Fondatore di un’era di fede

Distaccandosi dalla grande palude che era l’Europa del suo tempo, quel giovane patrizio si incamminò fino a una grotta del Lazio e lì iniziò una vita spirituale dai cui fulgori sarebbe nata la Cristianità medievale.

Un giovane con una vocazione straordinaria, proveniente da una famiglia senatoriale e patrizia, decise di donarsi completamente alla grazia divina. Questa gli disse nel profondo dell’anima: «Figlio mio, ti voglio e ti voglio interamente. Ti doni completamente?». Ed egli rispose: «Sì, mi dono completamente». Benedetto era il suo nome.

Per realizzare questo abbandono completo, però, l’esperienza gli mostrava che non poteva rimanere in quel mare magnum, un misto di barbarie e di cultura romana decadente, in cui si trovava l’Europa agli albori del VI secolo. Decise allora di ritirarsi, in solitudine, in un luogo solitario e inospitale, lontano da ogni contatto con gli uomini, dove avrebbe cercato di santificare la sua anima.

Probabilmente non immaginava che la Provvidenza lo chiamava ad essere l’albero da cui sarebbero spuntati tutti i semi che si sarebbero diffusi in Europa, dando origine alla Cristianità medievale. Si rannicchiava in quella solitudine per essere visto soltanto da Dio e dalla Madonna, affinché nulla potesse turbare la completa consegna di sé fatta a Loro. Lì si sarebbe dedicato alla devozione, alla meditazione e alla penitenza, affinché la grazia si impadronisse sempre più della sua persona.

Nella grotta di Subiaco, pensando solamente a Dio

Possiamo immaginare San Benedetto ancora giovane – come risulta che fosse – di bella presenza, ben dotato dei requisiti di una famiglia senatoriale e, distaccato da tutte queste doti naturali, lasciare la casa paterna per recarsi a Subiaco. Si trattava di una montagna, una specie di palazzo silvestre di grotte, una sopra l’altra, che formavano come dei piani. Ne scelse una, in quello che potremmo definire il piano terra, ed entrò.

Forse non lo sapeva, ma in una delle aperture superiori viveva ormai da molti anni, in completo isolamento, un altro eremita, molto più anziano di lui, San Romano. Costui vide arrivare il giovane asceta e riconobbe subito il segno di Dio in quell’anima. Non si parlavano, mantenendo ciascuno la propria esistenza raccolta.

San Romano si nutriva solo di un tozzo di pane che un corvo gli portava tutti i giorni. Ora, San Benedetto andò lì senza preoccuparsi del cibo, confidando in Dio. Ma, a partire da quel giorno il corvo cominciò a portare due pani. San Romano capì subito a chi era destinato il secondo; trovò una cesta e le legò attorno una corda con cui fece scendere la razione supplementare portata dall’uccello. Non appena vide la cesta e il suo contenuto, San Benedetto capì che da quel momento in poi la sua nutrizione sarebbe stata garantita consumando il pane miracolosamente inviato da Dio.

Il suo unico contatto con il mondo esterno era l’ora in cui vedeva la corda scendere. Aveva rinunciato a tutto, aveva dimenticato se stesso pensando solamente alle cose divine.

Nelle spine, la vittoria sulla carne

Da quanto mi è dato di comprendere, ammetto che San Benedetto, pur non essendo pienamente consapevole di ciò che sarebbe nato da Subiaco, si rendeva conto che in Cielo si svolgeva qualcosa di molto grande ogni volta che faceva un passo in avanti sul sentiero della fedeltà. Gli Angeli cantavano e i demoni ruggivano. Sentiva tutto l’odio che il demonio nutriva nei suoi confronti – e, pertanto, sentiva quanto gli stava nuocendo – nelle tentazioni cavillose con le quali in ogni momento, e in modo burrascoso, lo assediava, e a cui era costretto a resistere.

A un certo punto, senza alcuna colpa sua, le tentazioni contro la purezza aumentarono drammaticamente. Si trattava, ovviamente, della furia dello spirito impuro che si abbatteva sull’uomo così straordinario che era! Per vincere questi attacchi, San Benedetto si alzò e si gettò su un cespuglio irto di spine, in modo che la sensazione di dolore da esse provocata soffocasse i desideri malvagi della carne.

