Perché e come confessarsi?

La quantità o la gravità dei peccati, la vergogna o la pigrizia, nulla può servire da pretesto per utilizzare male o per allontanarci da questo Sacramento di guarigione e di salvezza.

Giuda Iscariota, vedendo che Gesù era stato condannato a morte, si recò al Tempio per disfarsi del denaro sporco con cui aveva venduto il suo Maestro. Giunto lì, avvolto dalle tenebre e preso dalla disperazione, disse ai capi dei sacerdoti: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente!». E quei perfidi ministri si limitarono a rispondere: «Che ci riguarda? Veditela tu» (Mt 27, 3-4). Giuda allora gettò a terra le monete, uscì dal luogo santo e si impiccò.

Oh, Giuda! Non avevi come Maestro il Redentore che toglie i peccati del mondo? Perché non sei corso verso di Lui, ma verso la perdizione? Quanto ha addolorato il Cuore di Gesù vedere colui che aveva trascorso tre anni alla scuola del suo amore diffidare del suo perdono e precipitare disperatamente tra i dannati!…

Ebbene, questo stesso Gesù, disprezzato dal traditore, attende ciascuno di noi nel confessionale per concederci torrenti del suo perdono. Anche noi Gli diremo un «no»?

Peccatori per natura, penitenti per grazia

Perdono. Parola bella e commovente, divina potestà e reale necessità per gli uomini. Chi non ha bisogno di perdono? Eccezion fatta assolutamente per Nostro Signore Gesù Cristo e, moralmente, per Maria Santissima, ogni uomo è peccabile per natura finché è pellegrino in questa valle di lacrime perché, sebbene il Battesimo cancelli dall’anima la macchia originale, non la libera dalle debolezze e dalla concupiscenza che la inclinano al peccato.1 Questo, una volta commesso, allontana l’anima da Dio e rende imperativa una successiva conversione a Lui, tanto più dolorosa quanto maggiore è stato l’allontanamento. E questo dolore caratterizza una virtù poco considerata, ma molto necessaria per noi, creature defettibili: la penitenza.

Generalmente si ritiene che la parola penitenza derivi dal latino pœnam tenere, che vuol dire avere pena o dolore, dispiacersi; oppure da pœnire, che significa punirsi, castigarsi per i peccati personali commessi.2 La penitenza, in quanto virtù soprannaturale, è infusa da Dio nell’anima ed è ordinata a riparare le offese commesse contro di Lui mediante il dolore e il pentimento.

La presa di coscienza del male compiuto può essere frutto di un atto razionale onesto, oppure di una costatazione provocata da un castigo, come nel caso di un assassino che si pente del suo crimine non perché sia stato un atto malvagio, ma perché si trova ad essere prigioniero.

Per quanto riguarda l’ordine soprannaturale, «non si pente chi vuole, ma colui che Dio misericordiosamente vuole che si penta»,3 perché nessun peccatore ha diritto alla grazia del pentimento e non potrebbe mai ottenerla con le sue proprie forze. Ed è proprio perché si tratta di un’opera divina che le lacrime di compunzione hanno scritto alcune delle più belle pagine della Storia, a partire da Adamo, passando per Davide, raggiungendo un picco commovente con Santa Maria Maddalena e arrivando alle più diverse anime penitenti la cui umiltà ha brillato agli occhi di Dio e degli Angeli nel corso dei secoli. Ancora oggi, la Santa Chiesa non ha mai smesso di far echeggiare e alimentare lo spirito di contrizione nei suoi fedeli, nelle suppliche di perdono e misericordia che abbondano sia nella Liturgia e nei riti sacramentali che nelle preghiere private in generale.

È Dio che tocca l’anima del peccatore, rendendo chiaro ai suoi occhi l’orrore dell’offesa arrecataGli e portandolo alla penitenza interiore
Santa Maria Maddalena penitente – Convento di Sant’Agostino, Quito

Dio, che non nega la sua grazia a nessuno, tocca l’anima del peccatore, rendendo chiaro ai suoi occhi offuscati l’orrore dell’offesa fatta a Lui. Tornato in sé, il penitente prova orrore per le colpe commesse, desidera correggere la sua cattiva condotta e i suoi costumi depravati e si sente incoraggiato dalla speranza di ottenere il perdono. Ecco la penitenza interiore. Quando il dolore dell’anima e il perdono concesso da Dio sono manifestati, si ha allora la penitenza esteriore, elevata da Cristo alla categoria di Sacramento.4

