Il clima era rigido, con frequenti nevicate, e il suolo era povero; l’assenza di strade rendeva difficile l’esplorazione dei boschi. Stabilire un monastero lì sembrava una follia. Ma l’ideale che muoveva San Bruno non si basava su criteri umani…

 

Il profondo spirito contemplativo della Certosa, per il quale il tempo si misura con l’eternità, si manifestò in modo suggestivo – ma di per sé onorevole per l’Ordine – quando, nel 2005, fu trasmesso al pubblico il documentario di tre ore che fece il giro del mondo: Il grande silenzio. Il suo autore aveva presentato la richiesta per le riprese nel 1984. Con più zelo per il carisma che per la propaganda, i certosini risposero che avevano bisogno di tempo per pensare. L’autorizzazione arrivò sedici anni dopo, con tre condizioni: mandare una sola persona per le riprese, mantenere il silenzio e non utilizzare luci artificiali.

Questo particolare così originale riflette la forza soprannaturale che sostiene l’istituzione fin dai suoi primordi, confermando ciò che di essa disse Papa Innocenzo XI quando la Certosa, seicento anni dopo la sua fondazione, contava più di duecento monasteri: “Nunquam reformata, quia numquam deformata”.1 O quello che più recentemente ha detto Papa Pio XI: “È evidente come lo spirito certosino, fedele al suo fondatore e padre nel corso di quasi nove secoli, per un periodo di tempo così lungo non abbia avuto bisogno, a differenza di altri Ordini, di alcun emendamento o riforma”.2

San Bruno – Cappella della Certosa di Siviglia (Spagna)

In queste pagine conosceremo proprio la storia della causa prima di tale perennità: la vita di San Bruno.

Nato nella “Roma germanica”

La sua data di nascita è sconosciuta, come la maggior parte della sua vita. Si sa con certezza solo che venne al mondo tra gli anni 1027 e 1035. Una tradizione orale indica che era originario della città di Colonia, l’antica Colonia Claudia Ara Agrippinensis dei Romani, e proveniva da una famiglia patrizia, forse degli Hartenfaust, la gens Æmilia. Anche suo padre si chiamava Bruno.

Anni prima della sua nascita, quella regione era stata benedetta dalla presenza di un santo duca e Arcivescovo, morto nel 965: San Bruno Magno, fratello dell’imperatore Oddone I. Genio organizzatore, aveva fatto di Colonia la prima città del Sacro Impero e aveva incoraggiato la vita monastica costruendo eremi e monasteri. Nell’infanzia del nostro Bruno, la città – allora conosciuta come Santa Colonia o Roma germanica – aveva nove collegiate, quattro abbazie e diciannove parrocchie, cifra sorprendente per l’epoca e anche per molte metropoli moderne.

Tutta l’educazione superiore si svolgeva nelle scuole di monasteri, cattedrali e di altre chiese, le quali, poco dopo la morte del Santo, avrebbero adottato il nome di universitas o università. Non si sa dove Bruno abbia studiato, ma è indiscutibile che fece buon uso degli insegnamenti ricevuti, perché ancora adolescente continuò brillantemente la sua carriera intellettuale nella città di Reims.

Rettitudine nel successo

Più o meno all’età di quindici anni, Bruno si trasferì in quella città per studiare Teologia e Filosofia sotto la tutela del Canonico Herimann. A causa dei suoi eccellenti progressi, ricevette il canonicato a San Cuniberto, nella sua nativa Colonia, e dal 1057, quando aveva tra i ventisei e i ventotto anni, assunse l’ufficio di magister scholarum o scholasticus della cattedrale di Reims, succedendo al Canonico Herimann. L’ufficio lo rese direttore di tutte le scuole sotto la giurisdizione di quella diocesi francese, responsabilità che esercitò, per circa venti anni, con tale efficacia e virtù che il Papa San Gregorio VII gli conferì l’onorevole titolo di Remensis Ecclesiae magistrum – maestro della Chiesa di Reims.

Tra i suoi alunni c’erano grandi personalità dell’epoca, come Oddone di Chatillon, canonico di Reims e, più tardi, priore dell’Abbazia di Cluny, che fu successivamente eletto al soglio pontificio con il nome di Urbano II.

