Sul soggettivismo – Una lezione di vita attraverso Santa Caterina da Siena

Di fatto oggi l’idea di verità è sostituita da quella di cambiamento, di progresso, di consenso… è la singola persona che ‘crea’ la verità, che stabilisce quello che è vero e quello che è falso, ciò che è bene e ciò che è male.

Iniziamo con una barzelletta … ma neanche tanto.

Un giorno un tizio entra con la sua potente Maserati in autostrada e dopo un po’, accendendo l’autoradio e sintonizzandosi su Isoradio, ascolta esterrefatto le concitate parole dell’annunciatrice: «Fare speciale attenzione su l’A1 perché un folle sta andando contromano su una delle corsie!». Al che il tizio alzando lo sguardo esclama arrabbiatissimo: «Uno??? Ma sono migliaia!»

Questa vecchia barzelletta mi sembra che renda abbastanza il contesto nel quale viviamo, confermando purtroppo, allo stesso tempo, come spesso la realtà superi di molto la fantasia: si fanno sempre più scelte soggettive che non tengono conto degli altri, della creazione, della realtà che siamo, e se gli altri non le accettano, sono loro che hanno dei problemi, che non capiscono, che sono ‘folli’!

Di fatto, sempre più ognuno, prima o dopo, fa l’esperienza di atteggiamenti e comportamenti che trovano la loro origine in un patologico egocentrismo ed egoismo, dei quali il più delle volte non si ha neanche coscienza, ma anzi sono sentiti come doverose manifestazioni di una equivocata ‘sacrosanta libertà’, di voler fare ciò che si sente e si vuole, rifiutando ogni regola, ogni norma di comportamento che in quanto tali sono invece proprio, e non potrebbero non esserlo, per il bene di tutti.

L’egocentrismo patologico che prevale nella società dei nostri giorni è erroneamente considerato come una manifestazione di libertà

Tali norme, quindi, sono percepite come indebite limitazioni dei propri diritti, salvo che così facendo, s’impongono di fatto agli altri i propri interessi individualistici, le proprie regole. Si pensi solo a chi svolge un qualsiasi ruolo nella società, dai più umili ai più importanti e approfittando della propria posizione spadroneggia sugli altri, cercando di primeggiare, di dominare fino ad asservire e umiliare gli altri, invece di essere grati di poter essere loro utile (cfr. Fil 2, 3-5).

Gli esempi si potrebbero sprecare in tutti gli ambiti e a tutti i tipi e livelli di relazione, ma preferisco lasciare al lettore di provare a farne l’elenco e sicuramente dei novelli Freud o Jung avrebbero tanto da diagnosticare! In tali esempi – ovviamente non giudicando le intenzioni – si registra il moltiplicarsi di comportamenti, parossistici nei giovani e che vanno ben oltre la semplice mancanza di educazione, che non tengono assolutamente conto della dignità e del rispetto che si è tenuti ad avere nei confronti del prossimo e alla comune dignità umana, patrimonio di tutti e non privilegio di alcuni.

Soprattutto, facendo apparire e sentire coloro che cercano di osservare le regole, e quindi ciò che non è altro che attenzione e rispetto verso gli altri o verso determinati luoghi e tempi, come degli ‘intolleranti’, dei rigidi che ledono la mia libertà di fare quello che voglio (non curandosi che questa possa penalizzare qualcuno). Ovviamente con ciò non s’intende accogliere l’idea kantiana di libertà, ormai entrata nel DNA della cultura moderna, e cioè che la mia libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro. Questa visione, a prima vista rispettosa e comprensiva, è di fatto limitativa della dignità della libertà umana.

Infatti, l’uomo per la sua natura razionale e sociale può essere veramente libero con e per gli altri. Per queste ragioni penso che ognuno, iniziando da chi scrive, debba fare un serio esame quotidiano di coscienza, tenendo presente la Regola d’oro lasciataci da Cristo: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7, 12), al fine di evitare, come sempre più spesso avviene, di essere di fatto dei despoti e pretendere o addirittura di rinfacciare agli altri ciò che si è loro negato.