Tribunale nel quale Dio è vinto

Ognuno dei sette Sacramenti possiede una materia che costituisce, insieme alla forma, il segno sensibile della grazia che essi operano. Nell’Eucaristia, ad esempio, abbiamo il pane e il vino; nel Battesimo, l’acqua; nell’Unzione degli Infermi e nella Cresima, gli oli benedetti. Nel Sacramento della Penitenza, abbiamo la «rimozione di una determinata materia, che sono i peccati»,5 che avviene attraverso le parole del sacerdote: «Io ti assolvo…».

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, Nostro Signore Gesù Cristo ha istituito il Sacramento della Penitenza quando, alitando sugli Apostoli dopo la Risurrezione, diede loro la potestà di perdonare i peccati: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).

Ora, come possiamo sapere a chi perdonare e a chi non rimettere i peccati se non mediante un giudizio? Come possiamo emettere un giudizio corretto se non attraverso un processo? In effetti, la Penitenza possiede il carattere di tribunale giudiziario, dove il sacerdote esercita il ruolo di giudice, e il penitente quello di reo che accusa le proprie colpe; questo perché nessuno, a parte Dio e la persona stessa, può penetrare all’interno della coscienza. È per la sua natura accusatoria che questo sacramento viene denominato Confessione.

La Confessione costituisce così un vero e proprio tribunale della misericordia, in cui il reo contrito e nelle debite disposizioni ha sempre la causa vinta, viene sempre assolto. Infatti, «non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù» (Rm 8, 1)! In questo modo, il riconoscimento umile, unito alla richiesta di perdono, vince il Dio di ogni giustizia, rendendoLo un Dio-compassione.

Condizioni di validità

Affinché il Sacramento della Penitenza sia valido, sono richiesti tre atti al penitente: la contrizione, la confessione e la soddisfazione.

I peccati si verificano sempre attraverso pensieri, parole e azioni, che comprendono anche le omissioni. Pertanto, è necessario che Dio sia placato dalle stesse facoltà: dalla mente, ordinata dalla contrizione; dalle parole, purificate nella confessione; e dalle azioni, riparate con il compimento della soddisfazione, ossia, dalla penitenza imposta dal sacerdote.

Tra tutte le disposizioni del soggetto, la più necessaria è la contrizione. Il verbo conterere significa triturare qualcosa di solido e consistente. In ambito spirituale, designa il dolore del cuore peccatore schiacciato dal rimorso per l’offesa che ha commesso. Quando l’anima ha una contrizione perfetta, detesta i suoi peccati proprio perché consistono in un’offesa a Dio – e in questo sta il suo carattere del tutto soprannaturale – e ottiene il perdono delle sue colpe ancor prima di dichiararle nel confessionale, sempre che abbia l’intenzione di farlo alla prima occasione. Ora, il pentimento per il puro e semplice timore dei castighi, chiamato contrizione imperfetta o attrizione, è sufficiente per ottenere il perdono dei peccati nel tribunale della Penitenza, ma non al di fuori di esso.

Inoltre, il proposito di non tornare a peccare è una conseguenza necessaria della buona contrizione.6 Chi si pente veramente, decide fermamente di abbandonare tutte le occasioni che lo portano al peccato, anche se questo comporta dei sacrifici, come la perdita di beni, amicizie o prestigio.

Chi, nella Confessione, non fa un serio proposito di riparare i propri peccati, o lo fa a metà, mantenendo il proprio attaccamento ai vizi peccaminosi, fa, secondo San Giovanni Crisostomo,7 la figura del commediante: finge di essere penitente, mentre in realtà è lo stesso peccatore di poco prima. Il proposito di fare ammenda deve essere, pertanto, fermo, energico ed efficace. Sia il proposito che la contrizione devono avere un’estensione universale, perché non si tratta di evitare questo o quel tipo di peccato, ma di rifiutare ogni e qualsiasi peccato, perché è un affronto al Creatore.

