Il 30 luglio 1925, un distaccamento di marinai francesi, agli ordini del comandante Benoist, di religione protestante, sbarca a Port Leon, nella remota Papua Nuova Guinea, in Oceania.
Posizionandosi di fronte a una tomba decorata da una semplice croce di legno e da alcuni gigli rossi, i soldati presentano le armi e sparano una serie di colpi a salve per omaggiare un sacerdote missionario recentemente scomparso. Profondamente commosso, il comandante pronuncia queste solenni parole: «In nome della Francia, dell’esercito, dei miei ufficiali e marinai, la ammiro e la saluto. La nostra nave Aldebarán, di ritorno in patria, ha ricevuto la missione di renderle omaggio sulla sua tomba».1
Subito dopo i cannoni aggiungono il loro fragoroso tributo, innalzando al cielo «giaculatorie di polvere da sparo». Ma… chi è questo personaggio capace di commuovere solidi marinai e di suscitare ammirazione in un ufficiale?
Studi interrotti dalla guerra
Jean-Pierre Marie Léon Bourjade nacque il 25 maggio 1889 a Montauban, in Francia, nel candido ambiente di una famiglia numerosa. L’innocenza della sua infanzia, le gesta militari dei suoi antenati e la fede dei suoi genitori risvegliarono in questo bambino dal temperamento contemplativo e, allo stesso tempo, attivo e gioioso, desideri di sante epopee. Aspirava al martirio e, a tal fine, si prefiggeva di essere missionario in terre selvagge.
Quando divenne maggiorenne, entrò nella Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore, iniziando gli studi per il sacerdozio. Fu allora che gli capitò tra le mani un libro che avrebbe influenzato in modo speciale la sua esistenza: Storia di un’anima. Questa lettura diede inizio a un’intensa relazione soprannaturale con Suor Teresa di Gesù Bambino, che all’epoca non era ancora stata canonizzata.
Nel luglio del 1914, però, scoppiò la Grande Guerra e, come molti altri religiosi e sacerdoti, Jean-Pierre lasciò i suoi libri e si arruolò nell’esercito, credendo che questo fosse non solo un dovere, ma anche la volontà di Dio.
Indossata l’uniforme, si presentò al 23° Reggimento di Artiglieria, a Tolosa. Poco dopo, fu trasferito al 75° Reggimento, dove diede mostra di grande tenacia ed eccellente spirito militare. Lì sperimentò i tormenti e l’orrore delle trincee, senza, tuttavia, smettere mai di considerare i fatti con spirito di fede. Era persino capace di suonare il suo flauto in mezzo al fragore delle esplosioni, per rinfrancare lo spirito con belle melodie.
Molte volte si salvò inspiegabilmente da situazioni estremamente pericolose, rispondendo così a quelli che si meravigliavano della sua audacia: «Con la mia reliquia di Suor Teresa di Gesù Bambino, non ho paura né delle bombe né dei proiettili». Infatti, aveva ricevuto dal Carmelo di Lisieux una ciocca di capelli della futura santa e, nel caos della battaglia, lottando soprattutto contro l’amor proprio e il rispetto umano, si aggrappava al suo prezioso tesoro e non mancava mai di rivolgersi alla sua protettrice, come si evince dagli scritti del suo “quaderno nero”:2 «O suor Teresa, così energica e coraggiosa, vieni in mio aiuto, intercedi per me, aiutami».
Tra il cielo, la terra… e il fuoco
Dopo essersi distinto per il suo coraggio tra i soldati che manovravano i mortai, noti come crapouillots, il 9 aprile 1917 fu chiamato dai suoi superiori a formarsi nella scuola di aviazione e arruolarsi nella Forza Aerea.
Nel luglio dello stesso anno, in segno di gratitudine per il suo diploma e per l’imminente ingresso nella “Squadriglia dei coccodrilli”, chiese l’autorizzazione di volare fino a Lourdes, eseguendo magnifiche acrobazie aeree sulla città in omaggio alla Madonna. Molti pellegrini assistettero all’evento, incantati…
In poco tempo, questo giovane modesto e contemplativo cominciò ad attirare l’attenzione di superiori e compagni. Padroneggiava con tale maestria l’arte dell’aviazione che sembrava essere stato abituato a pilotare fin da bambino. E la sua audacia arrivava a tal punto che, al momento dell’atterraggio, si lanciava in picchiata per centinaia di metri, per poi riprendere il volo normale solo all’ultimo momento e atterrare indenne sulla pista. Per molto tempo, questa forma di atterraggio fu conosciuta nell’aviazione francese come “atterraggio alla Bourjade”.