Continuiamo con una breve analisi

A ben vedere, la modernità, ed in modo particolare i nostri tempi, si distinguono rispetto al passato, per una sempre più difficile armonizzazione, fino ad arrivare ad una netta contrapposizione, tra la centralità della persona e dell’altro con il rispetto (e non la tolleranza in quanto si tollera sempre un male…) del pluralismo culturale ed etico, che sfocia spesso e volentieri in vero e proprio relativismo. Comunemente, soprattutto in alcuni ambienti ecclesiali, si ritiene che siano il relativismo culturale ed il pluralismo etico i veri problemi di oggi, ma, studiando più attentamente la questione, nella realtà questi non sono altro che gli effetti.

La cultura odierna cerca di convincerci che la coscienza è mero soggettivismo e che la verità si risolve in un vero e proprio relativismo

Il vero problema è la sempre più assoluta ed intransigente affermazione di una soggettività individualistica, che si traduce sempre più in soggettivismo etico. Da quest’ultimo consegue il relativismo nelle valutazioni e il fondamentalismo che non tiene conto dell’altro. Chi proclama, come facciamo tutti, che c’è bisogno di riaffermare la centralità della persona e il suo rispetto, deve poi anche porsi il problema e fare i conti di come ogni persona elabori soggettivamente detta centralità, con il reale pericolo che si convinca della ‘sua verità’, e dei suoi ‘valori’.

Perciò in questa ricerca, e la realtà lo conferma, c’è però il pericolo che si finisca in un vero e proprio soggettivismo etico, che di fatto menoma la natura sociale dell’uomo. È questo, allora, il vero pericolo! Riproposizione di quel peccato originale che rifiuta di essere creatura e s’illude di farsi creatrice di se stessa (cfr. Gn 3,5), il quale non accetta l’oggettività di una natura che è stata creata da Dio con le sue regole e le sue esigenze intrinseche che non è possibile cambiare salvo ritrovarsi un’altra natura, e dimenticando il monito del profeta: «Potrà forse discutere con chi lo ha plasmato un vaso fra altri vasi di argilla? Dirà forse la creta al vasaio: ‘Che fai?’ oppure: ‘La tua opera non ha manici?’» (Is 45, 9 e anche Ger 18, 6).

“Rouget de Lisle che canta la Marsigliese”, di Isidore Pils – Museo di Belle Arti di Strasburgo (Francia)

Infatti, gli effetti dannosi e devastanti che registriamo a tutti i livelli ed in tutti gli ambienti sociali, non derivano tanto dal pluralismo etico e religioso, ma da una soggettività concepita come assoluta ed infinita che diventa soggettivismo etico, prigioniero del suo ego, cosa che vanifica o strumentalizza ogni tipo di relazione. Arrivando, quindi, a voler quasi giustificare l’assurdo: l’uomo, essere finito, che pretende di avere una libertà infinita!

Il vero problema è l’affermazione intransigente di una soggettività individualistica, per cui ognuno afferma la sua “verità”

Perciò, se si afferma la centralità della persona, il suo primato, dobbiamo anche guardare a che cosa questa può portare, soprattutto quando non correttamente presentata, o perché non si tiene conto del come possa essere recepita dalla maggioranza delle persone. Detta centralità della persona può portare al fatto che ogni singolo elabori nella sua soggettività interna un tipo di ricerca e di scelte etiche in modo meramente autoreferenziale e senza nessun confronto con le verità oggettive (sia a livello di ragione che di fede).

Ecco, allora, che alla fine è la singola persona che ‘crea’ la verità, che stabilisce quello che è vero e quello che è falso, ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è giusto e ciò che è iniquo, ciò che è il Diritto e ciò che è arbitrario. E, dato che lo spirito umano vive nel tempo, la verità che stabilisce cambia con il tempo e le circostanze affermando così di fatto il primato non solo del relativismo, ma necessariamente anche dello storicismo.

Di fatto oggi l’idea di verità è sostituita da quella di cambiamento, di progresso, di consenso, di desiderio, di sentimento, di emozione. La convinzione che sia impossibile per la persona arrivare alla verità, che essa sia oggettiva e costituisca un termine di confronto ineludibile, porta nel concreto, ed a tutti i livelli, a non essere attenti ai contenuti e a limitarsi alla realizzazione tecnica e alle mere formalità.

