Sant’Ottone di Bamberga – Da cancelliere di Lucifero ad ambasciatore di Cristo

Il cammino spirituale dei beati non è esente da battute d’arresto; dopo tutto, come noi, essi sono figli di Adamo, non di Giove.

Mai nella Storia c’è stato un avvocato più abile di Nostro Signore Gesù Cristo. Tra le affermazioni proferite dal Divin Maestro, alcune sembrano essere state coniate appositamente con lo scalpello di un artista o pesate con la bilancia di un farmacista, tale è la precisione del messaggio che trasmettono e l’universo di sottigliezze che lasciano intendere.

Non c’è nulla di più giusto, ad esempio, della raccomandazione di dare «a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Lc 20, 25) – del resto, la giustizia, afferma San Tommaso,1 è dare a ciascuno quello che è suo di diritto: ius suum unicuique tribuere. L’affermazione del Vangelo sembrerebbe persino ovvia, banale, se non fosse per un piccolo dettaglio.

Poiché Dio ha creato e sostiene l’universo, a Lui appartiene «la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti» (Sal 24, 1). È il caso, pertanto, di chiedersi: avanza ancora qualcosa per Cesare? Da questo punto di vista, la divisione dei beni operata da Gesù diventa meno simmetrica di quanto sembri a prima vista…

Infatti, nessun potere è dato agli uomini se non dall’Alto (cfr. Gv 19, 11). Spetta a “Cesare” piegare le sue ginocchia davanti a Cristo e riconoscere che tutto proviene da Lui; quando si rifiuta di farlo, si appropria di ciò che non gli appartiene, aspira a occupare il trono di Dio, proprio come fece un tempo il principe degli Angeli. Così facendo, il governatore si trasforma in usurpatore, Cesare si trasforma in Lucifero.

Ebbene, in pieno Medioevo, nel cuore della Civiltà Cristiana, Lucifero si guadagnò un nuovo nome: Enrico.

Il mondo che Ottone conobbe da giovane

È famosa la disputa promossa dall’imperatore Enrico IV sull’investitura laica, cioè sulla possibilità che un laico attribuisse cariche ecclesiastiche. Gli interessi politici del monarca lo portarono, tra il 1075 e il 1076, a ribellarsi contro la Santa Sede, a nominare Vescovi in varie diocesi e a calunniare Papa San Gregorio VII. Quest’ultimo in seguito lo scomunicò, deponendolo dal trono.

Nel cuore della Civiltà Cristiana, Lucifero ricevette un nuovo nome: Enrico, colui che volle appropriarsi di ciò che appartiene a Dio

Dopo una presunta conversione, che lo portò a bussare, a piedi nudi in pieno inverno europeo, alle porte del Castello di Canossa, Enrico tornò ad essere insubordinato e fu nuovamente deposto nel 1080, eleggendo un antipapa in un tentativo di vendetta.

La notizia di questi sconvolgimenti scosse l’intera Cristianità e, naturalmente, l’impero in particolare. Possiamo considerare per scontato che essi giunsero alle orecchie di un tedesco di diciotto anni di nome Ottone; forse fu la prima occasione in cui la vita dell’imperatore scomunicato influenzò quella di quel giovane, e certo è che, purtroppo, non fu l’ultima…

Il fiume di eventi confluisce nella corte di Enrico

In realtà, riteniamo possibile che Ottone ormai non abitasse più in Germania al momento della seconda deposizione dell’imperatore. Nato da una famiglia nobile ma priva di risorse, il ragazzo di buona cultura, singolare memoria ed elegante aspetto decise di emigrare in Polonia per guadagnarsi da vivere come precettore di bambini. Le sue capacità diplomatiche gli valsero ben presto il favore dei grandi del Paese, tra cui lo stesso duca di Polonia, Boleslao III.

L’amicizia tra i due arrivò a tal punto che, quando quest’ultimo rimase vedovo nel 1085, Ottone, già sacerdote, fu determinante nell’organizzare il nuovo matrimonio, recandosi in delegazione per chiedere la mano della sposa. La sua futura consorte non era niente meno che Giuditta, sorella di Enrico IV. È a quell’epoca che ha inizio la relazione tra lui e l’imperatore, una relazione che sarebbe diventata molto stretta: alcuni anni dopo, Ottone sarebbe stato convocato a corte.

