Da quanto tempo la mobilitazione di tutti i mezzi di scristianizzazione, dai più potenti ai più sottili, è stata messa in atto in questa Terra della Santa Croce, per strapparla dal grembo della Chiesa. Ma, mentre quasi tutto ciò che nel senso umano della parola può essere chiamato gloria, potere, ricchezze, è stato mobilitato per commettere questo strano e oscuro crimine di uccidere a fuoco lento l’anima di un intero Paese, la Chiesa era vigile; e, dopo quasi quarant’anni di un agnosticismo disdegnoso e di una lotta insana, una vera e propria primavera soffia dal nord al sud del Paese, e il rinascimento religioso provoca la strutturazione di un apostolato così vigoroso e così coeso, così assetato di ortodossia di dottrina e purezza di vita che, oggi, già possiamo affermarlo, il movimento dei laici cattolici, coesi e disciplinati, militanti e valorosi, costituisce di per sé una vittoria dalle immense conseguenze e un pegno del fatto che la Provvidenza ci sta armando per trionfi ancora più grandi. […]
Oggi la forza del movimento cattolico in Brasile è tale che nessun governo potrebbe ignorarla aggrappandosi alle formule decrepite di un laicismo formalista. […]
Alleanza tra il potere temporale e quello spirituale
Se allunghiamo di più il nostro sguardo, vedremo le sagome chiare e un po’ indecise dei grattacieli che la Pauliceia ha costruito. Splendida cornice di questo quadro, essa ci parla delle possibilità della nostra grandezza temporale e ci dà la garanzia che, per quanto il Brasile cresca in senso spirituale, avrà sufficienti ricchezze per crescere proporzionalmente in senso materiale. […]
Il rinascimento religioso del Brasile è una vittoria dalle conseguenze immense e un pegno del fatto che Dio ci riserva trionfi ancora più grandi
La magnifica scena che avete davanti agli occhi è tutt’altro che inedita nei fasti della Cristianità. Non trae il suo valore dal fatto di essere una novità sensazionale, ma, al contrario, dalla straordinaria continuità con cui si è ripetuta.
Sulle rive del Giordano come su quelle del Nilo, all’ombra delle colonne classiche di Atene come negli splendori della grande metropoli di Cartagine, nel fastigio del potere del Medioevo come nelle lotte tempestose contro il proto-totalitarismo josefita o pombalino, ogni volta che si sono riunite assemblee come questa, la Chiesa ripete al potere temporale, con una costanza e un’uniformità impressionanti, lo stesso messaggio di pace e di alleanza in cui a sé riserva solo il regno dello spirituale, determinata a rispettare la piena sovranità del potere temporale in tutti gli altri ambiti, chiedendogli solo di adeguare le sue attività ai precetti evangelici, cioè ai principi che costituiscono il fondamento della Civiltà Cristiana cattolica.
Questo messaggio è un’eco fedele del precetto divino: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (cfr. Mt 22, 21). […]
È necessario che l’interprete dell’opinione cattolica affermi che la disciplina dei cattolici nei confronti del potere temporale affonda le sue radici in profondità e che, astraendo da considerazioni di ordine personale, la loro obbedienza alle autorità pubbliche si basa sulla convinzione che essi obbediscono così alla volontà di Dio stesso, conosciuta alla luce della ragione naturale e degli splendori della Rivelazione cristiana.
Cattolici, non siamo e non possiamo essere sostenitori della dottrina della sovranità popolare, e proprio per questo rifiutiamo di vedere l’augusta autorità del potere temporale fondata sulla sabbia mobile della popolarità. Essa è ancorata alla salda roccia delle nostre coscienze cristiane, e fa della nostra sottomissione e dei nostri propositi di ardente collaborazione con voi sui sentieri della Civiltà Cristiana e nella realizzazione della grandezza della Terra della Santa Croce, un fondamento incrollabile, che le tempeste delle avversità – contro le quali nessuno ha garanzie – non potranno mai distruggere. […]
Sarebbe più facile strappare dal nostro cielo la Croce del Sud…
Signori, oggi è il 7 settembre – la data è significativa – e sono assolutamente certo che un immenso clamore si alzerà in questo giorno glorioso, travalicando i limiti dello Stato e del Paese, per notificare al mondo intero che, come un solo uomo, il Brasile si erge […] contro l’imperialismo nazista pagano che sta tramando la sua caduta e sembra essersi assunto, proprio come il suo sosia rosso di Mosca, il compito diabolico di distruggere la Chiesa in tutto il mondo.
Contro i nemici della patria, per la quale fremiamo, e di Cristo, che adoriamo, i cattolici brasiliani sapranno sempre mostrare una resistenza invincibile. Sciocchi e temerari! Vi sarebbe più facile strappare la Croce del Sud dal nostro cielo che la sovranità e la fede a un popolo fedele a Cristo, che porrà sempre al centro il suo più forte anelito, farà sempre consistere il suo più alto titolo di orgoglio in un’adesione fedelmente obbediente ed entusiasticamente vigorosa alla Cattedra di San Pietro.