Quello che, all’inizio, molti etichettavano come temerario, altri seppero comprendere in una prospettiva diversa: «‘Senza Santa Teresa’, scrisse uno dei suoi compagni, ‘non si comprende Bourjade’. Lungi dall’essere un presuntuoso che si lancia all’avventura, egli si pone sotto la protezione della piccola Santa e, confidando nella Provvidenza, non teme nulla, non dubita di nulla. Allora, con che audacia, con che coraggio, con che imperturbabile fermezza assale, si lancia e avanza di vittoria in vittoria. Ma rimarrà sempre l’eroe modesto, umile, nascosto. Ritiene che le sue vittorie non gli appartengano… Come un bambino, si lascia condurre per mano da Suor Teresa».3
Affrontando persecuzioni da parte di persone invidiose e persino di superiori anticattolici, Léon mantenne con orgoglio la sua fedeltà a Dio e alla sua protettrice, facendo installare sul fianco del suo aereo un’incisione della Santa di Lisieux e, dietro il sedile, un gagliardetto del Sacro Cuore di Gesù.
Nei pochi mesi che la guerra ancora durò, i cieli contemplarono innumerevoli volte quest’aquila squarciare le sue vaste distese a caccia di prede, trascinando con l’esempio coloro che erano sotto i suoi ordini: «Si dice nella squadriglia che Léon trasforma tutti gli uomini in eroi», scriverà un cugino a suo riguardo.
Caccia ai “draghi”
Amante del pericolo, Bourjade amava addentrarsi in territorio nemico alla ricerca di “draghi” ben difesi e molto più grandi della sua aeronave. I “draghi”- drachen, in tedesco – erano palloni da osservazione spesso utilizzati in combattimento, che potevano essere muniti fino a venti mitragliatrici. Avventurarsi ad abbattere uno di essi equivaleva a esporsi al fuoco serrato. Ma questo non costituiva un ostacolo per il giovane aviatore, che sapeva di rendere un eccellente servizio alla sua patria e di infliggere un colpo mortale alla logistica del nemico. Le prede divennero presto numerose… Léon fu in seguito considerato il più grande cacciatore francese dei suddetti palloni.
Gli atterraggi caratteristici e rumorosi dell’“asso sacerdote” – il suo soprannome – provocavano assembramenti e tutti si accalcavano per dargli il benvenuto. Egli, però, senza appropriarsi di tali riconoscimenti, li attribuiva a Santa Teresa di Gesù Bambino: «Prima di tutto, a te, buona patrona del mio aereo, tutto l’onore e tutta la gloria, per le vittorie che, con il tuo aiuto, ho avuto la fortuna di conquistare recentemente in aria».
Si potrebbero qui raccontare tante altre imprese militari di questo valoroso cavaliere del cielo, che non conobbe solo trionfi, ma anche l’estenuazione derivante dalla lotta continua, le ferite corporali, gli stratagemmi dell’invidia e della persecuzione, il dolore di vedere valorosi guerrieri cadere al suo fianco. Ma sarebbe troppo lungo per un solo articolo.
Abbandonando le glorie militari per volare in cieli più elevati
Come tutto in questa vita, la guerra a un certo punto terminò. Bourjade, che sarà ricordato anche come “il monaco soldato”, aveva ottenuto ventisette vittorie accertate e molte altre non riconosciute. Alcuni affermano che furono più di quaranta.
Sul petto portò la Croce di Guerra con tredici palme e una stella rossa. Oltre a questa, collezionò anche altre medaglie e onorificenze e, alla fine, fu nominato Cavaliere della Legione d’Onore, diventando il più giovane detentore della più alta onorificenza francese.
