Una notte d’estate nella Città Eterna. Mentre tutti dormono, un pellegrino si avvicina passo dopo passo all’ingresso della grandiosa Piazza San Pietro. Nella quiete, i due colonnati, che simboleggiano le braccia aperte della Madre Chiesa,1 sembrano più accoglienti che mai… All’improvviso, il silenzio viene interrotto. Si odono due voci, gravi e gentili. Una dice: «Per caso qualcuno può amare ciò che non conosce?». L’altra risponde: «Ama ut intelligas! – Ama e capirai!».
Chi sono i due che parlano così?
Due splendidi vetri di una medesima vetrata
All’ingresso del Vaticano, le balaustre dei due colossali colonnati dorici sono coronate con statue di centoquaranta Santi che hanno segnato la Storia della Chiesa. Le due che aprono questo magnifico corteo di benvenuto sono: San Tommaso d’Aquino, il Dottore Angelico, e San Bonaventura, il Dottore Serafico. Erano contemporanei, amici che studiarono nella stessa epoca all’Università di Parigi, e frati di due Ordini mendicanti fondati nello stesso secolo: i domenicani e i francescani.
La Chiesa, che compie ogni cosa con perfezione, intese con questo significare che i due Dottori – che rappresentano uno il capo pensante della Chiesa e l’altro il suo cuore amorevole – si completano a vicenda e insieme formano la base della saggezza che sostiene l’edificio della Teologia Cattolica.
Come spiegò il Dott. Plinio Corrêa de Oliveira, ogni anima «possiede un’individualità attraverso la quale tende a comprendere meglio determinate perfezioni di Dio», e questa eccellenza «è oggetto dell’amore particolarmente tenero, ardente e intenso dell’uomo».2 Così, ogni Santo è come un frammento di vetro illuminato da una determinata perfezione di Dio, mentre tutti insieme formano la vetrata delle eccellenze divine, completando così il “Cristo totale” – secondo la nota espressione di Sant’Agostino – come membra di un unico Corpo mistico.
Considerati in questa prospettiva, San Tommaso e San Bonaventura contemplavano lo stesso Dio, ma attraverso punti di vista diversi. Mentre il Dottore Angelico vedeva il Creatore come la Verità Suprema la cui conoscenza sboccia nell’amore, il Dottore Serafico Lo considerava come il Sommo Bene che provoca il nostro amore. Per il domenicano, l’amore non è altro che la conseguenza della conoscenza e, quindi, il cuore è guidato dalla mente; per il francescano, la conoscenza è al servizio dell’amore.3
L’amore che vede
Ma se nessuno può amare ciò che non conosce, come può la conoscenza essere assoggettata all’amore?
A questa domanda il Dottore Serafico risponderebbe così: quando si tratta di realtà che provocano amore, l’atto stesso di conoscere nasce dall’esigenza dell’amore e, a suo modo, è una forma di amore.4 Apprendere un principio scientifico è diverso dal conoscere la persona che si ama. In quest’ultimo caso, la conoscenza risulta tanto più profonda quanto più grande è l’amore, perché colui che ama vuole conoscere la persona amata.
Tale affermazione non nega in alcun modo il valore della ragione. Ci sono certe vette nella conoscenza che l’intelletto non avrà mai il coraggio di raggiungere se non è mosso dall’amore. Ecco perché i francescani, seguendo l’esempio del loro fondatore, San Francesco d’Assisi, e del loro grande Dottore, San Bonaventura, possono adattare il famoso detto di Sant’Anselmo – «credo ut intelligam»5 – e affermare: amo ut intelligam – amo per capire!
Riassumendo, possiamo considerare San Tommaso come l’intelligenza che ama e San Bonaventura come l’amore che vede.