Esame di coscienza… e molta fede e fiducia

Per non omettere alcuna colpa grave, per dimenticanza o nervosismo del momento, è consigliabile fare prima un esame di coscienza, che consiste nell’analizzare e scrutare diligentemente i recessi e i nascondigli della propria coscienza, cercando di ricordare le colpe con cui si è offeso mortalmente il Signore Dio. Anche i peccati veniali costituiscono materia di confessione, e la Chiesa raccomanda che siano accusati. È vivamente raccomandabile che i peccati siano scritti, in modo che nulla sfugga all’accusa e ne pregiudichi la perfezione.

La confessione sarà fatta al sacerdote, che agisce nella Persona del Salvatore, rappresentandoLo allo stesso tempo come Giudice, al quale il Padre «ha rimesso ogni giudizio» (Gv 5, 22); come Medico, che deve applicare il rimedio appropriato alle debolezze dell’anima malata; come Divin Maestro, nell’istruire e correggere il penitente; e infine come Padre, che non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori (cfr. Lc 5, 32).

Di conseguenza, è con spirito di fede e fiducia che il peccatore deve avvicinarsi al confessionale

Sfogo o accusa?

Perché parlare di peccati? Ecco una domanda che incuriosisce molti.

La confessione vocale è un rimedio salutare contro l’orgoglio, radice di tutti i mali. Inoltre, anche dal punto di vista umano, accusarsi di qualcosa solleva e facilita la riconciliazione, proprio come recita l’adagio: «buoni conti fanno buoni amici». Nel Sacramento della Penitenza, l’accusa delle colpe non è un atto imposto da terzi, ma volontario e su iniziativa del penitente stesso.

E come accusare se stessi?

Dobbiamo accostarci al confessionale pieni di fede e di fiducia, accusando le nostre colpe con integrità e semplicità
“Il confessionale”, di David Wilkie – Gallerie Nazionali di Scozia, Edimburgo

La confessione non è uno sfogo sulle difficoltà della vita, né un’occasione per ottenere l’attenzione del sacerdote in modo da soddisfare il desiderio di mettersi al centro; non è una giustificazione dei peccati o una delazione delle colpe altrui… Si tratta di un’accusa delle proprie colpe.

San Tommaso d’Aquino8 elenca sedici qualità di cui l’accusa deve rivestirsi. Per un maggior profitto spirituale dei lettori, non le esamineremo tutte, ma prenderemo in considerazione solo quelle più rilevanti.

Per diritto divino, la confessione deve essere necessariamente completa, ossia devono essere accusati tutti i peccati mortali, con le circostanze in cui sono stati commessi, quando queste aggravano o attenuano la malignità degli atti o ne cambiano la natura. Per esempio, in caso di furto, si deve menzionare la quantità e la qualità dell’oggetto, così come la dignità e la condizione della persona derubata; quando ci sono incomprensioni, lievi o gravi, si deve indicare chi è stato ferito fisicamente, moralmente o spiritualmente, se uno sconosciuto o un fratello; oppure, in caso di adulterio, si deve specificare con chi è stato commesso il peccato, se con una persona non sposata, sposata o consacrata, perché queste circostanze cambiano la specie del peccato.

Omettere consapevolmente ciò che deve essere manifestato significa abusare della santità del Sacramento e sprecare l’opportunità di riconciliarsi con Dio, perché la Confessione diventa invalida e rende il penitente reo di un peccato più grave: il sacrilegio.9 Che tristezza quando, nel giorno del Giudizio Universale, l’anima si troverà condannata e quello che non ha osato accusare in confessione segreta sarà scoperto agli occhi di tutti!… Ormai sarà tardi. Non è, pertanto, una buona idea lasciarsi intrappolare nel maledetto gomitolo della vergogna con cui il diavolo cerca sempre di legare il peccatore.

L’accusa deve essere integra, semplice, senza parole complicate o inutili digressioni di natura accusatoria. In una parola, basta che sia sincera, presentando i peccati così come la coscienza li mostra, senza omissioni o esagerazioni.

L’accusa deve anche essere chiara, e non sussurrata al punto da non essere udita, o pronunciata frettolosamente in modo da risultare incomprensibile. «A volte desideriamo un perdono a buon mercato, facile, senza arrivare al punto di fare una confessione menzognera», disse con precisione Mons. Columba Marmion.10 Agire così «è ingannare se stessi, profanare il Sacramento e trovare il veleno e la morte dove Cristo ha voluto depositare la medicina e la vita».11

Infine, è importante ricordare che la confessione non consiste in un interrogatorio. Il Sacerdote potrà fare tutte le domande che riterrà necessarie e il penitente è libero di esprimere i suoi eventuali dubbi di coscienza. Ma costui deve essere preparato ad accusarsi delle sue colpe e non semplicemente aspettare di essere interrogato.