Verso il 1076, San Bruno fu nominato cancelliere della cattedrale da Mons. Manasse de Gournay. Ben presto si trovò in una situazione delicata che gli permise di dar prova di rettitudine, diplomazia e saggezza: l’Arcivescovo praticava la simonia e dilapidò i beni della diocesi, ragion per cui fu sottoposto a un accidentato e lungo processo canonico. Una volta messe allo scoperto le sue empie azioni, San Bruno gli si oppose e fu uno dei suoi accusatori nel Concilio di Autun nel 1077, durante il quale il prelato fu sospeso dall’incarico. Alla fine, San Gregorio VII lo depose il 27 dicembre 1080.

San Bruno rinunciò al titolo di cancelliere, poiché gli era stato conferito dal dignitario simoniaco, e rifiutò l’Arcivescovado di Reims, per il quale era stato indicato come candidato più idoneo dopo l’espulsione di Manasse.

La decisione di abbandonare il mondo

La conversione di San Bruno davanti al cadavere di Diocrès, di Vicente Carducho – Museo del Prado, Madrid

Come canonico secolare della cattedrale e membro del Capitolo di Reims,3 San Bruno svolgeva i suoi compiti di docente con una certa libertà: sebbene avesse l’obbligo di partecipare all’Ufficio recitato nella cattedrale, viveva in casa propria, aveva rendite stipulate canonicamente e aveva servi a sua disposizione. Ciò nonostante, fu in questo periodo che germogliò nella sua anima il desiderio di dedicarsi interamente al raccoglimento e alla penitenza.

Alla ricerca di una forma ideale di vita contemplativa, visitò vari conventi e Ordini Religiosi, poiché non era ancora chiara la chiamata che Dio gli faceva. Molto probabilmente visitò le abbazie di Saint-Thierry e San Remigio, che ammirava. Certo è che ebbe una grande stima per i “monaci neri”, i benedettini, alla cui regola si ispirò per organizzare più tardi la Certosa.

Tuttavia, fu un evento soprannaturale avvenuto fuori dai chiostri a portare San Bruno alla decisione di abbandonare definitivamente il mondo. Così racconta il biografo dei primi cinque priori certosini:

“Verso l’anno 1082 dall’Incarnazione del Signore, […] un certo dottore [Raimondo Diocrès] di vita, fama, dottrina e scienza in apparenza eccellenti, si ammalò gravemente e in poco tempo morì. Seguendo l’usanza parigina, la bara con il corpo del defunto fu esposta fin da subito nella scuola affinché fosse cantato l’Ufficio Divino, che riuniva sia gli studenti che i dottori, allo scopo di prestare a un uomo così illustre le dovute onoranze funebri e dargli una degna sepoltura.

“Quando i reverendi signori si avvicinarono per prendere il feretro e portarlo in chiesa, improvvisamente, tra lo stupore di tutti, il morto alzò la testa, si sedette e con una voce forte e terribile esclamò: ‘Per giusto giudizio di Dio, sono stato accusato’. Detto questo, si sdraiò e tornò immobile come prima.

“Dato che si dibatté animatamente su ciò che era successo, fu impossibile effettuare la sepoltura quel giorno e fu rimandata al mattino seguente. Il secondo giorno, essendosi diffusa la notizia, una grande folla si riunì per accompagnare il feretro alla chiesa, ma il defunto, come il giorno prima, alzò la testa e con voce dolente e terribile esclamò: ‘Per giusto giudizio di Dio, sono stato giudicato’.

“La folla presente ascoltò la frase detta a voce alta e chiara, restando più stupita del giorno prima. Desiderosi di conoscere il significato di un pronunciamento così insolito e inaspettato, decisero di rimandare la sepoltura. Il terzo giorno, una gran parte della città si riunì sul posto e quando tutto fu pronto per portarlo alla tomba, di nuovo il morto, come nei due giorni precedenti, esclamò con un grido tristissimo: ‘Per giusto giudizio di Dio, sono stato condannato’.

“All’udire questo, quasi tutti furono colti da grande timore e tremore, convinti della condanna di quell’uomo che in apparenza aveva condotto una vita onesta, illustre e degna, e aveva brillato per scienza e saggezza.

