1.700 anni dal Concilio di Nicea – Cinque lezioni per i nostri giorni

Può un concilio svoltosi in Estremo Oriente 1.700 anni fa avere qualcosa da dire ai cattolici del XXI secolo?

Se la Storia è maestra di vita, allora a ragione possiamo giudicare privilegiata un’istituzione che conta due millenni di esistenza! Nulla, eccetto l’azione sempre nuova della Provvidenza, costituisce una novità per la Chiesa Cattolica. Di fronte alle inaudite tempeste del XXI secolo, essa può dire con orgoglio: «Ho visto altri venti, ho affrontato altre tempeste con lo stesso spirito».1

Quest’anno in cui commemoriamo il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, consideriamo alcuni attualissimi insegnamenti di quella grande assemblea, dei quali i primi due ci sono stati presentati ancor prima che i principi della Chiesa fossero riuniti.

Prima lezione: il pericolo inizia con la vittoria

Emersa trionfalmente dalle catacombe dopo l’Editto di Milano, la Sposa Mistica di Cristo dovette presto affrontare nuovi nemici: le eresie, che poco si erano manifestate nei tempi di persecuzione. Arianesimo, sabellianismo, novazianismo, donatismo, melezianesimo e manicheismo furono alcuni degli errori che imperversarono in quel periodo.

Il punto centrale delle dispute erano le dottrine sulla Santissima Trinità e sull’Incarnazione del Verbo. In particolare, l’arianesimo predicava che il Verbo sarebbe una creatura del Padre, negando espressamente la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo, il fondamento stesso del Cristianesimo!

Il fondatore di questa setta era Ario, presbitero che viveva nella città di Alessandria d’Egitto,2 dove era responsabile dell’importante chiesa di Baucalis. Sostenendo di possedere una conoscenza e una saggezza straordinarie, si ostinava a diffondere i suoi errori, nonostante gli insistenti ammonimenti del Patriarca Alessandro e persino la condanna formale delle sue dottrine da parte di un concilio locale. Il pericolo cresceva man mano che l’eresia si diffondeva in tutto l’impero e formava una perniciosa corrente. Sarà, dunque, contro di essa che si solleverà il Concilio di Nicea.

La lotta è un aspetto essenziale della Chiesa Militante e una delle sue manifestazioni consiste nel denunciare i lupi che si infiltrano nel gregge

Qui possiamo già considerare la prima lezione di questo concilio: la lotta è un aspetto essenziale della Chiesa Militante. La vittoria sancita dall’Editto di Milano segnò solo l’inizio di un’altra battaglia. Non abbiamo il diritto di essere ottimisti: i nemici della Chiesa non dormono e cercheranno sempre nuovi e astuti piani per combatterla, soprattutto se si rendono conto che la vigilanza di coloro che devono difenderla si è raffreddata. Non a caso il Divin Maestro avvertì gli Apostoli: «Vi mando come pecore in mezzo ai lupi» (Mt 10, 16).

Pecore e lupi… teniamo a mente questa immagine per la prossima lezione.

Seconda lezione: pecorelle smarrite o lupi travestiti?

È possibile che il lettore si stia chiedendo: se Ario era così malvagio, come ha fatto a diventare parroco di una delle principali chiese di Alessandria?

Si resta ancor più sconcertati nel considerare che, quando ancora era un laico, era uno dei seguaci delle dottrine di Melezio, il Vescovo scismatico di Licopoli. Dopo la scomunica di quest’ultimo, il Patriarca di Alessandria ritenne, senza pensarci due volte, che il giovane Ario fosse tornato sulla retta via e gli consentì l’ingresso al sacerdozio. Non c’è dubbio che, se non avesse goduto dell’accesso al pulpito, l’influenza dell’“illustre” – come egli stesso si definiva – sarebbe stata molto minore.

Si mette molto in guardia contro il giudizio temerario negativo, ma poco contro il giudizio temerario positivoAhimè!

A questo proposito, anche Costantino diede prova di ingenuità. Non appena ebbe notizia della diffusione dell’arianesimo in tutto l’impero, si impegnò per ottenere un’inconciliabile unità tra eretici e ortodossi. Sosteneva, infatti, che la causa della divisione fosse insignificante, poiché non si trattava di una questione di dogma. Ora, se c’è un punto essenziale nella Fede Cattolica, è proprio la divinità di Cristo!

