, inventata forse dai nemici o provocata dallo splendore delle nostre chiese; è un vero e proprio delirio, e non riesco a capire come persone di merito possano credere a questa favola. Dopo tante ricerche fatte a Roma e altrove, ci si dovrebbe finalmente convincere di questo.

Minuziose indagini continuarono, senza alcun risultato. Alla fine, nessuna prova poté giustificare la chiusura dell’Ordine o la detenzione dei suoi membri. «Il Papa, la cui agitazione morale era estrema, spesso camminava a passo spedito nei suoi appartamenti, gridando: ‘Perdono! Perdono! Mi hanno obbligato loro!’. Il rimorso lo dilaniava, nonostante la sua demenza, e non lo lasciava riposare né di giorno né di notte».8

Un esempio da seguire!

Senza mai abbandonare la loro obbedienza incondizionata, religiosa ed estasiata, non solo nei fatti qui presentati, ma in innumerevoli altre occasioni, i santi uomini gesuiti hanno lasciato ai secoli futuri un esempio di resistenza in mezzo alla persecuzione. Odiata e tradita, ma mai dimenticata! – l’armata cattolica fondata da Sant’Ignazio ci insegna che le raccomandazioni evangeliche sulla mansuetudine di fronte ai nostri nemici personali non si applicano ai nemici della Chiesa. Questi sono avversari di Dio stesso, che dobbiamo affrontare con l’astuzia del serpente (cfr. Mt 10, 16) e alle cui trame dobbiamo resistere saldi nella fede (cfr. 1 Pt 5, 9), se vogliamo che il Regno di Cristo si stabilisca sulla terra.

Preghiamo dunque i Santi di questa gloriosa milizia che ci ottengano da Dio la medesima carità che li ha animati durante la loro vita, affinché possiamo attirare il maggior numero di anime nel seno della Santa Chiesa, rispettare e perdonare con illimitata pazienza i nostri fratelli nella fede, e combattere «ad maiorem Dei gloriam»9 tutti coloro che rifiutano, su se stessi e sul mondo, l’impero di Gesù Cristo!

 

Note


1 DAURIGNAC, J. M. S. História da Companhia de Jesus. Rio de Janeiro: CDB, 2018, t.1, p.36.

2 Idem, p.40.

3 Idem, p.160.

4 Idem, p. 225. Era una pia usanza del popolo cristiano che gli uomini si «scoprissero il capo» quando sentivano il nome di Gesù.

5 Idem, ibidem.

6 DAURIGNAC, J. M. S. História da Companhia de Jesus. Rio de Janeiro: CDB, 2018, t.2, p.190.

7 Idem, p.193.

8 Idem, p.195.

9 Dal latino: «Alla maggior gloria di Dio». È il motto dei gesuiti, composto dallo stesso Sant’Ignazio di Loyola.

 

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