È arrivato il momento in qualche modo atteso da tutta l’umanità: che Dio si prendesse cura di noi, che il mondo diventasse sano e che Egli rinnovasse tutto.
Per Maria si compirono i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (cfr. Lc 2, 6-7). Queste frasi, sempre di nuovo ci toccano il cuore. È arrivato il momento che l’Angelo aveva preannunziato a Nazaret: “Darai alla luce un figlio e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo” (cfr Lc 1, 31). È arrivato il momento che Israele aveva atteso da tanti secoli, durante tante ore buie – il momento in qualche modo atteso da tutta l’umanità in figure ancora confuse: che Dio si prendesse cura di noi, che uscisse dal suo nascondimento, che il mondo diventasse sano e che Egli rinnovasse tutto.
Possiamo immaginare con quanta preparazione interiore, con quanto amore Maria sia andata incontro a quell’ora. Il breve accenno: “Lo avvolse in fasce” ci lascia intravedere qualcosa della santa gioia e dello zelo silenzioso di quella preparazione. Erano pronte le fasce, affinché il bimbo potesse essere accolto bene. Ma nell’albergo non c’è posto. In qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto per Lui. […]
“A quanti Lo hanno accolto…”
Giovanni, nel suo Vangelo, puntando all’essenziale ha approfondito la breve notizia di san Luca sulla situazione in Betlemme: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (1, 11). Ciò riguarda innanzitutto Betlemme: il Figlio di Davide viene nella sua città, ma deve nascere in una stalla, perché nell’albergo non c’è posto per Lui. Riguarda poi Israele: l’inviato viene dai suoi, ma non lo si vuole. Riguarda in realtà l’intera umanità: Colui per il quale è stato fatto il mondo, il primordiale Verbo creatore entra nel mondo, ma non viene ascoltato, non viene accolto. […]
Grazie a Dio, la notizia negativa non è l’unica, né l’ultima che troviamo nel Vangelo. Come in Luca incontriamo l’amore della madre Maria e la fedeltà di san Giuseppe, la vigilanza dei pastori e la loro grande gioia, come in Matteo incontriamo la visita dei sapienti Magi, venuti da lontano, così anche Giovanni ci dice: “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1, 12). Esistono quelli che lo accolgono e così, a cominciare dalla stalla, dall’esterno, cresce silenziosamente la nuova casa, la nuova città, il nuovo mondo. […]
Il Suo nuovo trono è la Croce
In alcune rappresentazioni natalizie del tardo Medioevo e dell’inizio del tempo moderno la stalla appare come un palazzo un po’ fatiscente. Se ne può ancora riconoscere la grandezza di una volta, ma ora è andato in rovina, le mura sono diroccate – è diventato, appunto, una stalla. Pur non avendo nessuna base storica, questa interpretazione, nel suo modo metaforico, esprime tuttavia qualcosa della verità che si nasconde nel mistero del Natale.
Il trono di Davide, al quale era promessa una durata eterna, è vuoto. Altri dominano sulla Terra santa. […] Nella stalla di Betlemme, proprio lì dove era stato il punto di partenza, ricomincia la regalità davidica in modo nuovo – in quel bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale questo Davide attirerà il mondo a sé è la Croce. […] Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. […] Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona – è questa la vera regalità.
Festa della creazione ricostruita
La stalla diviene palazzo – proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola-chiave cantano gli Angeli nell’ora della sua nascita: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” – uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo. […]
Cristo non ricostruisce un qualsiasi palazzo. Egli è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la sua bellezza e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo inizio e fa giubilare gli Angeli. La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio, che ottiene nuovamente la sua vera luce e, nella sintonia tra volere umano e volere divino, nell’unificazione dell’alto col basso, recupera la sua bellezza, la sua dignità. Così Natale è una festa della creazione ricostituita. […]
Il Cielo è venuto in terra
Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto.
Alla fine della nostra meditazione natalizia vorrei citare una parola straordinaria di sant’Agostino. Interpretando l’invocazione della Preghiera del Signore: “Padre nostro che sei nei cieli”, egli domanda: che cosa è questo – il cielo? E dove è il cielo? Segue una risposta sorprendente: “…che sei nei cieli – ciò significa: nei santi e nei giusti. I cieli sono, sì, i corpi più alti dell’universo, ma tuttavia corpi, che non possono essere se non in un luogo. Se, però, si crede che il luogo di Dio sia nei cieli come nelle parti più alte del mondo, allora gli uccelli sarebbero più fortunati di noi, perché vivrebbero più vicini a Dio. Ma non è scritto: ‘Il Signore è vicino a quanti abitano sulle alture o sulle montagne’, ma invece: ‘Il Signore è vicino ai contriti di cuore’ (Sal 34[33], 19), espressione che si riferisce all’umiltà. Come il peccatore viene chiamato ‘terra’, così al contrario il giusto può essere chiamato ‘cielo’” (Serm. in monte II 5, 17).
Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra. Con l’umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l’umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo. Amen. ◊
Estratto da: BENEDETTO XVI.
Omelia nella Solennità del Natale del Signore, 25/12/2007
Nella foto evidenziata: L’Adorazione dei Re Magi, di Gentile da Fabriano – Galleria degli Uffizi, Firenze