Solamente dopo le insistenze del Vescovo Osio di Cordova, suo ministro per gli affari ecclesiastici, l’imperatore accettò la necessità di una definizione chiara.

Ma stavamo parlando di pecore e lupi… È certamente commovente e molto vera la parabola del Buon Pastore e della pecorella smarrita. «Che dire, dunque», si chiede il Dott. Plinio Corrêa de Oliveira, «del cattolico che, al contrario, superando innumerevoli ostacoli, scendesse in fondo all’abisso, con pericolo per se stesso, e lì raccogliesse amorevolmente un lupo astuto, accarezzandone dolcemente la finta pelle di agnello; che aprisse trionfante con la sua ‘conquista’ le porte dell’ovile, e lì liberasse il frutto del suo caritatevole apostolato e, dopo aver guardato a lungo e con tenerezza la gioia con cui la nuova ‘pecorella’ ‘fraternizzava’ con le altre, andasse a dormire sugli allori di una così brillante azione?»3 Cerchiamo una risposta in un altro insegnamento del Divin Maestro.

A colui che contribuisce a sviare dalle vie della virtù anche una sola anima, «è meglio per lui», sentenzia la Sapienza Incarnata, «che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare!» (Mc 9, 42).

Questa è la seconda lezione del Concilio di Nicea: quando vediamo, nel gregge di Nostro Signore, lupi travestiti da pecore, «dobbiamo togliere la pelle di pecora e gridare: ‘Questo è un lupo!’»4

Gregge di pecore – Coyhaique, Aysén (Cile); sopra, particolare da “Il lupo e la pecora”,
di Jean-Baptiste Oudry

Il Concilio riunito

Seguendo, dunque, il consiglio di Osio, Costantino inviò lettere ai Vescovi di tutto il mondo, invitandoli a riunirsi a Nicea, in Asia Minore. Tale fu l’impegno profuso affinché i prelati partecipassero, che l’imperatore si dispose a sostenere le spese per il viaggio e il soggiorno nella città. La sessione inaugurale ebbe luogo il 20 maggio 325, e ad essa parteciparono trecentodiciotto Vescovi.

L’Occidente si fece rappresentare da pochi prelati: oltre allo stesso Osio, solo altri tre. Tuttavia, la presenza di Vito e Vincenzo, delegati di Papa San Silvestro, la cui età avanzata non permetteva un viaggio così lungo, assicurava l’universalità del concilio.

Il partito ariano contava circa ventidue Vescovi. Accorsero anche, come avvoltoi intorno alla preda, alcuni filosofi pagani ed eclettici, che consideravano la nuova dottrina come un’opportunità per un nefando avvicinamento tra paganesimo e Cristianesimo.

Dopo una serie di riunioni private in cui Ario fu invitato a esporre la sua dottrina, il 19 giugno si celebrò la prima sessione pubblica e solenne, alla quale partecipò Costantino.

Terza lezione: le parole convincono, l’esempio trascina

La scena deve essere stata commovente. Per difendere l’ortodossia, innumerevoli valorosi confessori della Fede si riunivano per la prima volta.

Tra i più illustri, troviamo San Giacomo di Nisibi e San Spiridione, celebri taumaturghi che si diceva avessero risuscitato dei morti; San Pafnuzio della Tebaide, a cui i persecutori avevano strappato l’occhio destro e reso storpia la gamba sinistra; Paolo di Neocesarea, le cui mani erano completamente bruciate dalle torture subite per Cristo. Uno storico antico affermò giustamente riguardo al rispettabile pubblico: «Era un’assemblea di martiri».5

Oltre a loro, si presentò anche il venerabile Patriarca di Alessandria, Sant’Alessandro, accompagnato da un diacono che la Storia avrebbe consacrato come il principale esponente della lotta all’arianesimo: Sant’Atanasio. Pur non potendo partecipare alle sessioni ufficiali riservate ai Vescovi, il giovane Atanasio, dotato di una personalità focosa e di un’agilità di pensiero – ma soprattutto di uno speciale aiuto della grazia – si muoveva per i corridoi del palazzo imperiale promuovendo riunioni e dibattiti, nei quali si rivelò come il terrore degli eretici.