La pace ripristinata e sigillata

Dopo aver confessato le proprie colpe, il penitente accetta le parole del sacerdote e si impegna a compiere la penitenza da lui imposta, di solito una preghiera o un’altra opera soddisfattoria. Qual è il motivo di questa penitenza?

Con l’assoluzione sacramentale, Dio perdona il peccato e commuta la pena eterna in una pena temporale, che si paga in questo mondo o nel Purgatorio. La penitenza sacramentale, elemento costitutivo della Confessione, contribuisce a soddisfare in qualche modo questa pena e aiuta a purificare l’anima dalle «reliquie dei peccati».12

Insomma, quando la Confessione è stata ben fatta e il sacerdote alza la mano per fare il segno della croce e pronunciare la frase: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», per quanto gravi siano stati i crimini commessi, tutto è perdonato per sempre! Oh, se solo potessimo vedere l’indicibile miracolo che in questo momento si realizza! «L’anima […] si inginocchia sfigurata dal peccato e si rialza pulita e giustificata. […] La pace è sigillata tra il peccatore e Dio, tra il Creatore e la creatura!» 13

Quando la Confessione è stata fatta bene, per quanto gravi siano stati i crimini commessi, tutto è perdonato per sempre!
“La Confessione”, di Marie-Amélie Cogniet – Museo di Belle Arti di Orléans (Francia)

Purificati dal Sangue dell’Agnello

Quanto è gradevole la fragranza della pulizia! Ora, molto più benefico è il profumo della coscienza retta, dell’anima cristallina che non accumula «peccati invecchiati», ma che, non appena si accorge di una colpa, si affretta a lavarla nel salutare bagno della rigenerazione della Penitenza!

È in questo Sacramento che il Sangue di Gesù, come in cima alla Croce, scorre sulle nostre anime per purificarle, con tutto il potenziale di redenzione; 14 è attraverso di esso che siamo fortificati contro le insidie del demonio e le nostre cattive inclinazioni; è in esso che recuperiamo o aumentiamo in noi la vita divina.

Ricorriamo, dunque, con frequenza a questa eccellentissima fonte di grazia e di perdono! E se per caso ci assale la tentazione di disperarci perché le colpe sono tante e tanto grandi, ricordiamoci che c’è una moltitudine di Santi che non avrebbero mai raggiunto il Paradiso se Nostro Signore non avesse istituito nella Chiesa il Sacramento del Perdono. Gettandoci con umiltà, amore e fiducia tra le braccia del Salvatore e della sua Santissima Madre, saremo salvati e annoverati tra coloro che hanno lavato e reso candide le loro vesti nel Sangue dell’Agnello (cfr. Ap 7, 14). ◊

 

Note


1 Cfr. DH 1515.

2 Cfr. ROYO MARÍN, OP, Antonio. Teología Moral para seglares. 5.ed. Madrid: BAC, 1994, v.II, p.257.

3 Idem, p.267.

4 Cfr. CATECHISMO ROMANO. Parte II, c.5, n.4; 10.

5 SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. III, q.84, a.3.

6 DH 1676.

7 Cfr. MORTARINO, Giuseppe. A Palavra de Deus em exemplos. São Paulo: Paulinas, 1961, pp.132-133.

8 SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. Suppl. q.9, a.4.

9 Cfr. CATECHISMO ROMANO. Parte II, c. 5, n. 48; ROYO MARÍN, op. cit., p.342.

10 BEATO COLUMBA MARMION. Jesus Cristo, ideal do sacerdote. São Paulo: Lumen Christi; Cultor de Livros, 2023, p.126.

11 ROYO MARÍN, op. cit., p. 338.

12 Cfr. CATECHISMO ROMANO. Parte II, c. 5, n. 59.

13 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio.  Hediondez do pecado e beleza da confissão – II. In: Dr. Plinio. São Paulo. Anno IX. N.102 (sett. 2006), p.13.

14 Cfr. PHILIPON, OP, Marie-Michel. Os Sacramentos da vida cristã. Rio de Janeiro: Agir, 1959, p.169.

 

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