Anche il fine ultimo dell’uomo è considerato dai due Dottori da punti di vista differenti. Per San Tommaso, il fine supremo per cui siamo stati creati consiste nel vedere Dio e, in questa visione, trovare la felicità perfetta. Per San Bonaventura, il destino ultimo dell’uomo è amare Dio, unire il suo amore al nostro.6
Per il Dottore Serafico, quindi, l’uomo è un essere destinato a dare una risposta d’amore a Dio a nome di tutto l’universo.7 Quest’idea ha profonde conseguenze per tutta la sua filosofia. Le conclusioni che ne trae per la Metafisica, l’Antropologia e l’Etica esulano dallo scopo di questo articolo. Tuttavia, possiamo almeno cercare di mettere a fuoco qualcosa del metodo che egli utilizza.
L’esemplarità e l’analogia
Per facilitarne la comprensione, ricorriamo all’ispirato pennello di Raffaello Sanzio nella sua celebre opera La scuola di Atene, che ci invita a una riflessione sul pensiero umano. In essa, tra i grandi maestri della Filosofia greca, spiccano le figure di Platone e Aristotele. Platone, con la mano destra alzata, indica con il dito il mondo superiore, mentre Aristotele guarda il suo maestro con la mano tesa verso le cose visibili.
Questi due atteggiamenti rappresentano due scuole di pensiero che, soprannaturalizzate, sono come le due ali con cui l’uomo vola per contemplare Dio e la sua opera: la visione esemplarista e la visione analogica. Mentre la prima, rappresentata nel dipinto da Aristotele, mira a spiegare le realtà superiori a partire dalla considerazione di quelle terrene, la seconda, che ha per modello Platone, mira a giustificare le realtà terrene con quelle superiori.
Sebbene le due scuole non si escludano a vicenda – ed entrambe siano caratteristiche della sintesi scolastica – San Tommaso si concentra maggiormente sulla visione analogica e San Bonaventura su quella esemplarista.
Per comprendere la visione propria del Dottore Serafico, invitiamo il lettore a una riflessione,8 iniziando, secondo la sua consuetudine, in principio primum principium: «Comincio invocando il primo Principio, cioè l’Eterno Padre, Padre dei Lumi, fonte di ogni conoscenza, di ogni bene e di ogni dono perfetto».9
Fonte e misura di ogni scienza umana
Immaginiamo un artista che inizia il suo capolavoro. Prima concepisce nella sua mente la scena che vuole dipingere. Allo stesso modo, il modello dell’opera d’arte della creazione è nel “quadro mentale” di Dio Padre. Ma ciò non è altro che il suo Eterno Figlio, perché il Padre, attraverso la conoscenza che ha di Se stesso, genera il Verbo, che è sua immagine perfetta in cui Egli esprime Se stesso totalmente.10
Come nell’immagine mentale concepita dall’artista c’è il quadro che sta per dipingere, così tutto ciò che è stato creato – e tutto ciò che avrebbe potuto essere creato ma non lo è stato – esiste in questa conoscenza che il Padre ha di Se stesso, che è il Verbo, la sua Arte eterna secondo la bellissima espressione di San Bonaventura,11 come gli esemplari secondo i quali Dio ha modellato la creazione. È questo Verbo divino che Si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr. Gv 1, 14). Per questo motivo, il Dottore Serafico12 considera Cristo come la fonte e la misura di tutta la scienza umana.
Nelle ultime conferenze proferite all’Università di Parigi, egli esprime la profondità del suo pensiero a questo riguardo: «Il nostro proposito è dimostrare che in Cristo ‘sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio’ (Col 2, 3)» 13. Nessuno può pretendere di conoscere nulla di ciò che è stato creato, se non inizia da Colui che tutto ha fatto (cfr. Gv 1, 3). Nessuno può pretendere di conoscere nulla di ciò che è stato creato se non parte da Colui attraverso il quale tutto è stato fatto (cfr. Gv 1,3): «Se uno vuole raggiungere la sapienza cristiana, deve cominciare da Lui».14
Per San Bonaventura, la stessa considerazione delle creature non può essere fatta senza questo sfondo. Egli contempla l’universo come un libro in cui ogni creatura è una parola che ci parla di Dio, come copie degli archetipi racchiusi nell’Arte eterna, e per questo possono essere comprese solamente nel loro insieme. Mentre il filosofo pagano si lascia incantare dalla bellezza delle creature, il filosofo cristiano le considera come segni che indicano la mano creatrice di Dio.15
Secondo il Santo, quindi, la vera Filosofia non può iniziare senza Cristo, che è il suo oggetto, e non può finire senza di Lui, perché è il suo fine. Pur essendo consapevole della distinzione, non concepisce la possibilità di una Filosofia separata dalla Teologia. E i grandi maestri della Teologia e di tutte le scienze umane sono Cristo, nostro Signore16 e Maria, la Madre di Dio.17
San Tommaso adottò il cammino opposto alla dimostrazione filosofica, partendo dall’osservazione delle realtà visibili. Avendo questo obiettivo, assimilò la filosofia di Aristotele e riuscì con grande successo a spiegare le tesi della Rivelazione cristiana poggiando su questa base razionale. San Bonaventura, tuttavia, non approvò questo metodo e una volta disse al suo amico domenicano che diluiva il vino puro del Vangelo con l’acqua della Filosofia pagana. Il Dottore Angelico rispose che, in realtà, stava trasformando l’acqua in vino.