Queste considerazioni ci portano alla nostra terza lezione: nello scontro tra verità ed errore, l’integrità è l’arma più potente dei buoni.

Se a Nicea gli eterodossi contavano su personalità influenti e colte, la retta dottrina aveva a suo favore l’esempio eloquente dei confessori: le loro piaghe avevano testimoniato la divinità di Cristo molto prima delle loro lingue! Se vogliamo, quindi, essere annoverati tra i paladini della Santa Chiesa nei tempi calamitosi in cui viviamo, dobbiamo cercare innanzitutto la santità di vita.

Quarta lezione: la santa intransigenza piace a Dio

Tra i partecipanti al primo concilio ecumenico emerge una figura tanto famosa quanto simpatica: quella del vescovo San Nicola di Myra. In lui, la ben nota carità verso i poveri coesisteva con un ardente zelo per l’integrità della Fede.

Infatti, il santo Vescovo aveva dato mostra di grande coraggio affrontando la prigionia per il nome di Cristo. Dopo la sua liberazione, giunse a Nicea con il volto annerito dal fuoco dei supplizi.

Si racconta che, preso dall’indignazione per le bestemmie pronunciate da Ario, Nicola gli sferrò uno schiaffo così potente che l’empio cadde a terra! I sostenitori dell’eretico non tardarono a lanciare teatrali proteste di indignazione, che si conclusero con la messa in prigione dello zelante anziano, privato della sua dignità episcopale.

Eppure, proprio quella notte, Gesù Cristo stesso gli fece visita, accompagnato dalla sua Santissima Madre. Il Salvatore gli chiese il motivo del suo arresto, al che il pastore di Myra rispose: «Signore, sono qui perché ho difeso con zelo la tua divinità». Allora, mentre riceveva dalle mani divine il libro dei Vangeli, San Nicola sentì il Signore dirgli: «Esci da questa prigione, perché Io ti restituisco la dignità». Allo stesso tempo, la Madonna gli impose il pallio sulle spalle.

La santa intransigenza ha come premio l’approvazione del Signore. Le idee di Ario si rivelarono così scandalose che fu necessario condannarle

Quando il prelato responsabile della custodia trovò il Santo libero dalle catene e adornato con le insegne, rimase stupito e aprì immediatamente la cella, ascoltando nel frattempo il vecchio prelato raccontare in tutta semplicità quanto accaduto. Il giorno successivo, venuti a conoscenza del miracolo, i suoi fratelli nell’episcopato e l’imperatore riammisero Nicola alle sessioni.6

L’eloquente episodio è di per sé una lezione. Il cattolico fedele sarà sempre oggetto di incomprensioni, persecuzioni e condanne: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. […] Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 18-20). Tuttavia, la santa intransigenza ha come premio l’approvazione di Nostro Signore e della Sua eccelsa Madre. Cosa si può desiderare di più?

Quinta lezione: la chiarezza della voce della Chiesa

Le idee di Ario si rivelarono così scandalose che il concilio giunse presto alla conclusione che dovevano essere condannate.

La difficoltà consisteva nel definire la verità in termini precisi e inequivocabili, poiché il partito eretico riusciva a presentare interpretazioni dubbie alle espressioni già consacrate dalle Scritture. Si ritiene che sia stato il presidente dell’assemblea, Osio di Cordova, a trovare la formulazione appropriata: Cristo è homooúsios – ὀμοούσιοs –, consustanziale al Padre.

“Condanna di Ario al Concilio di Nicea” – Biblioteca del Monastero dell’Escorial, (Spagna)

Rendendosi conto dell’inutilità di sostenere un’opposizione esplicita, alcuni eretici tentarono una via d’uscita codarda e sibillina. Concordando con la dichiarazione conciliare, introdussero un discreto ι – iota – nella parola chiave del simbolo, alterandola in homoiousios, cioè di sostanza simile al Padre. In questo modo, il filone maledetto rimase nascosto in seno alla Chiesa, in attesa di circostanze più favorevoli per agire, le quali non tardarono a presentarsi, in gran parte a causa, lo si dica tra parentesi, della volubilità di Costantino: alla fine della sua vita avrebbe abbandonato il Credo di Nicea, schierandosi con i nemici della Fede. Ancora una volta si presentava l’eterna tattica del male: le formulazioni ambigue.

