La lotta contro il demonio – La nostra lotta è contro i Principati e le Potestà

In un mondo che familiarizza ogni giorno di più con la drammatica realtà della guerra, il cattolico può essere portato a dimenticare che le battaglie più serie della vita non sono quelle combattute con armi e nemici fisici.

Invitiamo il lettore a individuare il contesto storico e geografico in cui è stata scritta la lettera che segue:

Mio caro Malacoda,

la notizia più allarmante del tuo ultimo resoconto del paziente è che egli non ha nessuna di quelle risoluzioni piene di confidenza che segnarono la sua conversione primitiva. Non fa, mi pare, larghe promesse di virtù perpetua; neppure si aspetta una dotazione di “grazia” per tutta la vita, ma spera unicamente in una razione giornaliera e di ogni ora per andare incontro alla tentazione di ogni giorno e di ogni ora! Molto male!

Secondo me, per il momento, v’è una cosa sola da fare. Il tuo paziente è diventato umile; glielo hai fatto notare? Tutte le virtù sono per noi meno formidabili una volta che l’uomo è consapevole di possederle, ma ciò è vero in modo particolare a proposito dell’umiltà. Sorprendilo nel momento che ha lo spirito veramente depresso, e contrabbanda nella sua mente la riflessione consolante: «Per Giove! Ma io sono umile!» e quasi immediatamente l’orgoglio – l’orgoglio della sua stessa umiltà – farà la sua apparizione. Se s’accorge del pericolo e tenta di soffocare codesta nuova forma d’orgoglio, fallo inorgoglire del suo tentativo e così di seguito, per tutte le fasi che vorrai. Ma non tentare ciò per troppo lungo tempo, perché c’è il pericolo di svegliare in lui il senso dell’umorismo e della proporzione. Nel qual caso ti riderà in faccia, e se ne andrà a dormire. […]

Tuo affezionatissimo zio,

Berlicche

Il lettore non si allarmi. Questo estratto sembra davvero avere per autore un “essere degli abissi” e la missiva si applica a tutti i tempi e a tutti i luoghi. Questa era infatti l’intenzione di Clive Staples Lewis, il cattedratico britannico autore de The Screwtape Letters, pubblicate in Italia con il titolo “Le lettere di Berlicche”.1

Nell’opera, Lewis ritrae in modo umoristico e satirico i consigli di Berlicche un “demone laureato” e specialista nel mestiere di condurre anime alla perdizione, al suo inesperto nipote Malacoda. In trentuno lettere, vengono presentate le più svariate tattiche utilizzate dallo spirito infernale per ingannare un giovane – il “paziente” –, allontanarlo da Dio – il “Nemico” – e condurlo all’inferno, alla “visione miserabile”, dove Lucifero è trattato come il “nostro padre negli abissi”. Sono pagine ricche di nozioni di Teologia, Antropologia e Spiritualità, che rivelano nell’autore una profonda conoscenza della psicologia dell’essere umano e delle tentazioni diaboliche.

Nella sua prefazione, Lewis sottolinea due errori che le persone spesso commettono nel considerare gli esseri infernali: non credere nella loro esistenza o, se ci credono, nutrire un interesse eccessivo e malsano nei loro confronti. Per questo motivo, lo scrittore inglese conclude: «I diavoli sono contenti di ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il materialista o il mago».2 Affinché non incorriamo in queste deviazioni, è indispensabile conoscere l’insegnamento della Chiesa sull’argomento.

Una visione equilibrata

L’esistenza dei demoni è considerata una verità di Fede, attestata da abbondanti testimonianze bibliche tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento. Questa dottrina è stata riaffermata in diverse occasioni nella Storia della Chiesa, fin dai primi tempi. Il solo Concilio Vaticano II, ad esempio, fa diciotto allusioni al demonio. Non c’è quindi modo di dubitare dell’esistenza degli angeli cattivi nella creazione senza contraddire il Magistero. Si tratta di esseri molto reali, che si aggirano intorno a noi come un leone ruggente che va in giro cercando chi divorare (cfr. 1 Pt 5, 8).

