Il Libro dei Salmi è un vero e proprio compendio del nostro rapporto con Dio. Difficilmente troveremo un sentimento, una mozione, una prova o una supplica che non siano espressi con poesia nei suoi versi.
Tuttavia, tra questi testi ispirati, il Salmo 130 richiama l’attenzione per la precisione quasi “scientifica” con cui descrive, passo dopo passo, una prova a cui è sottoposta ogni anima che prende sul serio la propria santificazione.
A un certo punto della vita, l’uomo scopre l’insondabile distanza che lo separa dalla perfezione – e quindi da Dio –, si rende conto di non avere la forza per superarla e sente che il naufragio si avvicina. In quel momento, trova una sola speranza, una sola tavola di salvezza: la preghiera, arma infallibile che l’orgoglio umano si ostina a relegare come ultima risorsa.
Dall’anima, allora, scaturisce il grido lancinante: «Dal profondo a te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce» (Sal 130, 1-2). L’anima non presume che la sua richiesta sarà ascoltata, grida soltanto. Ma Dio attende solo questo atteggiamento di umiltà per far sentire la sua presenza.
Quando l’anima percepisce l’ascolto divino, quali parole pronuncia? Curiosamente, non chiede che le venga indicata una via d’uscita. Sente che, per non soccombere, ha immediatamente bisogno di qualcos’altro: ha bisogno di clemenza. «Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi potrà sussistere?» (Sal 130, 3).
Una volta chiesta, la clemenza arriva e – oh meraviglia! – è essa stessa la soluzione: «Ma presso di te è il perdono: e avremo il tuo timore» (Sal 130, 4).
Una devozione per tutti
Perché ci avventuriamo a descrivere questo processo? Per dimostrare come, prima o poi, Dio ci fa vivere certi drammi al fine di imprimere nelle nostre menti una verità cruciale: abbiamo bisogno di misericordia. E difficilmente si può parlare di misericordia senza evocare la celebre devozione al Sacro Cuore di Gesù.
Quest’immagine tenerissima in tale maniera supplisce e soddisfa il nostro bisogno di compassione che alcuni si sono spinti a postulare che sia stata “inventata” appositamente per questo scopo.
Spieghiamo. Solo a partire dal XVII secolo, con Santa Margherita Maria Alacoque, la suddetta forma di culto si diffuse in tutto il mondo cattolico, e con tale forza che alcuni autori arrivarono ad affermare che si trattava di un’invenzione del cattolicesimo moderno, il quale avrebbe abbandonato l’elevatissima concezione medievale dell’amore, materializzandola in un’adorazione del Cuore fisico di Gesù.1 Secondo altri, San Claudio de la Colombière si sarebbe ispirato ad un certo quacchero di nome Thomas Goodwin per ideare la devozione, e poi avrebbe incitato Santa Margherita a propagarla.2
Fortunatamente, questi postulati sono falsi. La mancanza di affetto – o l’eccesso di sentimentalismo – dell’uomo moderno non ha avuto il merito di “creare” il Sacro Cuore di Gesù. Durante il Medioevo stesso, nel silenzio dei chiostri, vediamo già San Bernardo penetrare misticamente nel costato di Cristo aperto dalla lancia al fine di trovare al suo interno il Cuore trafitto e svelare i segreti di questo grande sacramento di bontà, le viscere misericordiose del nostro Dio.3 E non solo lui, anche altri grandi nomi della spiritualità del XII secolo hanno seguito lo stesso percorso.4
In realtà, questa devozione risale a molto prima del Medioevo. Gesù stesso ci ha indicato come esempio il suo Cuore «mite e umile» (Mt 11, 29) e sembra che i primi adoratori di questo Cuore fossero molto vicini ai tempi in cui esso palpitava fisicamente tra gli uomini. Parlando in modo più specifico, scorrendo gli scritti dell’Apostolo San Paolo troviamo in lui un vero paladino del Sacro Cuore di Gesù5 e, in un certo senso, un precursore delle rivelazioni di Santa Margherita.