Gli costò sacrificare il piacere di solcare i cieli. Nel frattempo, il Signore lo chiamava a più alte aspirazioni. Egli scrive: «O mio Gesù, se ho detto addio al cielo terreno nel quale tante volte ho viaggiato e combattuto, in quale altro Cielo, molto più puro e molto più vasto, Tu mi esorti a spiccare il volo!…» Segni di acqua sulla carta dimostrano che questo scritto intimo fu accompagnato da lacrime. Bourjade continua: «Oh, volerò senza paura; il mio Pilota [Gesù] è invulnerabile, con Lui il nemico è sconfitto in anticipo».
Appena poté, il nostro vittorioso soldato si recò a Lisieux, dove lasciò tutte le sue onorificenze come ex-voto nelle mani di Madre Agnese di Gesù, sorella maggiore di Santa Teresina. Tuttavia, non ritenne sufficiente questo atto simbolico. Relegando nell’oblio il suo passato carico di glorie, ben presto fissò il suo sguardo in quell’ideale che brillava nella sua anima fin dall’infanzia. Lasciandosi tutto alle spalle – famiglia, patria, prestigio – alla ricerca del martirio, si diresse verso le selve impenetrabili di un’isola lontana che non conosceva i suoi trionfi, e si seppellì nelle sabbie di una terra inospitale…
«È necessario soffrire secondo la volontà di Gesù»
Léon sapeva bene che la più tenace delle battaglie si combatte nell’intimo di ogni uomo. Scrisse sul suo quaderno: «Per essere santi, bisogna combattere, lottare, sterminare il nemico. Il nemico sono io, che mi oppongo alla volontà di Gesù».
E per conformare i suoi desideri a quelli divini, contava sempre sull’aiuto della sua interceditrice celeste: «O mia piccola suor Teresa […], voglio che la mia anima sia attratta dalla tua; questo amore che culla il mio cuore non deve essere sterile; ho bisogno di esercitarmi efficacemente con te, sulla tua “piccola via” di amore e di abbandono. […] Soprattutto, offrirmi come vittima d’amore. […] Ecco il punto di partenza: è necessario soffrire, e soffrire non secondo la mia volontà, ma secondo la volontà di Gesù».
Ordinato sacerdote il 26 luglio 1921, Léon Bourjade partì per la Papua Nuova Guinea, dove arrivò solo il 20 novembre dello stesso anno.
Inizio del calvario
Per Léon, questa missione fu l’occasione di grandi avventure, ardui lavori e diverse afflizioni. Possiamo immaginarlo leggendo i gemiti del suo cuore esposti nel suo quaderno interiore: «Mi rendo conto che su questa terra abbiamo una sola cosa da fare: offrire incessantemente a Gesù i fiori dei nostri piccoli sacrifici».
Una natura vergine e tropicale lo incantava con le sue eccellenti bellezze, ma gli procurava anche terribili sofferenze corporali, con caldo asfissiante, nuvole di zanzare che lo divoravano giorno e notte, malattie, febbri continue e altri disagi, croci che lui aveva desiderato e che ricevette in abbondanza.
Nello sperimentare l’ingratitudine degli aborigeni nei confronti delle intense attività apostoliche realizzate da lui e dai suoi compagni, ebbe la tentazione di abbandonare la vita attiva per dedicarsi soltanto alla contemplazione, scelta apparentemente più perfetta e alla quale il suo temperamento riflessivo lo aveva sempre invitato.
Durante un ritiro, però, si rese conto, con l’aiuto di Maria Santissima, che si trattava di una trappola del demonio. Conformandosi allora alla volontà di Dio, scrisse con determinazione: «Ho voluto… essere il tuo missionario, e tu mi hai dato tutto questo. Concedimi di essere il missionario che tu vuoi che io sia…»
La notte oscura era scesa nella sua anima… «Lavoro nero, sul nero, nella nerezza», è il motto espressivo che lo definirà e lo condurrà al sacrificio totale, alla completa donazione di sé. «Lavorare solo per Dio, senza il conforto del raccolto, ecco cosa sarà il suo apostolato. […] Le sofferenze fisiche sono nulla in confronto all’angoscia morale. Egli è consapevole della sua inutilità, della sterilità dei suoi sforzi: ‘Mi sento così totalmente incapace e impotente! Mio Dio, abbi pietà di me!’»4
L’offerta
In una lettera a Padre Roulland, missionario in Cina, Santa Teresina lo mette in guardia sulla condotta del Re dei Cieli nei confronti dei suoi amici: «Da quando Egli ha innalzato il vessillo della Croce, tutti alla sua ombra devono combattere e ottenere la vittoria».5 E manifesta la sua convinzione che «tutti i missionari sono martiri per desiderio e per volontà».6
Le promesse fatte dalla grazia al nostro missionario e il suo desiderio infantile di martirio furono pienamente realizzati quando abbracciò la stessa via tracciata dalla sua amata maestra, vedendo in ogni piccolo sacrificio una grandiosa occasione di dare gloria a Dio e consumando la sua vita nella consegna volontaria di se stesso come vittima espiatoria.