Tuttavia, non dobbiamo commettere l’errore, molto comune anche ai nostri giorni, di attribuire agli spiriti maligni una forza onnipotente e irresistibile. Si sbaglia, e di grosso, chi pensa che il demonio sia una sorta di anti-Dio con piena libertà di azione sull’universo…

Il Catechismo3 ci insegna che la forza di Satana non è infinita. Si tratta di una creatura potente – dopo tutto, possiede la natura angelica – ma agisce solo in accordo con i permessi divini e non può impedire la costruzione del Regno di Dio. Che follia rivolgersi alle forze demoniache per ottenere qualche beneficio o risolvere qualche problema personale! Il diavolo non dà mai ciò che promette; può offrire benefici, ma solamente in modo illusorio e menzognero.

«Anti-angeli custodi»?

Meno unanime dal punto di vista teologico è la tesi avanzata da alcuni autori, secondo cui per ogni uomo esiste un “demonio della perdizione” – uno spirito malvagio che ci tenta costantemente, in contrapposizione al nostro Angelo Custode personale.

Miniatura di un salterio francese del XIII secolo – J. Paul Getty Museum, Los Angeles (Stati Uniti)

Troviamo questa ipotesi teologica formulata nella letteratura ebraica fin dall’Antichità, ad esempio nel libro apocrifo Testamento dei dodici patriarchi 4 e nelle opere del filosofo ebreo Filone di Alessandria.5 Nelle scoperte dei manoscritti di Khirbet-Qumran nel 1947, quando furono fortuitamente rinvenuti diversi scritti preziosi e antichissimi, venne alla luce anche un manuale di disciplina, la regola dell’antica fazione ebraica degli Esseni. In esso si menzionano “due spiriti” – uno di verità e l’altro di falsità – che accompagnano sempre l’uomo nel suo cammino su questa terra.6

Nella letteratura cristiana dei primi secoli, la tesi fu accettata da autori illustri come Erma,7 Origene8 e San Gregorio di Nissa.9 Quest’ultimo sostiene che Satana, cercando di imitare il Creatore che ha posto al nostro fianco un aiutante celeste, designa un demonio perverso per condurci continuamente in errore. Per questo motivo, ogni uomo si trova tra questi due spiriti e detiene il potere di far trionfare l’uno o l’altro. Risulta molto illuminante attribuire al principe delle tenebre questa specie di mania di parodiare in tutto, a modo suo, il comportamento divino. In realtà, non è affatto originale…

Che si abbia o meno un “demonio della perdizione” al nostro fianco, certo è che i nostri nemici non riposano. Ci vediamo tentati in ogni istante e, in mezzo ai rischi imminenti di questa guerra senza quartiere, dobbiamo saperci difendere… e contrattaccare. In fin dei conti, come insegnava il generale prussiano Carl von Clausewitz,10 sono i deboli che devono essere sempre armati per non essere colti di sorpresa.

Conoscere il nemico

Presupposto indispensabile per combattere qualsiasi battaglia è la conoscenza del nemico e delle sue tattiche, del campo dove si svolgerà la battaglia, di vantaggi e svantaggi della propria posizione.

Nella nostra lotta per la perseveranza, abbiamo un avversario – il male – che si organizza su fronti distinti di combattimento: il mondo, la carne e il demonio. E il conflitto si svolge nel teatro di guerra della nostra stessa anima.