A sua volta, si racconta che durante una visita a San Bonaventura, San Tommaso gli chiese quale libro consultasse per produrre tali meraviglie di pensiero. L’umile frate francescano indicò un crocifisso.18
Il principe dei mistici
Nel quarto giorno della creazione, «Dio fece le due luci grandi» (Gn 1, 16) per presiedere il giorno e la notte. Così anche nel XIII secolo Egli illuminò il giorno della ragione e la notte della contemplazione con due grandi luminari, il cui splendore ha attraversato la Storia e illumina la Teologia cattolica ancora oggi.
Mentre la teologia di San Tommaso mira a mostrare la dimostrabilità delle tesi della Rivelazione alla luce della ragione, San Bonaventura è più audace nelle sue affermazioni. Lasciamo che il Dottore Serafico spieghi il suo programma all’inizio del suo capolavoro, L’itinerario della mente verso Dio:
«Dapprima invito il lettore al gemito della preghiera a Cristo Crocifisso per il cui Sangue veniamo purificati dalle brutture dei nostri vizi, perché non creda che gli possa bastare una lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza lo stupore, l’osservazione senza l’esultanza, l’impegno senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, la diligenza senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza ispirata da Dio».19
A sua volta, conclude lo scritto con queste parole di fuoco:
«Se ora brami sapere come ciò avvenga, interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo studio della lettera; lo sposo, non il maestro; Dio, non l’uomo; la caligine, non la chiarezza; non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio con le forti unzioni e gli ardentissimi affetti. Tale fuoco è Dio, il cui focolare è nella Gerusalemme, e Cristo l’accende nel fervore della sua ardentissima passione».20
La teologia di San Bonaventura non è separata dalla contemplazione, e per questo pochi hanno il coraggio di seguire le orme del principe dei mistici, secondo la felice affermazione di Leone XIII.21 Il Dottore Serafico ci ricorda infatti, citando il profeta Daniele (cfr. Dn 9, 23), che nessuno può entrare in questo cammino senza essere un “vir desideriorum” – un uomo di desideri.22
Fratelli gemelli in Cristo
Nonostante un’apparente contraddizione, San Tommaso e San Bonaventura contribuirono insieme a creare quella sintesi perfetta tra ragione e fede che è la gloria della Scolastica medievale. Se l’amore per la dottrina della Fede li univa, esso non impediva loro di dissentire sui metodi di contemplazione della verità. Le discussioni tra i due, tuttavia, cessarono a causa di un fatto singolare.
Una volta San Tommaso fece una visita a San Bonaventura per discutere alcuni punti di dottrina. Quando arrivò, trovò il frate francescano in estasi davanti al Crocifisso. Dal costato di Nostro Signore sgorgò del sangue nella bocca di San Bonaventura, che lo beveva. Da allora l’Angelico non discusse più con il suo amico, non perché fossero d’accordo, ma per rispetto a Cristo.23
Entrambi avevano una missione profetica nella Storia della Chiesa: lasciare le basi teologiche e filosofiche della dottrina cattolica, in modo che essa potesse attraversare tutte le tempeste fino alla fine del mondo. Ancora ai nostri giorni, le filosofie moderne e atee, ancor prima di nascere, trovano la loro confutazione già scritta nelle sagge parole di questi due grandi Dottori della Scolastica medievale.