La cultura oggi dominante inesorabilmente cerca di convincerci che la coscienza non è altro che soggettivismo e che la verità si risolve in un vero e proprio relativismo, salvo poi dover fare i conti con il prodotto finale del fondamentalismo e degli inevitabili conflitti che produce! Quindi, il tema della coscienza morale, oggi più che mai, è soggetto ad equivoci, stravolgimenti fino ad arrivare a vere e proprie caricature e strumentalizzazioni ideologiche.

In una cultura contemporanea dove tutto tende ad essere sempre più ‘soggettivo’, nel senso di libertà di arbitrio, intesa come assoluta (= faccio quello che voglio, che sento, che desidero, che mi dà ‘benessere’, dimenticando, però, che questo è diverso dal vero ‘bene’: una ‘droga’ fa sicuramente stare bene in un determinato momento, ma è il bene di quella persona?), bisogna ricordare e far capire che quel ‘soggettivo’ è espressione di una persona con una natura che ha ricevuto, ed in ogni caso non si è data, con le sue caratteristiche ed esigenze che non permettono il ‘soggettivismo’ se non a caro prezzo, per le singole persone e per la comunità.

In altre parole, si deve mettere in luce che ogni persona non è e non può sentirsi ‘legge a se stessa’, ed allo stesso tempo non è e non può comportarsi, di conseguenza, con aspirazioni infinite ed assolute che si contrappongono a quelle degli altri, chiusa in se stessa, come una vera e propria ‘monade’. Quindi, il vero problema oggi non è tanto riaffermare la centralità della persona, ma dobbiamo chiederci: come possiamo seguire e far crescere la sua soggettività in modo che rispetti la propria e l’altrui dignità?

Concludiamo con la Santa di Fontebranda

Senz’altro una possibile risposta la possiamo trovare nell’insegnamento che Nostro Signore ha rivelato a Santa Caterina da Siena e attraverso di lei a ciascuno di noi. Essa consiste in una semplice, ma eloquente e istruttiva verità che il suo biografo ci ha trasmesso: «Tu sei quella che non è; io, invece, Colui che sono»1. Verità che ritroviamo ribadita nell’Antico e nel Nuovo Testamento (cfr. Es 3, 14; Gv 18, 6). Noi siamo perché Dio ci ha chiamati all’esistenza e ci ha affidato un progetto da realizzare equipaggiandoci di tutto il necessario per farlo ed è per questo che l’Apostolo c’invita a chiederci: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?» (1 Cor 4, 7).

Santa Caterina da Siena, di Pascual Pérez – Museo d’Arte Sacra di Santa Monica, Puebla (Messico)

Perciò, senza di Lui non siamo e possiamo nulla (cfr. Gv 15, 5). Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, è un dono di Dio che ci mantiene nell’esistenza e ci dà per poter agire, in ogni momento: tu sei quella che non è e tutto è dono di Dio, e vivremo veramente se ciascuno vivrà «secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio» (1 Pt 4, 10), tenendo presente che agli amministratori si richiede solo di essere fedeli (cfr. 1 Cor 4,2).

L’insegnamento rivelato da Nostro Signore a Santa Caterina da Siena fornisce la risposta: «Tu sei quella che non è; Io, invece, Colui che sono»

Meditiamo queste profonde verità e preghiamo il Signore per intercessione di Santa Caterina, affinché dia a ciascuno di noi di poterle tradurre nella vita quotidiana, affinché le relazioni tra noi siano conformi alla natura che ci è stata donata e quindi più umane e non infettate da quel delirio di onnipotenza che porta solo conflitti e alla fine a quella tremenda egoistica solitudine che nessuno ‘stordimento’ potrà mai farci superare, perché è vero che possiamo fare tante cose, ma non tutte sono utili per il nostro vero bene (cfr. 1 Cor 10, 23), e soprattutto nessun ‘surrogato’ o ‘compensazione’ potranno mai soffocare la nostra vocazione al vero Amore. «Se uno ha orecchi per intendere, intenda!» (Mc 4, 23). ◊

 

Note


1 BEATO RAIMONDO DA CAPUA, Santa Caterina da Siena, Siena Lib. I, Cap. X, ed. Cantagalli, 1978, p. 105

 

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