Trovandomi nella fortunata occasione di trattare un tema a me così caro, la devozione al Sacro Cuore di Gesù, il mio modo di essere mi porterebbe a cercare di studiare, pensare e meditare al riguardo, fino a conoscere tutto quanto è possibile sull’argomento. A mio avviso, così deve essere l’amore: fatto del più grande sentimento, ma anche di ragionamento, attraverso il quale cerchiamo di capire il più possibile ciò che sentiamo. Dalla somma di questi due fattori risulta il vero amore.
Tuttavia, i doveri del mio apostolato non mi permettono di agire secondo questo principio, almeno non quanto vorrei. Pertanto, anche se non ho potuto fare studi approfonditi sull’argomento, qualcosa si conosce sempre, e propongo di entrare nel merito avvalendoci, soprattutto, di ciò che sentiamo verso questa devozione.
Due concezioni di cuore
In primo luogo, vorrei analizzare due concezioni distinte, ma non contrarie, riguardo a ciò che il cuore rappresenta.
Una è la concezione moderna, secondo la quale il cuore simboleggia il sentimento puro, avulso dalla ragione. Secondo questa concezione, il cuore di qualcuno dovrebbe vibrare alla vista di qualcosa che gli causa una buona impressione, che lo intenerisce e che produce un sentimento di bontà e condiscendenza.
Qualcosa del genere mi capita, per esempio, ogni volta che vedo un’immagine del Sacro Cuore di Gesù che si trova in una chiesa della città di San Paolo a lui dedicata. Al vedere quell’immagine, ricordo una serie di emozioni di natura religiosa che ho provato dinanzi ad essa, che, evidentemente, non considero in alcun modo negative. Ma mi chiedo: il cuore rappresenta solo questo?
Dobbiamo considerare che gli antichi intendevano il cuore in un senso più profondo: per loro il cuore rappresentava l’insieme di tutto ciò che l’uomo conosce e ama. Con un amore, però, secondo la concezione che ho indicato sopra, cioè sentendo, ragionando, giudicando e, a seconda dei casi, aderendo e amando. Tutto ciò che l’uomo ama in questo modo costituisce un insieme che forma la mentalità dell’uomo, che è rappresentata dal cuore.
Considerata da questo punto di vista, la devozione al Sacro Cuore di Gesù acquista una profondità insondabile.
Aspetti diversi di una stessa scena
Immaginiamo che qualcuno che abbia conosciuto Nostro Signore Gesù Cristo durante la sua vita terrena debba averlo amato al punto da essere in grado di riconoscere il timbro maestoso e soave della sua voce.
Consideriamo che questa persona abbia visto uno sguardo pieno di bontà e di misericordia da parte di Gesù verso qualcuno e che poi Lo abbia contemplato mentre sferzava i mercanti del Tempio o mentre rispondeva alle guardie del Tempio con quell’«Ego sum» (Gv 18, 5) che le fece indietreggiare e cadere a terra. Credo che, se fossi un pittore, sarei in grado di fare almeno cinquanta quadri rappresentanti diversi aspetti che avrebbero dovuto trasparire da Lui in questo momento.
Lo stesso si potrebbe dire della scena in cui, dall’alto della Croce, tra un gemito e l’altro Egli disse: «Madre, ecco tuo figlio!» e poi disse all’Apostolo San Giovanni: «Ecco tua Madre!» (Gv 19, 26-27). Con quale espressione Gesù avrà detto questo? O, ancora, quando disse al buon ladrone: «Oggi sarai con me in Paradiso» (Lc 23, 43). In questo episodio dobbiamo considerare non solo le sue parole al buon ladrone, ma anche il suo freddo silenzio nei confronti del ladrone cattivo. Quanto è espressivo il silenzio di una persona come Nostro Signore Gesù Cristo!
Ebbene, se a me fosse stata concessa la grazia di assistere a tutto questo, credo che, nonostante i miei sforzi per conoscere le mentalità, avrei dimenticato tutto per prestare attenzione solo a Lui. Evidentemente, avrei prestato attenzione anche alla Madonna e un po’ agli Apostoli, ma all’infuori di essi, a nient’altro. Più che altro, avrei cercato di conoscere Nostro Signore il più possibile. Non per controllo o sfiducia, ma al contrario, per poterLo amare e per potermi donare a Lui sempre di più.
Come sarà la mentalità di Nostro Signore?
Preso a cuore questo concetto, possiamo chiederci com’è la mentalità di Cristo. La risposta si rivela molto difficile, perché il tema è così alto che, stando in basso, si ha paura di salire. D’altra parte, quando si è arrivati in cima non si ha voglia di scendere.
Se consideriamo la natura umana di Nostro Signore, possiamo cercare di spiegare qualcosa, perché quando si tratta della divinità l’argomento raggiunge un’altezza tale che diventa impossibile per l’uomo raggiungerlo.