Che cos’è il cuore per San Paolo?
Gli Ebrei dell’antichità intendevano l’uomo in un modo molto concreto e non dissociavano mai corpo e anima. Nell’Antico Testamento troviamo con frequenza allusioni alla dimensione simbolica degli occhi, delle orecchie, del cuore, della lingua, delle mani e persino dei piedi per evocare la totalità dell’attività umana. Il cuore, evidentemente, ha il primato.6
San Paolo ereditò questa concezione. Se analizziamo le sue lettere, in molti passaggi troviamo allusioni al cuore come: ricettacolo della carità o fonte da cui essa proviene (cfr. Rm 5, 5; 1 Tm 1, 5), tabernacolo delle consolazioni (cfr. 2 Ts 2, 17; Col 2,2), della pace dell’anima (cfr. Col 3,15), dell’obbedienza alla Parola di Dio (cfr. Rm 6, 17), della misericordia (cfr. Col 3, 12), della generosità (cfr. 2 Cor 9, 7) e dei fermi propositi (cfr. 1 Ts 3, 13).
In sintesi, il cuore appare come il centro della personalità, il luogo nel quale si radica la vita religiosa e morale e si determina l’orientamento dell’esistenza. Per riassumere il tutto in un’unica parola, come diceva il Dott. Plinio Corrêa de Oliveira,7 il cuore simboleggia la mentalità dell’uomo.
Da questa prospettiva la devozione al Cuore di Gesù acquista una profondità insondabile. Torneremo su questo argomento più avanti.
Viscere: sinonimo di cuore
Nonostante l’ampia gamma di significati, è innegabile che il cuore abbia una relazione molto speciale con l’amore.
In questo senso, c’è un altro termine che l’Apostolo utilizza come equivalente: viscere. La parità tra i due è universalmente riconosciuta, ma quest’ultimo presenta una sfumatura speciale di affetto, come sostiene padre Bover: la parola «viscere esprime una maggiore tenerezza, delicatezza o profondità di sentimento rispetto al cuore, così come un certo movimento o una certa inclinazione verso la persona amata. […] Le viscere sono il simbolo dell’amore stesso, in ciò che vi è di più intimo e squisito, e la sintesi di tutta la persona, in ciò che vi è di più attraente e comunicativo». 8
Inoltre, va detto che San Paolo non usa l’espressione “cuore di Gesù”, ma solamente “viscere di Gesù”. Tuttavia, questo non altera in alcun modo la profonda similitudine teologica tra i suoi scritti e le rivelazioni di Santa Margherita.
Gesù è stato tradito dal suo amore
Riguardo alla comprensione dell’amore di Gesù da parte di San Paolo, possiamo trovare tre passaggi particolarmente illuminanti: «Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2, 20); «Camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi» (Ef 5, 2); «E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5, 25).
In queste pericopi, l’Apostolo esprime le tre dimensioni dell’amore di nostro Signore: «Cristo mi ha amato», «Cristo ci ha amato» e «Cristo ha amato la Chiesa». Si tratta di una dilezione per ogni uomo, per l’umanità e, in modo speciale, per il suo Corpo Mistico. San Paolo chiarisce anche che l’amore di Gesù Lo ha portato a donarSi. Il Redentore stesso lo ha espresso nelle parole dell’istituzione dell’Eucaristia, come ricorda la Prima Lettera ai Corinzi: «Questo è il mio Corpo, che è per voi» (11, 24).
Si potrebbe dire che l’affetto di Cristo per noi è stato tale da “costringerLo” a consumare la Passione e, non contento di ciò, a diventare nostro alimento. Il Salvatore non ha sofferto sulla Croce perché Giuda Lo ha consegnato; il ripugnante figlio della perdizione è arrivato troppo tardi: Gesù era già stato “tradito” dal suo stesso amore.
