San Pio V – Un convinto difensore della verità

Uomo di eccezionali virtù e di vita irreprensibile, San Pio V fu padre devoto e pastore del gregge di Cristo, uno zelante promotore della disciplina ecclesiastica e un valoroso difensore degli interessi della Cristianità.

La pallida luce della luna illuminava i tetti della Città Eterna, che dormiva silenziosa. Una singolare processione di uomini e donne delle più svariate età e condizioni avanzava per le strade buie: sacerdoti, monaci e religiose, nobili e contadini. Si affrettavano a percorrere l’ultimo tratto del lungo viaggio che avevano intrapreso.

Una scena del genere era relativamente comune negli anni in cui San Pio V occupava il trono di San Pietro. Dai più remoti angoli d’Europa, i fedeli accorrevano quotidianamente a Roma nella speranza di incontrarlo, di avere un’udienza con lui o semplicemente di ricevere la sua benedizione.

È vero che ogni Sommo Pontefice, quando viene validamente eletto dal Collegio Cardinalizio, riceve dall’Altissimo la sublimissima potestà di essere, come San Pietro, un tramite tra Dio e gli uomini. In San Pio V, tuttavia, questa elevata missione assunse una nuova aureola di gloria. Uomo di eccezionali virtù e di vita irreprensibile, fu padre devoto e pastore del gregge di Cristo, uno zelante promotore della disciplina ecclesiastica e un valoroso difensore degli interessi della Cristianità.

Fedeltà fin dall’inizio

Antonio Ghislieri nacque a Bosco Marengo, una cittadina dell’Italia settentrionale, il 17 gennaio 1504. A quattordici anni entrò nell’Ordine dei Predicatori con il nome di Fra Michele, ricevendo l’ordinazione all’età di ventiquattro anni. Più volte fu eletto priore di diversi conventi domenicani, tra cui quelli di Vigevano, Soncino e Alba.

Come superiore, insistette sull’osservanza della disciplina religiosa e sulla fedeltà al carisma di San Domenico. La preghiera e lo studio dovevano essere il continuo nutrimento dello spirito e il silenzio il più perfetto canto di lode a Dio. Esortava i suoi frati a non uscire senza un’effettiva necessità dalla clausura, perché diceva che «il sale, quando viene gettato nell’acqua, non si distingue più da essa; e il religioso, sale della terra per grazia di Dio, assorbe facilmente lo spirito del mondo quando ne viene a contatto inutilmente».1

Era nota la sua estrema rigidità nei confronti di se stesso. Digiunava, faceva penitenze, passava lunghe ore della notte in preghiera e meditazione. Nonostante la sua salute fragile, i suoi confratelli d’abito testimoniarono che quando era presente nel convento, il suo inginocchiatoio non era mai vuoto durante le preghiere comuni.

Essendo stato scelto come confessore del governatore di Milano, ogni volta che si predisponeva ad ascoltarlo, voleva assolutamente andare a piedi, sopportando le avversità del tempo. Quando, in inverno, insistevano con lui perché accettasse almeno un mantello più pesante, rifiutava, sostenendo che desiderava praticare la povertà evangelica privandosi di alcune comodità.

Anni dopo, come Papa, il discreto religioso avrebbe dimostrato la stessa austerità e lo stesso rigore.

Integrità e rettitudine per difendere la verità

Alla metà del XVI secolo, gli errori di Lutero si stavano diffondendo rapidamente in tutta Europa, minacciando la salvezza delle anime e la pace nel continente. Papa Paolo III decise di riattivare l’Inquisizione nel 1542, con l’intento di fermare l’avanzata dell’eresia, scoprire i suoi subdoli autori e illuminare le anime sulla verità cattolica.