La fede ci insegna che Gesù Cristo è il Verbo di Dio incarnato, venuto ad abitare tra gli uomini. Nella Sua Persona, la natura umana e quella divina sono unite ipostaticamente, in un modo insuperabile e irraggiungibile da qualsiasi creatura umana. Nemmeno la Madonna, alla quale credo sia stato dato il dono della permanenza eucaristica, può giungere a un’unione con Dio paragonabile a quella della natura umana di Gesù.
Il rapporto tra umanità e divinità nella Persona del Verbo è qualcosa di così straordinario che San Luigi, re di Francia, aveva la bella abitudine, poi adottata da tutta la Chiesa, di inchinarsi quando si diceva durante il Credo: Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis.
La gioia più grande e la sofferenza più terribile
Quale gioia deve aver prodotto una tale unione nella natura umana di Gesù? Senza considerare la sua divinità, secondo la quale Cristo è la fonte stessa di ogni gioia.
Tuttavia, per qualche mistero, durante la preghiera nell’Orto, questa gioia sembra aver lasciato il posto a una terribile sensazione di abbandono, che portò Gesù a chiedere: «Padre, se vuoi, allontana da Me questo calice!» (Lc 22, 42).
Ancora più eloquente è il suo grido dalla croce: «Dio mio, Dio mio, perché Mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34). Che cosa è successo in quel momento con questa unione delle nature umana e divina, che possa aver causato un sentimento così grande da portarLo poco dopo a dire «Consummatum est» (Gv 19, 30) e a consegnare il suo spirito?
Vediamo che, nonostante l’unione della natura umana e di quella divina di Nostro Signore, Egli soffriva. E per un certo equilibrio che in questa vita c’è di solito tra la felicità e il dolore, considerando le gioie di Gesù possiamo misurare quanto profondi debbano essere stati i suoi patimenti.
Credo che una delle sofferenze più toccanti attraverso cui Cristo è passato sia stata quella dell’inspiegabile, perché nessun dolore umano è così grande come quello di chi soffre senza conoscerne la ragione. Sebbene Nostro Signore conoscesse tutto come Dio e sapesse di non essere passibile di colpa, in un qualche modo misterioso deve aver provato questa forma di dolore, altrimenti la sua sofferenza non sarebbe stata completa.
Ho l’impressione che così come Dio, dopo aver creato ogni essere esistente nell’universo, considerò l’insieme e vide che era cosa molto buona (cfr. Gn 1, 31), così nostro Signore, dopo aver subito tutti i tormenti della Passione, deve aver guardato la bellezza dell’insieme delle sue sofferenze e deve aver pensato: «Tutto è stato offerto; tutto ciò che potevo soffrire, l’ho sofferto per la redenzione del genere umano». E allora ha esclamato: «Consummatum est».
Mentalità composta da opposti armonici
Ora, dobbiamo tener presenti questi aspetti di grandezza e fortezza d’animo che vediamo trasparire negli ultimi atti della Passione del Divin Redentore mentre analizziamo ogni momento della sua vita terrena. Infatti, Colui che ha subito una morte come questa è lo stesso che accarezzava i bambini quando si avvicinavano a Lui e rispetto ai quali disse: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio» (Mc 10, 14). Non c’è uomo, di qualsiasi età, che, sentendo queste parole, non si senta colpito da esse – chi, davanti a Nostro Signore, non si sente molto piccolo? – e pensi: «Allora c’è un posto anche per me presso Gesù».
Dobbiamo considerare che queste parole, traboccanti di dolcezza, sono uscite dalle labbra di Colui che, durante la Passione, ha mostrato una forza e una fermezza ineguagliabili.
Ma come può l’anima umana riunire tutti questi aspetti in un’unica immagine, di modo che, alla vista di Nostro Signore, possa considerarLo come Colui che scacciò i mercanti dal Tempio, e allo stesso tempo vedere in Lui il Maestro che con indicibile bontà accarezzava i piccoli, guariva i malati, e diffondeva intorno a Sé gioia, consolazione, tranquillità, salute e incanto? E ancora, come unire in un’unica visione l’Uomo forte, unico e incomparabile che si vede nella Sindone, con il Bambino Gesù appena nato, che apre le braccia e sorride alla Madonna?
Anche se già nell’aprire le braccia le metteva a forma di croce, preannunciando che nasceva per essere crocifisso, come si poteva immaginare che in quel Bambino innocente, fragile e tenero c’era già l’Eroe che avrebbe sopportato le sofferenze più terribili che si siano mai viste e che mai si vedranno fino alla fine del mondo?
Mali di una visione unilaterale
Come condensare allora tutte queste perfezioni dell’Uomo-Dio in un’unica visione?
Sono così tante che saremmo propensi ad accontentarci di considerarne solo una. In realtà, ognuno Lo adora nel modo in cui si sente chiamato a farlo, ma nel mio caso particolare, per il mio modo di essere, non mi accontenterei mai di adorarLo per uno solo di questi aspetti, senza cercare di unirlo agli altri, in modo da formare, anche sommariamente, una nozione complessiva.
Perciò, se potessi conoscerLo in questa vita, ciò che più mi piacerebbe ammirare in Lui sarebbero le transizioni di stati d’animo, in modo da vedere in queste variazioni l’armonia che esse formavano.