Sì, tradito, perché Egli si rese disponibile a soffrire, pur sapendo che noi saremmo stati infedeli al suo sacrificio. Almeno è di questo che si lamenta con Santa Margherita: «Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini, che non ha cessato di perdonare nulla fino ad esaurirsi e a consumarsi per dimostrare loro il suo amore, e che per riconoscenza non ha ricevuto altro che ingratitudine dalla maggior parte di loro, sia per irriverenze e sacrilegi, sia per la freddezza e il disprezzo con cui Mi trattano in questo Sacramento d’amore. E ciò che ancora Mi ferisce molto è che sono cuori a Me consacrati quelli che Mi trattano in questo modo».9
Il Figlio ci insegna ad essere figli
Sebbene il Sangue di Nostro Signore sia stato gettato per terra innumerevoli volte, non per questo ha cessato di essere fecondo. In un’altra apparizione alla veggente, Egli scoprì il suo Cuore amoroso, affermando: «Ecco il Maestro che ti do, che ti insegnerà tutto ciò che devi fare per amore mio. Perciò sarai la sua discepola prediletta».10 Il torrente di carità che sgorga dalle viscere del Salvatore si riversa su chi è disposto a berlo e lo introduce in una vera scuola. Che cosa impariamo in essa?
Due versetti paolini correlati fanno luce su questa riflessione: «E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre» (Gal 4, 6); «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre!» (Rm 8, 15). Lo Spirito Santo, cioè, è lo Spirito del Figlio, infuso nei nostri cuori per darci la filiazione adottiva.
In altre parole, Nostro Signore, oggetto delle predilezioni del Padre, ci concede di godere dello stesso amore che Lui riceve. E non solo: come vero Uomo, che ama il Padre con sentimenti e affetti umani perfettissimi, ci esorta anche a partecipare al suo amore ascendente.
Infine, quando lo Spirito del Figlio è infuso nei nostri cuori, li rende simili al Suo: il Figlio ci insegna a essere figli.
Cuore di Paolo, Cuore di Cristo
L’apice di questa scuola è lo scambio dei cuori. Santa Margherita Alacoque descrive che, una volta, Nostro Signore le chiese il suo cuore e lo introdusse nel Suo mostrandoglielo come un piccolo atomo che si consumava in quella fornace ardente. In seguito lo tolse da lì come se fosse una fiamma ardente, e lo inserì di nuovo nel luogo da cui lo aveva misticamente preso, dicendole: «Ecco, mia amata, un prezioso pegno del mio amore, che racchiude nel tuo petto una piccola scintilla della sua fiamma viva, affinché ti serva come cuore».11
Che cosa significa una tale visione? Ricordiamo che quest’organo simboleggia la mentalità. Dal momento in cui si verifica l’augustissimo fenomeno soprannaturale dello scambio dei cuori, l’anima comincia a giudicare, a sentire, ad agire e a reagire a somiglianza dell’Uomo-Dio stesso; si tratta di una nuova vita che comincia a fiorire.
Anche l’Apostolo delle Genti ha indubbiamente ricevuto questa grazia, come chiarisce una delle sue frasi più emblematiche: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). San Giovanni Crisostomo, commentando questa affermazione, ha giustamente concluso: «Il cuore di Paolo, dunque, era il cuore di Cristo».12
Rendi i nostri cuori simili al tuo
E noi, per caso, ci siamo prefissati una meta così elevata? Possiamo aspirare a questo obiettivo senza correre il rischio di cadere nella presunzione? Per fornire una soluzione adeguata a queste domande, niente di meglio che lasciare la parola a San Paolo stesso.
L’Apostolo ci esorta ad essere «imitatori di Dio» (Ef 5, 1), progredendo nella carità fino allo spargimento di sangue se necessario, sull’esempio di Nostro Signore. Dobbiamo, afferma altrove, essere una «lettera di Cristo» (2 Cor 3, 3), scritta non con l’inchiostro ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra ma sulle tavole di carne del nostro cuore. In breve, ecco la risposta: è evidente che è sì!