La buona fama di Ghislieri aveva già raggiunto Roma e, nel 1551, fu nominato commissario generale del Sant’Uffizio. Tale incarico gli conferiva come inquisitore ampi poteri che il domenicano seppe utilizzare con giustizia, prudenza e misericordia. Al tempo stesso inflessibile nella lotta contro l’eresia, Fra Michele era benigno e paziente, sforzandosi di far sì che i colpevoli si pentissero dei loro errori e si convertissero. Tutte le mattine «faceva visita agli accusati e non risparmiava nulla per riportarli di nuovo a Gesù Cristo. Li incoraggiava a discutere liberamente con lui e dissipava i loro dubbi con una dolcezza tanto persuasiva quanto eloquente. La sua carità non si fermava lì. Quando i colpevoli abiuravano i loro errori, non trascurava nulla per rendere le loro pene più lievi».2

Un così grande sforzo e sacrificio per il bene del prossimo portò frutti preziosi. Forse uno dei più notevoli fu la conversione di Sisto da Siena. Ebreo di nascita, Sisto accettò solennemente la Fede Cattolica quando aveva vent’anni. La sua vasta conoscenza della lingua ebraica gli fece ottenere l’incarico di professore nelle principali università italiane. Tuttavia, l’alta stima che nutriva per se stesso lo portò all’insegnamento pertinace di gravi eresie. Avvertito dei suoi errori, egli li abiurò e fu perdonato dalla Chiesa. Qualche tempo dopo, vi ricadde e fu portato in prigione, dove avrebbe dovuto attendere il giorno della sua morte.

Per Michele, era giunta l’ora della misericordia. Doveva ottenere dalla Provvidenza che il cuore di quell’uomo recidivo si trasformasse veramente. Nei giorni seguenti fece visita al prigioniero svariate volte. Lo esortò con bontà, lo convinse delle sue colpe, gli fece desiderare di vivere una vita di penitenza per amore di Nostro Signore, insomma, lo portò al pentimento. Consapevole delle buone intenzioni di Sisto, si appellò al Santo Padre affinché revocasse la sentenza di morte che incombeva su di lui.

Grande fu la gioia di Fra Michele quando seppe, mesi dopo, che quel convertito si era fatto domenicano. Da quel momento in poi, Sisto condusse una vita modesta e virtuosa. Utilizzò le sue conoscenze per difendere la Fede Cattolica e ancora oggi è considerato uno dei maggiori teologi domenicani del suo tempo.

«Lasciatemi morire da semplice domenicano»

Nel 1556, in considerazione degli immensi servizi che aveva reso alla Chiesa, Papa Paolo IV designò Ghislieri come Vescovo di Nepi e Sutri, piccola diocesi vicino a Roma.

La notizia lo raggiunse come un fulmine a ciel sereno. Implorò immediatamente il Pontefice di riconsiderare la decisione e di permettergli di vivere fino alla fine dei suoi giorni come un semplice monaco domenicano. Il Papa, però, ribadì la nomina, insistendo con lui perché assumesse l’incarico come volontà della Provvidenza.

Mons. Michele, che continuò fedelmente a indossare l’abito domenicano, cambiò la fisionomia della sua diocesi. Fece visita a tutti i suoi recessi, anche i più poveri e dimenticati, portò il clero alla purezza di vita e di costumi e si assicurò che le pecorelle ricevessero il salutare nutrimento dell’insegnamento cristiano. Anni dopo, ormai Papa, si sarebbe impegnato a promuovere un analogo rinnovamento all’interno della Chiesa Universale, e si sarebbe ricordato di quanto benefica era stata la sua esperienza a Nepi e Sutri.

Il 15 marzo 1557, Paolo IV lo nominò Cardinale. Qualche mese prima, aveva detto a Mons. Ghislieri che gli avrebbe legato al piede una catena così forte da rendergli impossibile anche solo pensare alla vita nel chiostro. Queste parole furono rispettate alla lettera, sebbene il nuovo porporato non sospettasse come…

«Habemus Papam!»

Alla fine del 1559, morto Paolo IV, i Cardinali si riunirono per il conclave, che si rivelava di grande importanza per la Chiesa.

Il Cardinale Carlo Borromeo, Arcivescovo della prestigiosa Diocesi di Milano, consapevole dell’influenza che esercitava sul collegio cardinalizio, non nascose la sua preferenza per il nuovo Papa. Dopo settimane di intensi dibattiti e diversi scrutini, riuscì a far sì che le propensioni confluissero sul Cardinale Ghislieri, che fino a quel momento era rimasto nella sua cella implorando lo Spirito Santo che scegliesse il Pontefice adeguato.

