Coloro che cercano di compiacere Dio senza riserve, in ogni momento e in ogni situazione, attirano su di sé lo sguardo divino e ricevono dal Sacro Cuore di Gesù il più grande affetto e la più grande premura.
Immaginiamo di entrare nella biblioteca di un monastero, di dirigerci verso la sezione di Agiografia e di trovare un libro dal titolo Gli amici di Dio. Si tratta di un’opera misteriosa, scritta da mani angeliche, che ci presenta la Storia dall’unica prospettiva dalla quale valga la pena considerare qualsiasi fatto: lo sguardo dell’Altissimo.
Questo gioiello compendia la narrazione degli atti grandi e tragici, comuni e incredibili, gloriosi e terribili delle anime che sono diventate querce di santità davanti al Cielo e a tutta l’umanità.
Prendendo il volume tra le mani, sin dal primo capitolo siamo deliziati dal candore innocente e dalla fortezza profetica dei pastorelli di Fatima, dei veggenti di La Salette o della pastorella di Massabielle, che hanno ricevuto la grazia di contemplare la Santa Madre di Dio e di ascoltare da Lei parole che avrebbero tracciato il cammino per i secoli futuri.
Sfogliando le pagine, vibriamo di entusiasmo alla chiamata di personaggi come San Ferdinando di Castiglia, San Luigi IX o Santa Giovanna d’Arco, che hanno brillato nel firmamento della Cristianità più per lo splendore della loro anima che per lo scintillìo delle loro armi in difesa della loro patria e, soprattutto, della Fede. L’integrità con cui hanno impugnato la spada ha conferito loro la missione di guidare intere nazioni alla luce degli insegnamenti della Santa Chiesa, e quest’ultima, in segno di ringraziamento, li ha proclamati modelli di santità.
Nei capitoli successivi sentiamo echeggiare le prediche del Poverello di Assisi che esorta il Medioevo ad abbracciare la povertà, in un completo rifiuto della mondanità; giungono a noi i “latrati” del “cane del Signore”, il grande San Domenico di Guzman, che avanza senza timore contro gli eresiarchi che attaccano la dottrina cattolica; riusciamo persino ad assaporare un po’ della logica impeccabile di Sant’Ignazio di Loyola.
Continuiamo a sfogliare il nostro meraviglioso libro fino a quando, quasi alla fine, ci imbattiamo in un titolo che cattura oltremodo la nostra attenzione: “Gli intimi del Signore”. Questo capitolo tratta di un certo tipo di anime sulle quali ci sarebbe molto e quasi nulla da dire, perché la loro virtù eroica fece loro meritare l’onore degli altari, ma la bellezza delle loro vite ha brillato soltanto davanti a Dio.
In un eloquente suggerimento, l’autore cita il famoso motto dei requetés spagnoli – “Ante Dios, nunca serás héroe anónimo”1 – e brevemente passa in rassegna la traiettoria terrena di San Raffaele Arnáiz, quella di San Bruno e quella di molti altri. Allora, come mossi da un’attrazione improvvisa, ci soffermiamo a guardare il seguente titolo: “La santa nascosta con Cristo in Dio: Santa Teresa Margherita Redi”.2
La domanda che sorge a questo punto della nostra ipotetica lettura non è tanto “che cosa ha fatto di grande?”, ma “che cosa ha fatto per entrare nell’intimità di Dio?”
Pia formazione sotto l’egida paterna
La piccola e bella città di Arezzo ha visto venire al mondo la seconda dei tredici figli di Ignazio Redi e Camilla Balatti il 15 luglio 1747. Nelle acque battesimali ella ricevette il nome di Anna Maria.
Grazie al prestigio della famiglia Balatti, che apparteneva alla nobiltà della città di Siena, e alla posizione che Ignazio Redi ricopriva come gran maestro dell’Ordine Militare di Santo Stefano, la bambina ebbe un’infanzia tranquilla, organica e regolata dagli atti di pietà che la tradizione imponeva. Fin dalla più tenera età, fu ricettacolo di grazie che la preparavano con largo anticipo alla realizzazione della missione che Dio le aveva riservato.