Il 28 marzo 1910, Padre Bourjade chiese alla sua interceditrice di presentare la sua offerta al Sacro Cuore di Gesù: «Per vivere in un perfetto atto d’amore, mi offro come vittima di olocausto al tuo amore misericordioso, […] e possa così diventare martire del tuo amore, o mio Dio». E concluse la sua consegna con queste parole: «A Gesù, con Gesù, per Gesù, in Gesù! Chi dice amore, dice sacrificio. O mio Gesù, fammi comprendere e amare la croce». Queste furono le ultime parole scritte sul suo quaderno.
Si consuma l’olocausto
La prova della sua fedeltà a questi grandiosi propositi fu forse la gioia che sgorgava dal suo intimo e contagiava gli altri. Vediamo la testimonianza di Padre Norin, che lo conobbe nei suoi ultimi giorni: «Egli è pacificato: un’anima del Purgatorio che vive ancora in questo mondo, per la grazia!… Estraneo, celato, distante, ritirato; lui c’era e non c’era, possedeva e non possedeva… Il cristiano secondo San Paolo!… […] L’anima viveva altrove, nei luoghi di purificazione. Eppure, nonostante quella fisionomia placida, quel volto pallido, con quanta gioia viveva con noi! Com’era amabile! Abbiamo osservato il suo riso: rideva proprio di gusto, e in questo veramente, ma solo in questo, sembrava un bambino».
Così concluse la sua carriera di santità questo fedele seguace dell’infanzia spirituale. Conquistò la vera pace, una pace illuminata da sorrisi. Dopo poco meno di tre anni di missione, stremato dagli innumerevoli compiti e dalle malattie, fu colpito da un’ematuria che lo portò alla morte all’età di 35 anni, nell’Isola di Yule, il 22 ottobre 1924, mese della festa della sua amata patrona.
In procinto di lasciare questa vita, recuperando la sua giovane anima di poeta, pronunciò a fatica tra le braccia del suo Vescovo queste ultime parole, che evocano la gioia di chi ha versato fino all’ultima goccia di sangue ed è pronto ad entrare nella vera vita: «La rosa si sfoglia»… Parole che ricordano quelle pronunciate qualche anno prima dalla nostra venerata carmelitana nella sua ultima ora: «Dopo la mia morte, farò cadere una pioggia di rose».
Che questo eroe della nazione francese e della Santa Chiesa accetti il nostro entusiastico omaggio in questo centenario della sua morte, e ci ottenga da Maria Santissima l’amore ardente ed esclusivo a Dio di cui ha dato un così magnifico esempio. ◊
Note
1 I dati biografici e storici trascritti in questo articolo sono tratti dall’opera: BENOIST DE SAINT ANGE, Henriette. Léon Bourjade. Officier aviateur – Missionnaire en Nouvelle-Guinée. Sainte-Croix-du-Mont: Saint-Remi, 2009.
2 Sorta di diario in cui Léon annotava i suoi pensieri e le sue conversazioni con Santa Teresa di Gesù Bambino.
3 BENOIST DE SAINT ANGE, op. cit., p.139.
4 Idem, p.309.
5 SANTA TERESA DE LISIEUX. Lettera a Don Adolphe Roulland, 9/5/1897. In: Obras Completas. San José: Centro de Espiritualidad San Juan de la Cruz, 1996, vol.II, p.332.
6 Idem, p.334.