La debole natura umana, decaduta a causa del peccato originale, deve scontrarsi con se stessa, perché «la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne» (Gal 5, 17). E, come se non bastasse questa lotta contro i movimenti disordinati della nostra natura, dobbiamo anche affrontare il mondo, a volte in una lotta con uomini così malefici e perversi da sembrare peggiori dei demoni stessi…

Queste due concupiscenze sarebbero già sufficienti per consentirci di esercitarci nella virtù attraverso un combattimento continuo. Tuttavia, secondo San Tommaso d’Aquino, «questo non è sufficiente per la malvagità dei demoni».11 Ed ecco il nostro terzo fronte di battaglia: la lotta contro «i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.» (Ef 6, 12).

L’assalto nemico

Conosciamo già il nemico. Vediamo ora quali sono le sue tattiche di guerra.12

“Il tentatore” – Musée de l’Œuvre Notre-Dame, Strasburgo (Francia)

Il Libro della Genesi ci offre un resoconto dettagliato della prima tentazione nella storia dell’umanità, quella che portò Adamo ed Eva a disobbedire a Dio e a contrarre la colpa originale. Da questa narrazione possiamo trarre preziosi insegnamenti e vedere con nitidezza i trucchi che, in termini generali, il tentatore utilizza per condurre gli uomini al peccato nel corso di tutti i tempi.

In primo luogo, il Serpente fa una discreta insinuazione: «È vero che Dio ha detto: ‘Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?’» (3, 1).

Il demonio inizia portando la conversazione sul terreno che più gli conviene. Così, alle persone particolarmente inclini alla sensualità o ai dubbi contro la Fede, parlerà loro in termini generali, senza ancora incitarli al male: «È vero che Dio esige una cieca adesione della vostra intelligenza alle verità della Fede, o la completa immolazione di tutti i vostri appetiti naturali?».

Non dobbiamo mai entrare in dialogo con il tentatore. E ci sono due modi per resistere: direttamenteper esempio, parlando bene di una persona quando ci sentiamo tentati dalla maldicenza, o facendo un atto pubblico di manifestazione della fede quando il rispetto umano ci spinge a vergognarci della Religione – o indirettamente, cosa che accade soprattutto nelle tentazioni che si riferiscono alla fede o alla castità, dalle quali dobbiamo immediatamente prendere le distanze, perché in questi casi vince chi fugge. L’argomentazione logica o lo scontro frontale contro queste tentazioni servirebbero solo a farci irretire ancora di più nelle menzogne del nemico.

Da parte di Eva non ci fu alcun rifiuto; al contrario, ella iniziò a intavolare un pericoloso dialogo con il Serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: ‘Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete’» (3, 2-3). Di conseguenza, il maligno si trovò libero di annunciare la sua proposta fallace: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (3, 4-5).

Quando, per colpa nostra o per debolezza, non sappiamo respingere le prime insinuazioni del demonio, corriamo il grave pericolo di soccombere. Le nostre forze si indeboliscono e il peccato diventa sempre più attraente: «Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza…» (3, 6a). L’anima comincia allora a vacillare e a turbarsi. Uno strano nervosismo si impadronisce di tutto il suo essere. Non vuole offendere Dio, ma il panorama che ha davanti è tanto seducente!

Infine, se una persona cede alla tentazione in materia grave, allontanando violentemente da sé la presenza divina, rendendosi nemica di Dio e meritevole dell’inferno, la vergogna e il rimorso la assaliranno: «prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (3, 6b-7).

Al peccatore, disilluso e frustrato, resta solo una via d’uscita: riconoscere la propria malvagità e la propria ingratitudine e chiedere perdono a Dio.

La nostra preparazione

Come possiamo prepararci allora a questa grande guerra per la nostra salvezza? Evidentemente, non possiamo aspettare a braccia conserte che il nemico si avvicini per prendere, solo a quel punto, qualche provvedimento.

“San Michele sconfigge il Drago”, di Josse Lieferinxe – Musée du Petit Palais, Avignone (Francia)

La strategia fondamentale e le armi che useremo per vincere le tentazioni sono state date dal Divin Generale ai suoi Apostoli nella notte in cui iniziava la Passione, la sua battaglia più gloriosa: «Vegliate e pregate per non cadere in tentazione» (Mt 26, 41).