Non restava altro che convincerlo. I Cardinali Borromeo, Morone e Farnese si recarono nelle sue stanze e lo informarono della decisione di tutti. Di fronte alla resistenza dell’eletto, lo portarono quasi con la forza nella Cappella Paolina, dove tutti i Cardinali si inginocchiarono ai suoi piedi e lo proclamarono Sovrano Pontefice. L’ex monaco di San Domenico, non senza riluttanza, alla fine accettò e scelse il nome di Pio V.

La notizia suscitò a Roma una grande commozione. A poco a poco, il popolo si rese conto che il nuovo Pontefice «viveva in una cella monastica, che non beveva altro che acqua, che passava ore a meditare sulla Passione di Cristo […]. Ben presto si verificò anche che non sfilavano più per le strade della città quelle processioni cardinalizie che provocavano sgomento per il loro sfarzo insolente […]. In compenso, le istituzioni caritatevoli ricevettero generose donazioni e le opere di pubblica utilità un nuovo impulso. L’ammirazione raggiunse il suo apice quando si vide il Vicario di Cristo recarsi a piedi in pellegrinaggio alle basiliche, portando l’ostensorio».3

Il Concilio di Trento messo in opera

Lo storico Concilio di Trento, convocato nel 1545 da Paolo III, si concluse nel 1563. A Pio V toccò l’immenso compito di mettere in pratica tutto ciò che era stato stabilito nei decreti della grande assemblea.

San Pio V ebbe l’immenso compito di mettere in pratica le decisioni del Concilio di Trento
Concilio di Trento, di Elia Naurizio – Museo Diocesano Tridentino, Trento; in primo piano, Breviario e Catechismo Romani, pubblicati da San Pio V secondo le direttive della magna assemblea

«Non riusciremo ad arrestare il progresso dell’eresia se non con un’azione sul Cuore di Dio. Spetta a noi, luce del mondo, sale della terra, illuminare le menti e incoraggiare i cuori con l’esempio della nostra santità e delle nostre virtù»4 , disse una volta il Pontefice, tracciando la linea maestra che avrebbe diretto tutti i suoi sforzi nell’adornare il clero di una purezza illibata, nel fornire una solida formazione al popolo cristiano e nel promuovere la Liturgia e la musica sacra.

Nel 1566, dopo cinque anni di duro lavoro, venne alla luce il Catechismo Romano, che avrebbe offerto al cattolico tutto ciò che doveva sapere sulla fede e sulla morale, presto tradotto in altre lingue e diffuso in tutto il mondo. In seguito, si realizzò la riforma del breviario, libro a lungo utilizzato dai chierici per la preghiera dell’Ufficio Divino, ma le cui aggiunte inutili e superflue avevano reso troppo prolisso. Infine, ci fu anche la riforma del Messale – nel tentativo di stabilire l’unità nella celebrazione della Messa, soprattutto nel rito latino.

Un’altra questione molto discussa a Trento fu la formazione dei sacerdoti. Fino ad allora, i laici che desideravano essere ordinati dovevano frequentare le università. Fu Pio V a chiedere ai Vescovi di fondare seminari ecclesiastici nelle loro diocesi per accogliere le vocazioni, in modo da preservarli dalle influenze mondane durante la loro formazione e garantire l’ortodossia dei loro studi.

Purtroppo, in quell’epoca il gregoriano era quasi completamente scomparso dalle chiese europee, sostituito da altre forme di canto o accresciuto da melodie e testi troppo profani. Papa Marcello II, allarmato dagli abusi, pensò addirittura di vietare l’uso della musica nelle chiese. I Padri conciliari, tuttavia, consapevoli che la proibizione avrebbe comportato più perdite che benefici, ritennero che fosse meglio stabilire regole che incoraggiassero una musica religiosa sana.

A questo scopo fu istituita una commissione e San Carlo Borromeo non risparmiò sforzi per assicurarne il successo. Conoscendo il talento di un eminente compositore di nome Giovanni Pierluigi da Palestrina, gli chiese di comporre una Messa in cui fossero applicate le regole stabilite dal Concilio di Trento. Dopo tre mesi, Palestrina presentò al cardinale di Milano tre composizioni, una delle quali era la Messa di Papa Marcello, presentata a Paolo IV e al collegio cardinalizio. Lo stile ottenne l’approvazione di tutti. Si stabiliva in tal modo il canto sacro polifonico.