Il primo strumento della Provvidenza per delineare il cammino spirituale di Anna Maria fu il suo stesso papà. Uomo contemplativo e pio, era solito portare sua figlia a passeggio e terminare il tragitto nella chiesa dei cappuccini. Lungo il cammino le insegnava a pregare la Salve Regina e le litanie, così come a cercare il Creatore nello splendido panorama toscano: nei fiori, negli uccelli, nel cielo… in tutto! In questo modo, Ignazio Redi incoraggiava la sua bambina a “sorprendere” Dio in ognuna delle sue creature.
Contribuì alla sua formazione cristiana anche l’influenza dello zio Diego, sacerdote della Compagnia di Gesù. Sarebbe stato lui, anni dopo, ad introdurre Anna Maria alla devozione che conquistò il suo entusiasmo e alla quale dedicò la sua vita: il Sacro Cuore di Gesù.
L’usanza dell’epoca consigliava che le bambine venissero educate in un convento, con una delle monache come tutrice. Lì ricevevano la formazione necessaria per diventare buone dame cristiane o, chissà, religiose in quello stesso monastero se manifestavano la vocazione. Così, quando Anna Maria compì nove anni, i suoi genitori la mandarono al Monastero benedettino di Santa Apollonia, nella città di Firenze.
Per sette anni piacque a Dio tenere nascosta in quel chiostro la piccola pietra preziosa che Egli stesso preparava per Sé. É sorprendente che una delle poche testimonianze su di lei che rimangono di quell’epoca riferisca: “Era una bambina buona e normale; nulla di straordinario si notava nel suo comportamento”.3
Dio la destinava, fin dalla più tenera gioventù, a passare inosservata davanti agli uomini al fine di brillare unicamente per Lui.
Pericolo in vista: il giansenismo
Con l’esplosione dell’eresia giansenista, fatta di moralismo ispido, formale e cupo, gran parte della società dell’epoca fu corrosa dal suo veleno e, di conseguenza, dominata dalla considerazione quasi esclusiva della giustizia di Dio, a scapito di un’altra delle sue perfezioni, la bontà.
La lava fredda e corrosiva di Giansenio si introdusse addirittura nei chiostri e nei monasteri e minacciava di formare generazioni di religiosi che, solo temendo il Signore, si sarebbero dimenticati della pratica del Primo Comandamento: “Amare Dio sopra ogni cosa”.
Fu in questo momento della vita di Anna Maria che la Divina Provvidenza ravvivò nella sua anima gli insegnamenti di suo padre e dello zio Diego, entrambi ferventi appassionati della devozione al Sacro Cuore di Gesù che sorgeva timidamente in Francia. Pur circondata da un ambiente in cui Dio era concepito come un Giudice implacabile, l’amore tenerissimo che sgorgava dal Cuore Divino la attirava e la rafforzava in un proposito concepito nell’infanzia: compiacere Dio in tutto.
Questa devozione fu la porta attraverso la quale l’Altissimo volle aprire la sua intimità ad Anna Maria, e fu il solido fondamento che le permise di mantenere intatta la sua fede in mezzo alle deviazioni rigoriste del giansenismo.
Anna Maria configurò la sua vita spirituale nella contemplazione del mistero del Sacro Cuore di Gesù, specialmente sotto le Specie Eucaristiche, e fece dell’altare le sue delizie. Arrivava a rimanere per lunghe ore quasi immobile in un dialogo mistico con Colui che “tanto amò gli uomini”.
Le superiore del convento di Santa Apollonia, notando la tendenza della giovane ad elevarsi alle cose soprannaturali, immaginavano che presto avrebbero avuto un’altra novizia nella comunità. Ma Dio riservava a questa sua figlia un rapporto ancora più profondo con il suo Sacro Cuore, nell’austerità e nel silenzio.
Curiosa chiamata alla vocazione
Nel settembre 1763, una ex allieva del collegio di Sant’Apollonia si presentò alle porte dell’istituto per salutare le sue maestre d’un tempo. Conterranea di Anna Maria e appartenente a una delle famiglie dell’alta società di Arezzo, Cecilia Albergotti aveva deciso di partire per il Carmelo per cercare lì la propria santificazione e servire meglio la Chiesa.
La parola “Carmelo” risuonò nell’anima di Anna Maria con un alone di mistero e con un’attrazione irresistibile. Forse le ricordava le prodezze di Sant’Elia, la promessa della venuta della Santissima Vergine al mondo e l’invito all’intima comunione con il Cielo attraverso la radicalità, la sobrietà e la contemplazione.