In memoria dell’atto eroico e vittorioso del loro fondatore, i benedettini hanno sempre conservato questo cespuglio con venerazione e cura straordinarie. Secoli dopo, in quel luogo andò a pregare il grande San Francesco d’Assisi, che si commosse alla vista di quegli arbusti spinosi. E per significare quanto il gesto di San Benedetto fosse gradito a Dio, il Poverello piantò nello stesso luogo un cespuglio di rose. Da allora, questo e il cespuglio di spine crescono insieme, intrecciandosi e perpetuando in quella grotta la dolcezza di San Francesco e la nobile austerità di San Benedetto.

Attraverso San Benedetto, Dio vegliava sull’Europa

E così, con successivi trionfi sul mondo, sul demonio e sulla carne, il giovane eremita conduceva la vita di virtù che avrebbe fatto della sua anima l’elemento modellatore di un’intera famiglia religiosa che si sarebbe estesa per i secoli a venire. Divenne un Santo di prima grandezza, il patriarca dei monaci d’Occidente, un uomo che pochi hanno eguagliato nella Storia della Chiesa, perché non è dato al genere umano generare tanti uomini di tale levatura spirituale.

Va notato che se San Benedetto si preoccupava solo di donarsi interamente a Dio, Dio si prendeva interamente cura del suo fedele servitore, in modo da vegliare, attraverso di lui, sull’Europa.

San Benedetto ebbe infatti un numero incalcolabile di figli spirituali, i religiosi benedettini, che si diffusero in tutto il continente ed ebbero un’influenza prodigiosa sulla formazione e la diffusione del Medioevo. Furono loro a lavorare per la conversione dei barbari, soprattutto nelle regioni più difficili dove il Cristianesimo non era penetrato.

Punto di partenza della Civiltà Cristiana

Ma come agivano i figli del santo patriarca?

La Provvidenza scelse San Benedetto come l’albero da cui sarebbero germogliati tutti i semi della futura Cristianità
“San Benedetto”, di Nardo di Cione – Museo Nazionale di Stoccolma

Essi si dirigevano verso i popoli infedeli, predicavano missioni e fondavano un monastero. Di solito esso veniva costruito in un luogo solitario. Lì iniziavano a cantare, a praticare la Liturgia, a distribuire elemosine ai poveri che si presentavano, ad abbattere foreste, a piantare colture regolari e a prosciugare paludi.

Per l’influenza che esercitavano sulle anime, soprattutto grazie alle loro virtù, intorno ai loro monasteri cominciarono a formarsi popolazioni e città. Quando rimanevano solitari, la gente dalle città andava a fare loro visita e la loro azione si irradiava a distanza, aiutando l’operato del clero secolare.

Avere un monastero benedettino nelle vicinanze divenne un elemento prezioso per qualsiasi villaggio. L’apostolato caratteristico dei benedettini, tuttavia, era quello che, da lontano, brillava con tutto il suo splendore, attirava con tutto il suo profumo, facendo in modo che i popoli venissero a cercarli. E questo è senza dubbio un bellissimo modo di operare a beneficio delle anime.

Dopo aver convertito l’Europa, i figli di San Benedetto, attraverso la congregazione di Cluny – che era una federazione di abbazie e monasteri benedettini – prepararono l’intera fioritura spirituale, culturale, artistica, politica e militare del Medioevo. La formazione del Medioevo non sarebbe stata possibile senza le idee, le massime e i principi irradiati da Cluny.

Ma Cluny, a sua volta, non sarebbe esistita senza Subiaco. Questo è stato il vero punto di partenza della Civiltà Cristiana. Essa nacque dal “sì” di quel giovane Benedetto che, distaccandosi dalla grande palude che era l’Europa del suo tempo, si incamminò fino a quella grotta del Lazio e lì iniziò una vita spirituale dai cui fulgori sarebbe nata la Cristianità medievale. ◊

Estratto, con piccoli adattamenti, da:
Dott. Plinio. San Paolo. Anno III.
N.24 (Marzo 2000); pp.12-17

 

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