Eletto Sommo Pontefice, Pio V non si limitò a incoraggiare l’eminente autore, ma lo nominò maestro di canto della cappella papale al fine di affermarlo come autorità e modello in materia per tutte le chiese della Cristianità.

Inoltre, nominò 314 vescovi e numerosi Cardinali, tutti notevoli per le loro qualità morali. Riformò diversi ordini religiosi, come i Cistercensi in Sicilia e i Serviti, e ravvivò la disciplina dei Frati Minimi in Francia. San Giovanni Bosco giustamente commentò: «I sei anni del suo pontificato furono sufficienti per cambiare l’aspetto del mondo».5

Difensore della Cristianità

Nei primi giorni di luglio del 1570, centinaia di navi turche erano visibili all’orizzonte dell’isola di Cipro. Pio V sospettava da tempo che la potenza ottomana avrebbe colpito violentemente le nazioni cristiane, e ora non c’erano più dubbi.

Il Successore di Pietro non esitò ad assumere sulle sue spalle il peso della difesa della Cristianità. Non appena gli giunsero le tristi notizie del massacro di Cipro, inviò dei commissari ai principali re d’Europa per istituire una lega che si opponesse agli infedeli. Il 25 maggio 1571, dopo ardui sforzi diplomatici, il trattato che istituiva la Lega Santa fu firmato dalla Spagna, dalla Repubblica di Venezia e da altre città italiane, insieme allo Stato Pontificio.

La flotta di oltre duecento navi e ottantamila uomini lasciò il porto di Messina in una bella giornata d’autunno del 1571, comandata da Don Giovanni d’Austria e sotto la benedizione del Nunzio Pontificio. Poco meno di un mese dopo, il 7 ottobre, ebbe luogo una delle più grandi battaglie navali della Storia: la battaglia di Lepanto. La croce e la mezzaluna combatterono per ore e ore fino a quando le truppe cristiane ottennero la vittoria.

In quel giorno Sua Santità istituì la festa della Madonna del Rosario, per ringraziare dell’insigne e splendido trionfo ottenuto per sua intercessione, e ordinò che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse l’invocazione Ausilio dei Cristiani.

«La Chiesa rimase vedova del suo santo pastore»

Il Venerdì Santo del 1572, l’aggravarsi di una malattia di cui soffriva da poco prima della sua elezione al Papato lo costrinse a rimanere a letto. Il 1° maggio, il Romano Pontefice entrò in agonia. Chi si avvicinò a lui in quel periodo poté sentirlo gemere: «Signore, aumenta il mio male, ma anche la mia pazienza!»6

Esempio di pastore saggio e integerrimo, nel varcare le soglie di questa vita, San Pio V lasciò trasparire sul suo volto un sorriso
Corpo di San Pio V – Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma

Morì quello stesso giorno, dando a tutti coloro che lo circondavano un eccellente esempio di pace e serenità nel dolore. Nel varcare la soglia di questa vita, lasciò ancora una volta tracciato un sorriso sul suo volto. Santa Teresa d’Avila apprese della sua morte per rivelazione e si lamentò dicendo: «Piangete con me, sorelle mie, perché la Chiesa è rimasta vedova del suo santo pastore».7

Che San Pio V mandi santi pastori a guidare la Chiesa con virtù e saggezza, e ottenga presto da Nostra Signora, Ausilio dei Cristiani, un nuovo e brillante trionfo della Chiesa sui suoi nemici.

 

Note


1 ANDERSON, Robin. Saint Pius V. Rockford (IL): TAN, 1989, p.3.

2 VICOMTE DE FALLOUX. Histoire de Saint Pie V. Chiré-en-Montreuil: Chiré, 1978, p.43.

3 DANIEL-ROPS, Henri. A Igreja da Renascença e da Reforma (II). São Paulo: Quadrante, 1999, vol.V, pp.115-116.

4 Idem, p. 115.

5 SAN GIOVANNI BOSCO. Compêndio de História Eclesiástica. Campinas: Livre, 2016, p.189.

6 Idem, ibidem.

7 THE LIFE OF SAINT PIUS THE FIFTH, and Other Saints and Blessed of the Order of Friar Preachers. New York: D. & J. Sadlier, 1887, p.115.

 

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