La grande chiamata della nazione brasiliana
Ma questo saluto eccessivamente lungo non sarebbe completo se non aggiungessimo un’ultima parola. È proprio del temperamento che Dio ha dato al brasiliano che la soavità di un ambiente familiare permei tutti gli atti della nostra vita e profumi, senza offuscarli, anche quelli più solenni. Nonostante gli splendori di questa serata, siamo dunque in famiglia e l’atmosfera è propizia a che prorompano in fiducia le speranze che coviamo in noi.
Sarebbe più facile strappare la Croce del Sud dal cielo del Brasile che togliere la sovranità e la fede a un popolo fedele a Cristo!
Prodotto della cultura latina, valorizzata e come transustanziata dall’influenza soprannaturale della Chiesa, l’anima brasiliana è il risultato del trapianto, in nuovi climi e nuovi contesti, di questi valori eterni e definitivi che, proprio perché definitivi ed eterni, possono essere adattati a tutte le circostanze contingenti senza perdere l’identità sostanziale con se stessi. La perfetta formazione dell’anima brasiliana comporta quindi due compiti essenziali: uno che mantenga sempre intatti i fondamenti della nostra Civiltà Cristiana e occidentale, e l’altro che adatti questi fondamenti alle condizioni peculiari di questo emisfero.
I nostri antenati hanno portato a termine la prima parte di questo enorme compito con evidente successo e indomito valore. Dopo quattrocento anni di lotta, di lavoro, ecco che fiorisce questo Brasile che è per la civiltà occidentale un motivo di speranza, e per la Santa Chiesa di Dio, una causa di giubilo. Ma questo sforzo di conservazione, che è ancora e continuerà ad essere sempre necessario, è stato finora così osservante che ha relegato in secondo piano il problema dell’adattamento.
Eravamo schiacciati dalla sproporzione tra le nostre risorse materiali, che dal cuore della terra, sfidavano la nostra capacità di produzione, e l’insufficienza delle nostre braccia, del nostro denaro e delle nostre energie per sfruttarle. La terra brasiliana si presentava piena di possibilità favolosamente vaste, di ricchezze inesauribilmente feconde, che potevano essere intuite e percepite ancor prima di qualsiasi dimostrazione tecnica e scientifica.
E lo stesso si potrebbe dire della nostra storia, che finora è stata interamente costituita da eventi politici di portata puramente continentale, e quasi tutti avvenuti in un tempo in cui l’America non era il centro di gravità del mondo.
Ben studiata e spogliata delle versioni ufficiali di un liberalismo anacronistico, possiamo vedere chiaramente, nella fedeltà di Amador Bueno come nello spirito di crociata degli eroi della riconquista pernambucana, nella fibra di ferro di questo grande martello della peggiore delle eresie che fu Mons. Vital Maria Gonçalves de Oliveira, vescovo di Olinda, come nel cuore materno e gentile della Principessa Isabel, le espressioni rutilanti di un grande popolo che, quando era ancora ai primi passi della sua storia, mostrava già i segni di essere un popolo che Dio aveva creato per grandi imprese.
«Gesta Dei per brasiliensis!»
Questa predestinazione si afferma nella configurazione stessa dei nostri panorami. Forse non sarebbe troppo azzardato affermare che Dio ha collocato i popoli da lui prescelti in panorami adeguati alla realizzazione dei grandi destini a cui li chiama. E non c’è nessuno che, viaggiando per il nostro Brasile, non sperimenti la confusa impressione che Dio abbia destinato a teatro di grandi imprese questo Paese, le cui tragiche montagne e misteriose scogliere sembrano invitare l’uomo alle supreme imprese dell’eroismo cristiano; le cui pianure verdeggianti sembrano voler ispirare la nascita di nuove scuole artistiche e letterarie, di nuove forme e tipi di bellezza; e ai margini delle cui coste i mari sembrano cantare la gloria futura di uno dei più grandi popoli della terra.
Ci fu un tempo in cui la Storia del mondo si è potuta intitolare “Gesta Dei per francos”; verrà il giorno in cui si scriverà “Gesta Dei per brasiliensis”
Quando il poeta cantava che «la nostra terra ha palme dove canta il tordo, e che gli uccelli che qui cinguettano non cinguettano come là», forse si rendeva conto, confusamente, che la Provvidenza aveva depositato nella natura brasiliana la promessa di un avvenire pari a quello dei più grandi popoli della terra.