Sul soffitto della Chiesa del Sacro Cuore di Gesù1 si trova un affresco in stile ottocentesco, che ha la caratteristica, derivante da una tendenza degli uomini di quel secolo, di rappresentare le cose esattamente come sono nella realtà pratica. Da qui è nata la scuola d’arte chiamata Realismo. Per me questa non è vera arte, perché il valore di un’opera sta nel riprodurre qualcosa di imponderabile che solo gli occhi di autentici osservatori possono cogliere.
Se riprodurre le cose come le vediamo ha un valore artistico, la più perfetta delle arti dovrebbe essere la fotografia. Ora, il più grande difetto sia del Realismo che della fotografia è quello di non ritrarre le transizioni dell’anima di cui ho parlato sopra. Per questo motivo, nei dipinti di Gesù che seguono questa scuola, si nota che l’artista ha scelto di Lui un solo aspetto e ha cercato di rappresentarlo. E in genere si cerca di rappresentare l’infinita misericordia di Nostro Signore, che, pur essendo molto giusta, è incompleta.
Nelle Litanie del Cuore di Gesù c’è la seguente invocazione: Cuore di Gesù, abisso di tutte le virtù. Ciò significa che la profondità delle Sue virtù è tale da costituire un abisso per gli uomini. Potremmo anche chiamarlo il cielo di tutte le virtù, considerando il cielo come un abisso verso l’alto.
Dipingere bellezze dimenticate
Quanto bello sarebbe se qualcuno dipingesse quadri che rappresentano altri episodi della vita di Cristo. Per esempio, la sua meditazione nel deserto, quando vi trascorse quaranta giorni di digiuno e preghiera. Si potrebbe anche immaginarLo in piedi su una roccia in mezzo a un paesaggio arido, con intorno solo vegetazione ordinaria e rada, in contrasto con la grandezza di quella scena; in lontananza, vaste distese coperte di sabbia bellissima che incontrano l’orizzonte, dove si può vedere un tramonto ardente, tagliato dal profilo di Gesù.
Oppure, ancora, si potrebbe fare un quadro di Cristo che compiace la Madonna. Se già Si era dilettato nella contemplazione dell’universo, quanto non gli sarà piaciuto fissare lo sguardo su Colei che era superiore a tutto l’universo! Quindi, rappresentarLo mentre guarda negli occhi di Maria Santissima piena di incanto per Gesù. Egli, a sua volta, pensa come Creatore: «Il mio capolavoro!»; e, come Figlio: «Mia Madre! Che perfezione!».
Cosa non daremmo in cambio della contemplazione di una scena del genere, anche solo dal buco della serratura? Dopo averla vista, perché continuare a vivere? Infatti se qualcuno mi dicesse: «Guarda il mare, che bello!», io, che amo tanto il mare, penserei: «Cosa vuol dire vedere il mare dopo aver visto Maria?».
Infine, come mi piacerebbe che si cercasse di rappresentare tutti gli stati d’animo di Gesù, perché non mi accontento di adorare e aderire solamente alla sua misericordia.
Considerazione di tutto ciò che ha fatto battere e vibrare il Sacro Cuore di Gesù
Inoltre, un’altra cosa che mi piacerebbe molto fare sarebbe una raccolta dei timbri della voce di Nostro Signore, per esempio, mentre insegnava. Essendo il Maestro Divino, quanta chiarezza, saggezza, profondità, vastità di orizzonti e semplicità saranno stati presenti nel suo timbro di voce!
Forse più ancora dei timbri di voce, cosa non si darebbe per avere la rappresentazione di alcuni sguardi di Gesù? Per citarne solo due. Com’era lo sguardo che Egli rivolse a San Pietro, al punto da convertirlo e farlo piangere amaramente di pentimento per tutta la vita? O l’ultimo sguardo che rivolse a sua Madre sulla Croce. Quanto affetto, apprezzamento e amore si saranno manifestati in quello sguardo! D’altra parte, quale sarà stato il Suo sguardo severo quando scacciò i mercanti dal Tempio; o il suo sguardo contrariato verso Pilato; o il suo sguardo di rimprovero verso Anna e Caifa?
Tutto questo insieme è contenuto nel Sacro Cuore di Gesù, nel quale si è ripercosso in modo tale che in ognuno di questi vari momenti deve aver pulsato in modo diverso, a volte più intensamente, a volte meno.
Perciò, per avere una vera devozione al Sacro Cuore di Gesù non basta conoscere e amare solamente uno di questi aspetti, ma è necessario avere una visione dell’insieme che esso rappresenta. Evidentemente, nessuno è in grado di farlo senza un aiuto speciale della grazia. Tuttavia, per coloro che aspirano e si sforzano di conoscere e amare il più possibile questo magnifico, indicibile e inestimabile insieme, questa grazia ad un certo punto arriverà. ◊
Estratto, con adattamenti, da:
Dr. Plinio. São Paulo. Anno XIV. N.155
(febbraio 2011); pp.10-15
Note
1 Santuario situato nel quartiere di Campos Elíseos, a San Paolo (Brasile).