Mentre conversava con Cecilia, Anna Maria sentì misticamente, con i suoi sensi interiori, una voce nitida e chiara che le disse: “Io sono Teresa di Gesù e ti voglio tra le mie figlie!”4 Spaventata, corse all’altare per rifugiarsi nel Sacro Cuore di Gesù, ma con sua grande sorpresa, arrivata lì, la voce si fece di nuovo sentire e questa volta senza ombra di dubbio: “Sono Teresa di Gesù e ti voglio tra le mie figlie; presto sarai nel mio monastero”.5
Ora, l’eredità spirituale lasciata da Santa Teresa d’Avila si basa sulla spoliazione dalle cose terrene per poter volare senza impedimenti verso gli assoluti celesti. La chiamata che Santa Teresa fa a ciascuna delle sue figlie è, in tutto, lungi dall’essere facile e confortevole. E forse è proprio questa la ragione per la quale attira così tante anime assetate di eroismo nella consegna di se stesse a Dio.
La decisione della giovane Anna Maria di diventare carmelitana sorprese non solo le sue maestre, ma anche la sua famiglia. E le procurò un periodo di prova da parte dei suoi parenti, che nutrivano per lei il desiderio segreto che entrasse nell’Ordine Benedettino.
Ignazio Redi, uomo prudente e devoto, volle sperimentare sua figlia nelle virtù che le sarebbero state richieste dal rigido Ordine Carmelitano. Per questo la costrinse ad aspettare lunghi mesi, nei quali mise alla prova la sua docilità, la sollecitudine, l’obbedienza e, infine, anche la sua fede. L’ultima di queste prove consistette in un vero e proprio interrogatorio da parte di tre illustri ecclesiastici che, esaminatala, conclusero che il Carmelo era per lei il luogo migliore per amare, servire e glorificare Dio.
Dopo questo duro periodo in cui il tempo e l’attesa agirono come inclementi carnefici, finalmente Anna Maria salutò i suoi ed entrò nel “giardino di Dio”, nella città di Firenze.
Nel Carmelo, un’altra “Teresa”
Frequentemente, l’inizio del cammino di un religioso lungo la via che Dio gli ha riservato viene inondato di gioie primaverili; la grazia approfitta dei minimi fatti, di circostanze e di persone per dispiegare la bellezza dell’ideale che si deve seguire.
Ad Anna Maria, l’ingresso nel Carmelo parve l’entrata nel Paradiso Terrestre. Nei suoi scritti chiama “angeli” le compagne d’abito e annota che si considera indegna di stare insieme a loro.
La comunità in questione era composta per lo più da religiose di età avanzata che vedevano nella giovane novizia la speranza di continuità di quel Carmelo, ma anche l’opportunità di soddisfare meschini egoismi.
La grandezza dell’anima di Anna Maria non fu scossa dai maltrattamenti che ricevette da alcune delle sue sorelle di vocazione. Al contrario, seppe, con l’aiuto della grazia, usare queste piccole croci per offrire a Dio un sacrificio di soave odore che la configurava sempre più al Sacro Cuore di Gesù, Vittima dei peccatori.
Dopo il periodo di noviziato, giunse l’ora di fare la professione tra le figlie di Santa Teresa. E quando fu il momento di scegliere il suo nome da religiosa, Anna Maria si pose sotto il patrocinio della sua fondatrice e della grande Santa Margherita Maria Alacoque, suo modello nella devozione al Cuore di Gesù.
L’obbedienza messa alla prova
Ciò che si sa della vita di Santa Teresa Margherita dietro le mura della clausura è ciò che ci si aspetta da ogni carmelitana fervente: esimia obbedienza, purezza angelica e povertà evangelica. Possiamo chiederci allora: cosa ha fatto di straordinario per meritare l’onore degli altari?
La risposta è di una assoluta e profonda semplicità: portando a compimento queste tre virtù in un grado eroico, è stata fedele al voto fatto nella sua infanzia di “compiacere Dio in tutto”.