I castelli di difesa che resistono agli assalti più violenti vengono costruiti in tempi di pace; così nei periodi di calma dobbiamo tenere gli occhi puntati sul nemico, prevedendo che possa tornare alla carica da un momento all’altro e preparandoci a resistere. Questa vigilanza deve manifestarsi nel fuggire le occasioni pericolose, nel dominare le nostre passioni e nel rinunciare all’ozio, padre di tutti i vizi.

Oltre alla strategia, disponiamo della potente arma della preghiera. La nostra perseveranza nella virtù dipende da grazie efficaci, senza le quali ogni sforzo risulterà vano. Dobbiamo quindi chiedere umilmente e insistentemente a Dio di concedercele. Alla nostra portata abbiamo l’aiuto dei nostri Angeli Custodi e dei Santi del Cielo; possiamo contare sul soccorso materno della Santissima Vergine, Colei che schiaccia la testa del nemico infernale. Non dobbiamo quindi temere: la vittoria in guerra dipende dalla forza che scende dal Cielo (cfr. 1 Mac 3, 19).

E se saremo sconfitti in qualche battaglia, il potente Sacramento della Confessione potrà recuperare tutto il terreno della nostra anima che il nemico si vantava di aver conquistato. Un vero soldato non si arrende di fronte al fuoco delle mitragliatrici nemiche; quando saremo colpiti, dovremo prenderci cura delle ferite, rialzarci e continuare a combattere. Ricordiamoci che il tentatore gioisce più dell’abbattimento e della perdita di fiducia provocati dalle nostre colpe che delle colpe stesse.

In questa grande guerra, le onorificenze degli eroi hanno la forma di una croce, sono dipinte con il rosso del sangue delle anime combattenti e garantiscono loro, al termine della battaglia, l’ingresso nel palazzo del Re Celeste.

Per concludere, un punto molto importante: l’arruolamento non è facoltativo… Include le persone con uso della ragione, uomini e donne di tutte le età, perché, ci piaccia o no, peregrinare in questa valle di lacrime significa essere militanti su un campo di battaglia. ◊

 

Note


1 LEWIS, Clive Staples. Le lettere di Berlicche. Cles (TN): Mondadori, 2009, p.57-58.

2 Idem, p.IX.

3 Cfr. CCE 395.

4 Cfr. TESTAMENTI DEI DODICI PATRIARCHI FIGLI Dl GIACOBBE. Testamento di Giuda, c.XX, n.1. In: SACCHI, Pablo (Org.). Apocrifi dell’Antico Testamento. Novara: De Agostini, 2013, vol. I, p.823.

5 Cfr. FILONE DI ALESSANDRIA. Quæstiones in Exodum. L.I, n.23. In: Œuvres. Paris: Du Cerf, 1992, vol. XXIV, pp.101-105.

6 Cfr. REGLA DE LA COMUNIDAD (1 QS 3, 18-19). In: GARCÍA MARTÍNEZ, Florentino (Ed.). Textos de Qumrán. 6.ed. Madrid: Trotta, 2009, p.52.

7 Cfr. HERMAS. Le Pasteur, c.36, n.1-10: SC 53, 173-175.

8 Cfr. ORIGENE. Homélies sur Saint Luc. Homélie XII, n.4: SC 87, 203.

9 Cfr. SAN GREGORIO DI NISSA. La vie de Moïse. L.II, c.45-46: SC 1, 131-133.

10 Cfr. CLAUSEWITZ, Carl von. De la guerra. Barcellona: Obelisco, 2021, p.442.

11 SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I, q.114, a.1, ad 3.

12 Questo sottotitolo e il seguente sono stati elaborati sulla base dei commenti di Padre Antonio Royo Marín, OP (cfr. Teologia da perfeição cristã. 4.ed. Anápolis: Magnificat, 2021, pp.279-282).

 

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