“Ora, in mezzo a quel tumulto c’era il Maestro Bruno, di origine teutonica, della città di Colonia, nato da genitori illustri, canonico della Chiesa di Reims, dove insegnava Teologia, il quale, commosso profondamente dalle parole del condannato, commentò con alcuni dei suoi compagni anch’essi presenti: ‘Che fare, miei carissimi? Tutti moriremo, e l’unico a salvarsi è chi fugge da questo mondo. Se questo accade nello splendore, cosa sarà nell’aridità? Se un uomo così degno, così colto, che conduceva una vita apparentemente onesta ed era famoso per il suo sapere, è stato condannato, cosa succederà a noi, i più miserabili tra gli uomini? […] Dopo le cose terribili che abbiamo sentito oggi, non induriamo i nostri cuori, ma usciamo da Babilonia, fuggiamo dalla Pentapoli4 già condannata al fuoco e allo zolfo e, seguendo l’esempio del Beato eremita Paolo, dei Beati Antonio, Arsenio, Evagrio e di altri Santi come San Giovanni Battista, fuggiamo nelle grotte del deserto, mettiamoci in salvo sui monti, per sfuggire all’ira del Giudice Eterno e alla sua sentenza di condanna eterna. Fuggiamo dal diluvio entrando nell’arca di Noè, nella nave di Pietro, dove Cristo fa cessare il vento e le tempeste, cioè nella nave della penitenza, per raggiungere così il porto della salvezza eterna’”.5

L’alba della Grande Certosa

San Bruno impone l’abito a un postulante, di Manuel Bayeu – Museo di Huesca (Spagna)

Con queste e altre parole San Bruno esortò i suoi compagni, di modo che sei uomini probi decisero di seguirlo, cercando la solitudine per fare penitenza e dimenticando tutte le ricchezze, le delizie e gli onori della terra.

Inizialmente, si diressero al Monastero benedettino di Molesme, nell’antica Diocesi di Langres. L’abate era allora San Roberto, che nel 1098 avrebbe fondato l’Ordine Cistercense. Ma San Bruno aspirava ad una vita più austera e di maggiore isolamento. Così partì con i suoi sei compagni per il deserto di Sèche-Fontaine, ad alcuni chilometri da Molesme.

Dopo un periodo che i biografi stimano tra uno e tre anni, San Bruno si recò a Grenoble, il cui Vescovo era un suo ex alunno, Sant’Ugo di Châteauneuf. Costui gli concesse la regione montagnosa della Chartreuse nel deserto di Saint Pierre, dove San Bruno eresse un edificio nell’anno 1084.

Dal punto di vista umano, la scelta del luogo sembrava una follia: una zona tra i 780 e i 1150 metri sul livello del mare, accessibile solo attraverso ripidi sentieri. Il clima era rigido, con frequenti nevicate, e il suolo era povero. L’assenza di strade rendeva difficile l’esplorazione dei boschi; il luogo era impenetrabile per la maggior parte dell’anno, compromettendo l’arrivo dei soccorsi in caso di incendio o malattie. Tuttavia, San Bruno si basava su criteri divini e non umani, e nessuna di queste difficoltà lo scoraggiò. Del resto, anche ai nostri giorni, la robustezza, la buona salute e la longevità dei certosini è notevole.

Puntando a una vita eremitica pura, rigorosamente isolata, con solo alcuni atti religiosi in comune, organizzò l’opera pensando ai rigori dell’inverno: celle individuali e separate, ma messe in comunicazione da un chiostro coperto che permetteva l’accesso alla chiesa, alla sala capitolare e al refettorio. Questa prima struttura della Certosa sarebbe stata il modello per tutte le altre fondate nel mondo nel corso del tempo.

Il 2 settembre 1085, il Vescovo Sant’Ugo consacrò la chiesa, dedicata alla Santissima Vergine e a San Giovanni Battista.

Qualche decennio più tardi, dopo una valanga di neve, i monaci furono costretti a ricostruire la Certosa due chilometri più a sud, in un luogo più sicuro, dove si trova attualmente.