Le narrazioni della sua vita raccontano un episodio degno di nota, che illustra bene questa realtà. A un certo momento, la sua obbedienza fu messa a dura prova quando la superiora le affidò la cura di una suora affetta da demenza. Un tempo religiosa esemplare, la malata era diventata di temperamento estremamente ostile, brutale e arcigno. Aveva attacchi di follia in cui “pretendeva di mangiare proprio quello che i medici le proibivano” o “rifiutava con indignazione quello che aveva desiderato qualche istante prima”.6 Quando non era assistita secondo il suo volere, subito liberava tutta la sua furia contro la sua benefattrice. La giovane infermiera veniva frequentemente insultata e umiliata da lei.
C’era un’altra suora che doveva condividere con la santa le attenzioni alla malata. A peggiorare la situazione, questa aiutante nutriva una falsa concezione della carità e, per evitare i maltrattamenti, acconsentiva a soddisfare tutti i capricci dell’inferma.
La circostanza era delicata per Santa Teresa Margherita: se si fosse presa cura della salute della malata secondo le norme ricevute, avrebbe attirato su di sé un vulcano di insulti, oltre all’incomprensione dell’altra religiosa, che la considerava responsabile degli attacchi di collera della paziente; se avesse acconsentito a qualche desiderio di entrambe, avrebbe disobbedito alla superiora. In questa situazione di stallo, ella preferì accettare vessazioni e insolenze, e così comprare grazie di fortezza e salvezza per la malata e per la sorella infermiera, piuttosto che cedere in materia di obbedienza.
Tre parole che racchiudono la pienezza dell’amore
Il motto “compiacere Dio in tutto” fu per Santa Teresa Margherita un faro che guidò la sua vita dentro e fuori il monastero.
La sua esistenza testimonia che coloro che cercano di compiacere il Signore in ogni cosa, in ogni momento e in qualsiasi situazione, anche avversa, attirano su di sé lo sguardo divino e ricevono da Lui tutto l’affetto e la premura che il più tenero dei genitori può dedicare a un figlio fragile ma fedele che si abbandona tra le sue braccia.
Il voto che aveva fatto in giovanissima età, forse con una consapevolezza un po’ puerile della profondità di ciò che prometteva, divenne la chiave per aprire il Sacro Cuore di Gesù e per penetrare nella più intima comunione con Lui. E il Divin Salvatore volle, a sua volta, mostrarle il gradimento che provava in questo rapporto mistico concedendole una grazia straordinaria.
Mentre la comunità era riunita per il canto dell’Ufficio, e “mentre nel coro si pregava l’Ora Terza, nel leggere nel capitolo le parole ‘Deus caritas est et qui manet in caritate in Deo manet et Deus in eo’,7 Suor Teresa Margherita si sentì investita da un’onda di amore divino”8 e fu portata a sperimentare la pienezza d’amore racchiusa in queste tre parole: “Deus caritas est”.
Cosa le sarà stato mostrato in questa estasi? Dio è amore… lo Spirito Santo è l’Amore di Dio. Il Grande Sconosciuto Si sarà manifestato a lei? Da quali grazie fu colmata e quali speranze coronarono la sua persona?
Purtroppo la Storia non ha registrato le comunicazioni celesti che Santa Teresa Margherita ricevette in quel momento, né le sue impressioni dopo il fatto. Si sa appena che, da allora in poi, era frequente trovarla a occuparsi dei suoi compiti quotidiani con lo spirito raccolto e assorto nella ripetizione del versetto “Deus caritas est”, dando l’impressione di avere l’anima tutta presa dal legame mistico con il Divin Redentore.
Che anche noi, con l’ausilio di Santa Teresa Margherita, riusciamo a “compiacere Dio in tutto”, per essere così introdotti in sua presenza, in intimità con Lui e nella sua perpetua gioia. ◊
Note
1 Dallo spagnolo: “Davanti a Dio, non sarai mai un eroe anonimo”
2 Cfr. SCIADINI, OCD, Patricio. Santa Teresa Margherita Redi. Vita, scritti e spiritualità. São Paulo: Edições Carmelitanas, [s.d.], p.7.
3 Idem, p.16.
4 Idem, p.18.
5 Idem, ibidem.
6 TEODORO DELL’ARCANGELO RAFFAELLO, OCD. Abrégé de la vie de la Servante de Dieu Sœur Thérèse-Marguerite Redi du Cœur de Jésus. Avignon: Seguin Ainé, 1848, p.118.
7 Dal latino: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui’’ (1 Gv 4, 16).
8 SCIADINI, op. cit., p. 62.