Del resto, la loro unione era tale che Dio li ha portati presso di Sé nello stesso anno, il 1274. Così, in questo 2024 celebriamo i settecentocinquant’anni dal loro ingresso nell’eternità.
Nella bolla della proclamazione di San Bonaventura come Dottore della Chiesa Universale, Papa Sisto V dichiarò che lui e San Tommaso sono come «i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra» (Ap 11, 4), che insieme “illuminano tutta la Chiesa” come “fratelli gemelli in Cristo”.24 E Gilson scrive che «la filosofia di San Tommaso e quella di San Bonaventura si completano come le due interpretazioni più universali del cristianesimo, ed è perché si complementano che non possono né escludersi né coincidere» 25. Infatti, come osserva il Dott. Plinio, i due “si completano a vicenda come le due parti di un’ogiva”26 che sostengono la cattedrale della sapienza cristiana. ◊
Note
1 L’espressione è di Gian Lorenzo Bernini, l’architetto che progettò Piazza San Pietro (cfr. LAVIN, Irving. Bernini a San Pietro: Singularis in Singulis, in Omnibus Unicus. In: TRONZO, William [Ed.]. St. Peter’s in the Vatican. New York: Cambridge University Press, 2005, p.151).
2 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. San Paolo, 15/11/1957.
3 Cfr. BETTONI, OFM, Efrem. Nothing for Your Journey. Chicago: Franciscan Herald, 1959, p. 24.
4 Cfr. idem, ibidem.
5 SANT’ANSELMO DI CANTERBURY. Proslogion, c. I.
6 Cfr. BENEDETTO XVI. Udienza generale, 17 marzo 2010.
7 Cfr. BETTONI, op. cit., p. 53.
8 Questa riflessione si basa su: GILSON, Étienne. The Philosophy of St. Bonaventure. Paterson (NJ): St Anthony Guild, 1965, pp. 127-146.
9 SAN BONAVENTURA. Itinerário da mente para Deus, Prólogo, n.1. In: Obras escolhidas. Porto Alegre: Escola Superior de Teologia São Lourenço de Brindes, 1983, p.165.
10 Cfr. SAN BONAVENTURA. I Sent., d.27, pars II, art. unicus, q.3, resp.
11 Cfr. SAN BONAVENTURA. In Hexaemeron, coll.I, n.13.
12 Cfr. Idem, n.11.
13 Idem, ibidem.
14 Idem, n.10.
15 Cfr. GILSON, op. cit., pp. 195-198.
16 Cfr. SAN BONAVENTURA. Cristo, único Mestre de todos. In: Obras escolhidas, op. cit., pp.221-232.
17 Cfr. GOFF, J. Isaac. Mulier Amicta Sole: Bonaventure’s Preaching on the Marian Mode of the Incarnation and Marian Mediation in His Sermons on the Annunciation. In: MCMICHAEL, Steven J.; SHELBY, Katherine Wrisley (Eds.). Medieval Franciscan Approaches to the Virgin Mary. Leiden-Boston: Brill, 2019, p.55.
18 Cfr. COSTELLOE, OFM, Laurence. Saint Bonaventure. London: Longmans, Green and Co., 1911, p.93.
19 SAN BONAVENTURA. Itinerário da mente para Deus, Prólogo, n.4, op. cit., p.166.
20 Idem, c.VII, n.6, p.203.
21 Cfr. LEONE XIII. Discorso dell’11 ottobre 1890.
22 SAN BONAVENTURA. Itinerário da mente para Deus, Prólogo, n.3, op. cit., p.166.
23 Cfr. D’ALBI, OFM Cap, Jules. Saint Bonaventure et les luttes doctrinales de 1267-1277. Tamines-Paris: Duculot-Roulin; A. Giraudon, 1923, p.10.
24 SISTO V. Triumphantis Hierusalem.
25 GILSON, op. cit., p. 449.
26 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. San Paolo, 4/8/1990.