E oggi, che il Brasile emerge dalla sua adolescenza verso la maturità, e nelle mani della vecchia Europa vacilla lo scettro della cultura cristiana che il totalitarismo vorrebbe distruggere, agli occhi di tutti risulta palese che i Paesi cattolici dell’America sono in realtà il grande granaio della Chiesa e della civiltà, il terreno fecondo dove potranno rifiorire, con maggiore brillantezza che mai, le piante che la barbarie devasta nel Vecchio Mondo. L’America intera è una costellazione di popoli fratelli. In questa costellazione, è inutile dire che le dimensioni materiali del Brasile non sono che una raffigurazione della grandezza del suo ruolo provvidenziale.
Ci fu un tempo in cui la Storia del mondo si è potuta intitolare Gesta Dei per francos. Verrà il giorno in cui si scriverà Gesta Dei per brasiliensis.
Grande per la fede, ricco per la generosità
La missione provvidenziale del Brasile consiste nel crescere all’interno delle sue stesse frontiere, nel dispiegare qui gli splendori di una civiltà genuinamente cattolica, apostolica e romana, e nell’illuminare amorevolmente il mondo intero con la fiaccola di questa grande luce, che sarà veramente il lumen Christi che la Chiesa irradia.
La nostra indole mite e ospitale, la pluralità delle razze che vivono qui in armonia fraterna, il concorso provvidenziale degli immigrati che si sono inseriti così intimamente nella vita nazionale, e soprattutto le norme del Santo Vangelo, non faranno mai dei nostri aneliti di grandezza un pretesto per giacobinismi gretti, per razzismi stolti o imperialismi criminali. Se mai il Brasile diventerà grande, sarà per il bene del mondo intero: «Siano tra voi quelli che governano come quelli che obbediscono», dice il Redentore (cfr. Mt 20, 25-27).
Il Brasile non sarà grande per la conquista, ma per la fede; non sarà ricco per il denaro, ma per la generosità. Veramente, se sapremo essere fedeli alla Roma dei Papi, la nostra città potrà essere una nuova Gerusalemme, di bellezza perfetta, onore, gloria e delizia per il mondo intero. […]
«Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Gestite, signori del potere temporale, le ricchezze della nostra terra; strutturate secondo le massime della Chiesa, che sono l’essenza della Civiltà Cristiana tutte le nostre istituzioni civili. Aiutate, per quanto vi è possibile, la Santa Chiesa di Dio, e che plasmi l’anima nazionale nella vita della grazia, per la gloria del Cielo. Fate del Brasile una patria prospera, organizzata e fiorente, mentre la Chiesa farà del popolo brasiliano uno dei più grandi popoli della Storia. Nell’armonia di questa stessa opera c’è la predestinazione di un’intima cooperazione tra due poteri. Dio non è mai così ben servito come quando Cesare si comporta come suo figlio. E, signori, a nome dei cattolici del Brasile, io ve lo assicuro: Cesare non è mai così grande come quando è figlio di Dio.
In questa collaborazione risiede il segreto del nostro progresso e la vostra parte in essa è veramente magnifica.
«Beato questo popolo…»
Lavorate, signori, lavorate in questa direzione. Avrete la collaborazione entusiastica di tutte le nostre risorse, di tutti i nostri cuori, di tutto il nostro fervore. E quando un giorno Dio vi chiamerà alla vita eterna, avrete la suprema fortuna di contemplare un Brasile immensamente grande e profondamente cristiano, sul quale il Cristo del Corcovado, con le sue braccia aperte, potrà dire qual è il supremo titolo di gloria di un popolo cristiano.
Realizzate il programma di governo che consiste nel cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia, che tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta. In un Brasile immensamente ricco, vedrete fiorire un popolo immensamente ricco, vedrete fiorire un popolo immensamente grande, perché di lui si potrà dire:
«Beato questo popolo sobrio e distaccato, pur nello splendore della sua ricchezza, perché di lui è il regno dei Cieli.
Beato questo popolo che ama la Chiesa al punto da lottare e soffrire per essa, perché suo è il Regno dei Cieli!
«Beato questo popolo generoso e accogliente, che ama la pace più delle ricchezze, perché possiede la terra.
«Beato questo popolo dal cuore sensibile all’amore e ai dolori dell’Uomo-Dio, ai dolori e all’amore del suo prossimo, perché proprio in questo troverà la sua consolazione.
«Beato questo popolo virile e forte, intrepido e coraggioso, affamato e assetato delle virtù eroiche e totali, perché sarà saziato nel suo appetito di santità e di grandezza soprannaturale.
«Beato questo popolo misericordioso, perché otterrà misericordia.
«Beato questo popolo casto e puro di cuore, beata la purezza inviolabile delle sue famiglie cristiane, perché vedrà Dio.
«Beato questo popolo pacifico, dall’idealismo pulito da giacobinismi e razzismi, perché sarà chiamato figlio di Dio.
«Beato questo popolo che ama la Chiesa a tal punto da combattere e soffrire per essa, perché di lui è il Regno dei Cieli». ◊
Estratto da: Saudação às autoridades civis e militares.
In: Legionário. São Paulo. Anno XVI. N. 525
(7 settembre 1942); p.2