Enrico IV, di Eduard Ihlée – Municipio di Francoforte (Germania)

È difficile immaginare la delicata situazione di coscienza del chierico che, mentre si dedicava agli uffici liturgici nella cappellania reale, entrava sempre più – forse istintivamente, forse senza nemmeno desiderarlo – nella fiducia e nell’amicizia di quel re, per molti versi nemico della Chiesa. A quanto risulta, Sant’Ottone lo avrebbe ammonito a ritornare all’unità visibile del Corpo Mistico e alla sottomissione al vero Pontefice. In ogni caso, ciò non bastò a screditarlo presso Enrico, che lo nominò cancelliere. Ed era solo l’inizio…

Un incrocio sulla collina di San Michele

In occasione del Natale del 1102, quando la sede episcopale di Bamberga era vacante da alcuni mesi, il monarca scismatico riunì le più illustri personalità ecclesiastiche del suo entourage per annunciare loro ufficialmente chi sarebbe stato il prelato della diocesi.

Una scena paradossale: la processione, addobbata con tutta la pompa di un impero, circondata da croci, saliva in cima a una collina dedicata a San Michele, per incontrare il futuro custode del gregge di Bamberga – il loro futuro Angelo, secondo il termine usato dall’Apocalisse per indicare i Vescovi (cfr. Ap 1-3). A presiedere il corteo, al centro dell’attenzione… Lucifero. Sì, perché Enrico faceva quella investitura senza l’autorizzazione del Papa.

È difficile immaginare la delicata situazione di coscienza di Ottone, che stava entrando in confidenza con un re per molti versi nemico della Chiesa

Mentre i legati bisbigliavano sui possibili candidati, Enrico prese la mano di Ottone e proclamò: «Ecco, questo è il vostro signore, questo è il vescovo della Chiesa di Bamberga».2

Un clamore di malcontento si levò nell’assemblea. Nessuno si aspettava questo nome. Enrico IV difese il suo prescelto con la truculenza che gli era propria e pose fine alle discussioni in sala, ma non riuscì a far tacere il turbamento nell’animo di Ottone.

Nel ricevere la notizia, il giovane chierico si mise a piangere e si gettò ai piedi dell’imperatore, implorando che la carica non fosse conferita a lui, povero e indegno. Tuttavia, questa reazione non fece altro che rafforzare la convinzione di Enrico di aver scelto l’uomo giusto; dopo tutto, l’umiltà e il disinteresse sono la culla della lealtà. Alla fine, Ottone accettò l’investitura.

Chiostro sacro e impenetrabile della coscienza

Un atto di pusillanimità? Una prevaricazione? La sua amicizia personale con il monarca avrebbe parlato più forte della sua sottomissione a Roma?

Il fatto che Sant’Ottone sia stato canonizzato dalla Chiesa non impedisce di per sé l’insorgere di perplessità di questo genere. Del resto, come si fa a determinare il momento esatto in cui qualcuno ha varcato la soglia della santità? Gli stessi beati divergono nel suddividere le tappe di questo enigmatico itinerario: San Tommaso lo divide in tre gradi di carità; Santa Teresa in sette dimore; il Beato Suso in nove rocce. Ciò dimostra che, in ultima analisi, si tratta di una strada continua la cui fine si trova solo in Cielo.

Si aggiunga che lo studio della Storia non sarà mai una scienza esatta; uno stesso atto può risultare virtuoso o peccaminoso, a seconda dell’intenzione con cui viene compiuto. Si tratta di una sfumatura discreta, certo, ma decisiva come quella che differenzia la composizione molecolare del carbone da quella del diamante.

Strategia di guerra?

In realtà, il futuro Vescovo di Bamberga si trovava in una posizione delicata. Infiltrato nell’occhio del ciclone, nel nocciolo duro del suo avversario, avrebbe messo tutto a repentaglio con un solo passo falso. Aveva già rinunciato a due tentativi di nomina all’episcopato. Cosa sarebbe successo dopo un terzo?

Pesa molto a suo favore il fatto che, una volta accettato l’incarico, avesse stabilito che non vi sarebbe mai rimasto senza una ratifica di Sua Santità, Pasquale II, ragione per la quale gli inviò una missiva dal tono sottomesso. E la risposta arrivò non solo positiva, ma anche calorosa.3

È possibile che si sia trattato di una mossa strategica. Nella sua sagacia, egli deve aver elaborato una maniera di accettare l’incarico, al fine di trarre un vantaggio per la Santa Chiesa.