Fondazione della seconda Certosa

Dopo aver aspettato più di mezzo secolo per la realizzazione del suo sogno, San Bruno poté godere della solitudine solo per sei anni. Papa Urbano II, ricordando le virtù del suo antico maestro, lo convocò a Roma in nome della santa obbedienza. Il fondatore dei certosini vi arrivò nel 1090. Quando seppe che il Papa lo aveva nominato alla sede episcopale di Reggio Calabria, si avvalse del diritto di rifiutare tale elezione, poiché era certo che quella non era la sua vocazione.

Grande Chartreuse, Saint-Pierre-de-Chartreuse (Francia)

Dopo aver trascorso un anno alla corte pontificia, ottenne dal Pontefice il permesso di tornare alla vita contemplativa, ma non in Francia: Urbano II gli impose la condizione di rimanere entro i confini dell’attuale territorio italiano.

Fu così che nel 1091 San Bruno fondò un monastero in Calabria, a Santa Maria della Torre, Diocesi di Squillace, dove sarebbe rimasto fino alla sua morte. L’opera, come le fondazioni future, ricevette il nome di Certosa, in memoria della casa madre, e ben presto ottenne le dovute approvazioni e autorizzazioni da Papa Urbano II.

Preziosa eredità spirituale

San Bruno morì il 6 ottobre 1101. Dei quasi settantuno anni di vita, ne trascorse solo sedici nella sua tanto apprezzata solitudine: sei nella Certosa francese e dieci in quella italiana.

Dei pochi suoi scritti che si conoscono, c’è una lettera redatta nel 1099 o nel 1100 in cui descrive le gioie della vocazione contemplativa: “Solamente chi ne ha fatto esperienza sa quanta utilità e gioia divina portino la solitudine e il silenzio del deserto a chi li ama. Qui gli uomini laboriosi possono ritirarsi quanto vogliono, vivere con se stessi, coltivare con ardore i semi della virtù e nutrirsi felicemente dei frutti del Paradiso. Qui si acquisisce quello sguardo sereno che traffige d’amore lo Sposo, e con il quale, limpido e puro, si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e ci si riposa in un’attività tranquilla. Qui, con lo sforzo del combattimento, Dio premia i suoi atleti con la tanto anelata ricompensa, cioè ‘la pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito Santo’”. 6

Sebbene l’eredità spirituale della Certosa sia di gran lunga il suo patrimonio più prezioso, essa si traduce anche in innumerevoli aspetti concreti, tra cui il famoso liquore Chartreuse, composto da centotrenta erbe. Il suo lungo processo di preparazione, con quattro distillazioni e cinque infusioni, è noto solo a due certosini. È sorprendente come uno degli Ordini più austeri della Chiesa, i cui costumi prescrivono digiuni rigorosi e non permettono nemmeno questo liquore sulle loro tavole, abbia offerto al mondo una tale meraviglia.

Giustamente, sullo stemma dell’Ordine ci sono sette stelle che rappresentano San Bruno e i suoi primi sei discepoli. Esse formano mezzo arco sopra un globo coronato dalla croce, e il motto Stat crux dum volvitur orbis – La croce resta salda mentre il mondo gira.

 

Note

1 WIEL, Constant Van de. History of Canon Law. Louvain: Peeters Press, 1991, p.84. Dal latino: “Mai riformata, perché mai deformata”.
2  PIO XI. Costituzione Apostolica Umbratilem.
3 C’erano anche i canonici regolari, che conducevano una vita comune. Non si conosce il momento in cui San Bruno fu ordinato sacerdote. A quel tempo era consuetudine usare il titolo di chierico per qualsiasi membro della Gerarchia, anche se non era un presbitero.
4  Sodoma, Gomorra, Admah, Seboim e Soar, cinque città del Vecchio Testamento punite per i loro peccati.
5 VITA ANTIQUIOR SANCTI BRUNONIS, n.1-7: PL 152; 482-484.
6 SAN BRUNO. Lettera al suo amico Raúl. In: SÁEZ DE SANTAMARÍA, Gerardo Posada. Maestro Bruno, Padre de monjes. 2.ed. Madrid: BAC, 1995, p.163.

 

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