Da parte loro, la stragrande maggioranza dei padri conciliari acclamò la formulazione del Vescovo spagnolo come l’espressione più affidabile della Fede Cattolica e la introdusse nella stesura di un nuovo simbolo, che esplicitava le verità già contenute nel Credo Apostolico. Si tratta del Simbolo di Nicea, che più tardi sarebbe stato completato da un altro concilio, costituendo quello che oggi preghiamo sotto il titolo di Credo Niceno-Costantinopolitano.

La Chiesa affermava, così, la sua fede in «un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza – homoousios – del Padre».7 E nello stesso testo del simbolo, dichiarava: «Ma coloro che dicono: ‘Ci fu un tempo in cui non era’ e ‘Prima di essere generato non era’, e che è venuto ad essere da ciò che non è, o che dicono che il Figlio di Dio è da un’altra ipostasi o sostanza o creato, o mutevole o alterabile, costoro la Chiesa Cattolica anatemizza».8

Se i figli delle tenebre presentano ambiguità e confusione dottrinale, chiara e netta è la voce della Chiesa nell’insegnamento della Fede e della morale

Considerando la formulazione un modo per assicurare per il momento la sua tanto agognata unità, Costantino la approvò con un provvedimento imperiale: coloro che si fossero rifiutati di sottoscriverla sarebbero stati esiliati. Tale fu la sorte di due Vescovi egizi, oltre che dello stesso Ario e di alcuni suoi sostenitori.

Forse questa è la principale lezione di Nicea per i nostri tempi. Il demonio pesca in acque torbide. L’ambiguità, la vaghezza e la confusione dottrinali sono caratteristiche dei figli delle tenebre. D’altro canto, la voce della Chiesa, Sposa Mistica di Colui che Si è definito la Verità, è chiara e inconfondibile. Infatti, oltre al governo e alla santificazione delle anime, i ministri hanno il compito di insegnare con chiarezza le verità della Fede e della morale.

“Santissima Trinità”, di Nicolò Semitecolo – Museo Diocesano di Padova

Millesettecento anni dopo

Una volta terminate le discussioni, il concilio sottopose le sue conclusioni al Romano Pontefice, San Silvestro, che le approvò interamente. La lotta contro l’arianesimo, però, fu definitivamente vinta a Costantinopoli solo nel 381.

Il Concilio di Nicea, in ogni caso, si distingue come uno degli episodi più importanti e gloriosi della Storia Ecclesiastica. Fu, secondo le parole di Sant’Agostino, «il concilio universale, i cui decreti sono come comandamenti celesti».9 E all’elogio del Dottore di Ippona possiamo aggiungere che non solo i suoi decreti, ma anche la sua stessa storia è fonte di insegnamenti per la Chiesa, anche dopo millesettecento anni! ◊

 

Note


1 CICERONE, Marco Tullio. In L Calpurnium Pisonem oratio, c.IX, n.21.

2 Gli storici esitano sulla sua provenienza: alcuni ritengono che fosse libanese, altri di Alessandria (cfr. BOULENGER, Auguste. Histoire générale de l’Église. Antiquité Chrétienne. Lyon-Paris: Emmanuel Vitte, 1932, vol.III, p.27).

3 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Lobos e ovelhas. In: Legionário. São Paulo. Anno XV. N.473 (5 ottobre 1941), p.2.

4 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. San Paolo, Brasile, 26/1/1985.

5 TEODORETO DI CIRO. Storia Ecclesiastica. L.I, c.7.

6 Cfr. PERO-SANZ, José Miguel. San Nicolás. De Obispo a Santa Claus. Madrid: Arcaduz, 2002, pp.81-82.

7 DH 125.

8 DH 126.

9 SANT’AGOSTINO, apud RIVAUX, Jean-Joseph. Tratado de História Eclesiástica. Brasília: Pinus, 2011, vol. I, p.258.

 

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