In ogni caso, i dubbi riguardo la propria fedeltà rimarranno sempre nella coscienza di ogni uomo, anche in quella dei Santi – e oso dire: soprattutto in quella dei Santi. Nonostante il rescritto di Pasquale II, Sant’Ottone volle comunque dedicare ancora tre anni alla preparazione della sua consacrazione episcopale, perché non si sentiva degno. Solo nel 1106 si recò a Roma per essere ordinato.

Ancora il problema di coscienza

Dopo alcuni contrattempi lungo il cammino – un certo Conte Adalberto lo catturò nelle valli tirolesi e il Santo fu liberato solo grazie all’uso delle armi – arrivò a Roma il giorno dell’Ascensione e da lì si recò ad Anagni per incontrare il Papa. Pasquale II gli chiese di aspettare del tempo, fino alla festa di Pentecoste. Sant’Ottone tornò al suo alloggio per riposare, o almeno per cercare di riposare…

Durante la notte, un’altra crisi di scrupoli lo assalì: era davvero pronto a portare il peso episcopale? La prova fu così forte che il giorno dopo era di nuovo in viaggio, deciso a tornare in patria per vivere come un privato cittadino.

Si può ben immaginare l’afflizione dei suoi compagni di viaggio. Solamente un pazzo avrebbe potuto adottare un atteggiamento così incoerente. In effetti, pochi sono in grado di comprendere la durezza dei problemi di coscienza che affliggono i Santi.

Ottone aveva già viaggiato per un giorno intero, quando furono avvistati i nunzi del Papa, i quali venivano a ordinargli di tornare ad Anagni per la consacrazione. Era Dio che gli diceva, come aveva già detto all’Apostolo: «Ti basta la mia grazia» (2 Cor 12, 9).

Sant’Ottone e la Chiesa di Bamberga

La cerimonia ebbe luogo il giorno di Pentecoste e Ottone tornò a Bamberga all’inizio del 1107.

Sarebbe troppo lungo raccontare in dettaglio l’eccellente amministrazione del Santo, che si manifesta sia nella sua vigilanza per mantenere il gregge nell’ovile di Roma, nonostante la delicata situazione diplomatica con l’imperatore – all’epoca Enrico V –, sia nei suoi sforzi per infervorare il clero, sia nel gran numero di basiliche e monasteri che fece costruire – uno dei quali, tra l’altro, su richiesta di San Norberto, per ospitare una comunità di Premonstratensi.

Ottone aveva insegnato, servito come cappellano dell’imperatore, fu cancelliere e Vescovo, ma gli mancava ancora un riconoscimento: quello di missionario

Da buon medievale – o meglio, da uomo di fede – Sant’Ottone era convinto che la santità monastica fosse la chiave per sostenere la pratica della virtù, tanto nel clero quanto nei laici, ed è per questo che si impegnò con grande sforzo per incoraggiare la vita religiosa, al punto di essere soprannominato il padre dei monaci. Ad esempio, fu dalle sue mani che Santa Ildegarda ricevette il velo.

Ma questo periodo non costituì la fase più brillante del percorso di vita del Vescovo di Bamberga. Aveva già fatto di tutto: aveva insegnato, servito come cappellano di un duca e di un imperatore, cancelliere e infine Vescovo. Gli mancava ancora un riconoscimento: quello di missionario.

Bamberga riceve una visita

Alla fine del 1122, in occasione di un concilio di corte, un singolare personaggio visitò Bamberga: era un Vescovo, di razza spagnola, ma qualcosa nella sua austerità gli dava l’aria di un eremita del deserto. Si chiamava Bernardo.

Questo prelato godeva di grande fama di santità e zelo, motivo per il quale Sant’Ottone si premurò di riceverlo e di ascoltare le sue recenti avventure a favore del Vangelo.

Bernardo raccontò come aveva convinto il duca di Polonia a concedergli l’autorizzazione a recarsi in Pomerania al fine di convertire le popolazioni pagane che la dominavano. Descrisse anche come fosse entrato nella regione a piedi nudi e vestito in modo rude, sperando di diffondere i semi del Regno di Dio, e come i Pomerani lo avessero giudicato in base alle apparenze e, pensando che fosse un indigente venuto da loro nel tentativo di procurarsi cibo facile, lo avessero espulso dal Paese.