Anche Santa Margherita, in una missiva, implorava una certa religiosa perché facesse una donazione di tutto il suo essere, affinché Nostro Signore, dopo averlo purificato da ciò che non Gli piaceva, potesse disporne secondo la sua volontà. Ordinariamente, continua la Santa, Egli chiede questo ai suoi amici più cari: unità di volontà, per non volere nient’altro che ciò che Lui vuole; unità di amore; unità di cuore, di spirito e di azione, per unirci a ciò che Egli realizza in noi. 13
Un obiettivo così sublime potrebbe sembrare un po’ etereo se entrambi i paladini del Sacro Cuore non ne avessero molto chiaramente spiegato il suo significato.
San Paolo prescrive: «Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore». Pertanto, continua, dobbiamo rivestirci «di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza» (Col 3, 8-10.12).
Sì, Nostro Signore vuole tutto da coloro che Egli ama: la perfetta conformità della vita alle sue sante massime, che si traduce in una completa diminuzione e dimenticanza di se stessi, come afferma Santa Margherita in una delle sue lettere.14
In sintesi, plasmare la nostra mentalità al Sacro Cuore di Gesù significa conoscerlo, adorarlo e imitarlo nella sua integrità, soprattutto dove risplende con maggiore intensità, cioè, nello scandalo della Croce. San Paolo non conosceva nient’altro che «Gesù Cristo crocifisso» (1 Cor 2, 2), e fu misticamente inchiodato con Nostro Signore al legno (cfr. Gal 2, 20). A noi viene chiesto di avere lo stesso atteggiamento, perché «la Croce è il trono dei veri amanti di Gesù Cristo».15 ◊
Note
1 Questo è quanto sostiene il celebre convertito Joris-Karl Huysmans (cfr. En route. Parigi: Tresse & Stock, 1895, pp. 341-342.
2 Cfr. BAINVEL, J. Cœur Sacré de Jèsus (dévotion au). In: VACANT, Alfred; MANGENOT, Eugène (Dir.). Dictionnaire de Théologie Catholique. Paris: Letouzey et Ané, 1908, vol.III, c.303.
3 Cfr. SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE. Sermones in Cantica. Sermo 61, n.4: PL 183, 1072.
4 Cfr. VANDENBROUCKE, François. Storia della spiritualità. Il Medioevo: XII-XVI secolo. 3.ed. Bologna: EDB, 2013, vol.V, p.66.
5 Sarà di enorme utilità per questa riflessione l’opera di padre José María Bover, SJ, a cui rimandiamo il lettore interessato a maggiori approfondimenti sull’argomento: San Pablo, maestro de la vida espiritual. 3.ed. Barcellona: Casals, 1955, pp. 283-317.
6 Cfr. CÔTÉ, Julienne. Cent mots-clés de la théologie de Paul. Ottawa: Novalis, 2000, p. 84.
7 Cfr. CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Devoção ao Sagrado Coração de Jesus. In: Dr. Plinio. São Paulo. Ano XIV. N.155 (fev., 2011); p.10.
8 BOVER, op. cit., p.288.
9 SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE. Autobiografia. In: SÁENZ DE TEJADA, José María (Org.). Vida y obras completas de Santa Margarida Maria Alacoque. Quito: Jesús de la Misericordia, 2011, p.142.
10 SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE. Memoria escrita por orden de la M. Saumaise. In: SÁENZ DE TEJADA, op. cit., p.172.
11 SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE, Autobiografía, op. cit., p. 115.
12 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Homilias sobre a Carta aos Romanos. Homilia 32, n. 24. In: Comentário às cartas de São Paulo. São Paulo: Paulus, 2010, p.530.
13 Cfr. SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE. Carta 94. A la H. de la Barge, Moulins (octubre de 1688). In: SÁENZ DE TEJADA, op. cit., p.366.
14 Cfr. SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE. Carta 109. A la M. M. F. Dubuysson, Moulins (22 de octubre de 1689). In: SÁENZ DE TEJADA, op. cit., p.398.
15 SANTA MARGHERITA MARIA ALACOQUE. Carta 16. A la M. de Saumaise, Dijon (25 de agosto de 1682). In: SÁENZ DE TEJADA, op. cit., p.246.