Mentre la storia si svolgeva, il prelato iberico analizzava le reazioni del suo interlocutore. In realtà, aveva un’intenzione molto chiara in tutto quel discorso… Sapeva che Ottone, godendo di una eccellente presentazione personale ed essendo a capo di una ricca diocesi, possedeva tutte le condizioni per impressionare i Pomerani e conquistarli alla Fede. Rendendosi conto delle buone disposizioni del Vescovo di Bamberga, mise in atto tutta la sua capacità di persuasione e fece la proposta.

Apostolo della Pomerania

La richiesta fu ulteriormente rafforzata da un’ambasciata di Boleslao IV che, unendo l’utile al dilettevole, voleva convertire questi popoli allo scopo di renderli un po’ più trattabili. Il duca di Polonia prometteva anche un supporto logistico per la missione.

Come attesta un biografo contemporaneo,4 il cuore di Sant’Ottone si infiammò di gioia per entrambe le proposte. Dopo aver inviato meticolosamente una richiesta di autorizzazione a Callisto II – non voleva certo ripetere le amare esperienze di un tempo – iniziò i preparativi per la missione. Iniziava una nuova tappa nell’esistenza del nostro Santo, o meglio, la seconda grande odissea della sua vita. Nella prima, aveva combattuto una lotta interiore; ora avrebbe intrapreso una guerra esterna, una campagna di conquista. Colui che un tempo, forse senza colpa alcuna, aveva potuto essere definito “cancelliere di Lucifero”, ora meritava il titolo di ambasciatore di Cristo.

Le battaglie interiori dell’Apostolo della Pomerania rivelano che egli condivide la nostra fragile carne ed è più vicino a noi di quanto pensiamo

Non più gli ambienti di palazzo dei tempi della cappellania imperiale, non più le sottigliezze della vita di relazione tra uomini di potere. Protetta da dense foreste, piene di serpenti e animali selvatici, la Pomerania ospitava un popolo spaventoso che riteneva normale, tra le altre cose, uccidere le proprie figlie e che aveva recentemente crocifisso un missionario.

Qualche tempo prima del viaggio, c’era stata lì una rivolta contro il giogo di Boleslao, rivolta che il duca aveva affogato nel sangue. Nelle strade si potevano ancora vedere cadaveri in decomposizione.

Sant’Ottone consegna la Chiesa della Pomerania a Cristo, Chiesa Memoriale di Wartislaw – Schleswig-Holstein (Germania)

Potremmo descrivere Sant’Ottone mentre affronta ogni tipo di ostacoli, fugge dalle città, brucia gli idoli pagani, compie miracoli, sempre fedele a un piano di guerra, il cui titolo potrebbe ben essere: l’evangelizzazione attraverso la bellezza, poiché il suo metodo consisteva nell’incantare i nativi con la magnificenza degli ornamenti liturgici. Si calcola che, durante il suo lavoro apostolico, Sant’Ottone abbia battezzato più di ventiduemila persone, diventando così l’Apostolo della Pomerania.

Più che un Santo, un amico

All’età di settantasette anni e pieno di meriti, l’ambasciatore di Cristo morì il 30 giugno 1139.

Se analizzata in profondità, la vita di questo Santo – come quella di tutti gli altri – smonta un mito. Ci mostra che il cammino spirituale dei beati non è esente da battute d’arresto e rimorsi di coscienza; in fondo, come noi, essi sono figli di Adamo, non di Giove.

Questa battaglia interiore che hanno combattuto per allontanarsi dal mondo ci rivela che sono più vicini a noi di quanto pensiamo. Gli amici di Dio sono anche nostri amici, perché condividono la nostra fragile carne; contemplano le nostre battaglie spirituali desiderosi di prestare aiuto, come il fratello maggiore che guarda il minore e dice: «Credimi, ci sono passato anch’io». ◊

 

Note


1 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma teologica. II-II, q.58, a1.

2 SANCTI OTTONIS VITA, c.VI: PL 173, 1272.

3 Cfr. SANTO OTTONE DI BAMBERGA. Epistolæ et diplomata: PL 173, 1313-1315.

4 Cfr. EBO; HERBORDUS. The Life of Otto: Apostle of Pomerania. London: Society for Promoting Christian Knowledge, 1920, p.25..

 

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