Vangelo – Mercoledì delle Ceneri
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:1 «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli.
2 «Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3 Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,4 perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
5 «Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.6 Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
16 «E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17 Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto,18 perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6, 1-6.16-18).
I – Conversione: l’invito degli ambasciatori di Dio
La Liturgia del Mercoledì delle Ceneri apre il periodo penitenziale della Quaresima che la Santa Chiesa riserva ai suoi fedeli per un cambiamento di vita. Quel proposito di conversione che tante volte formuliamo all’inizio dell’anno e non portiamo a termine, può essere ripreso ora, con le grazie proprie di questo periodo.
Saggia com’è, la Sposa Mistica di Cristo desidera che le nostre anime siano purificate dalle affezioni accumulate nel corso dei mesi, in vista della Solennità più importante dell’anno, il Triduo Pasquale, in cui commemoriamo i misteri della Passione, Morte e Resurrezione del Signore. Su sua richiesta, lo Spirito Santo Si mostra particolarmente sollecito nel distribuire grazie di emendazione ai cattolici che vivono questi giorni con compenetrazione.
«Ricordati che sei polvere»
In questa celebrazione la Chiesa prescrive l’imposizione delle ceneri, completando in modo molto simbolico il digiuno che contraddistingue la Liturgia. L’atto ci ricorda che a nulla valgono all’uomo tutti i beni della terra se, per il normale processo della natura, egli dovrà morire e ritornare alla polvere da cui proviene, come sottolinea chiaramente una delle formule usate nella cerimonia: «Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris – Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai».
Le letture di questo giorno riuniscono alcune delle voci più autorevoli per parlare a nome di Dio, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, esortandoci a tornare al Signore, che, purtroppo, molte volte abbandoniamo per abbracciare il peccato…
«Ritorna a Me!»: il grido dei veri profeti
Nell’Antico Testamento osserviamo con frequenza come, dopo immense calamità causate dai peccati del popolo eletto, Dio lo chiami alla conversione attraverso i suoi autentici emissari, i profeti.
Così è accaduto al tempo di Gioele, quattrocento anni prima della venuta del Divin Redentore, il cui oracolo è raccolto nella prima lettura (cfr. Gl 2, 12-18). Il profeta previde tremendi castighi per Israele, gridando: «Suonate la tromba in Sion e date l’allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore, perché è vicino, giorno di tenebra e di caligine, giorno di nube e di oscurità» (Gl 2, 1-2).
La minaccia di un castigo imminente è sempre stata una risorsa usata da Dio nel linguaggio profetico per esortare al cambiamento di direzione. Si può constatare nelle Scritture quante volte l’ammonimento si è adempiuto perché, ignorando la voce dell’ambasciatore divino, gli ebrei hanno omesso le opere di conversione. Per fermare la punizione sarebbe bastato invece adottare la via della penitenza proposta: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti» (Gioele 2, 12). Quando c’è una chiara consapevolezza del peccato, del pentimento e della richiesta di perdono, il Signore, che è Misericordia, è disposto a tornare indietro sulle sue minacce e a dimenticare le colpe commesse. E lo fa anche in considerazione della propria gloria, poiché la sua eredità, che nel Nuovo Testamento è la Santa Chiesa, potrebbe subire un’infamia al dire degli empi: «Dov’è il loro Dio?» (Gl 2, 17).
Vediamo allora che nella penitenza si trova la soluzione a molti dei problemi che affliggono le nostre vite. Anche perché Dio non solo perdona coloro che si convertono, ma concede loro anche nuovi doni per operare una vera restaurazione nelle loro anime. Quando i passi divini si affrettano e sentiamo il suono del castigo che arriva, chiediamo, dunque, perdono al Signore con il cuore aperto alla correzione.
La Liturgia ci offre ancora l’esempio di uno dei più ammirevoli convertiti dell’Antico Testamento: Davide, che ascoltò il rimprovero di un altro ambasciatore di Dio, il profeta Natan, e fece ammenda. Il Salmo 51, noto come Miserere e da lui composto per chiedere il perdono di Dio per i peccati di adulterio e omicidio che aveva commesso, riflette l’atteggiamento perfetto dell’anima contrita: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (51, 12). Quanto è bella la storia di una persona che ha ascoltato la voce dei profeti e ha corretto la sua vita! Il suo nome, lungi dal diventare un segno di ignominia, si converte in un titolo di gloria: Re Davide, antenato del Messia!
Ambasciatore di Cristo tra gli uomini
Come avveniva nell’Antica Alleanza, nel Nuovo Testamento l’Apostolo San Paolo si presenta come ambasciatore di Dio, questa volta fatto Uomo: Nostro Signore Gesù Cristo. Alla luce del mistero della Redenzione, questa missione acquista altri fulgori, come ci mostra la seconda lettura: «Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor, 5, 20).
La riconciliazione tocca a chi è fuori dall’amicizia con Dio, ossia, a coloro che hanno commesso una qualsiasi colpa grave. Ad eccezione di Nostro Signore Gesù Cristo, della Madonna e certamente di San Giuseppe, chi non ha qualche motivo per battersi il petto? Dire il contrario sarebbe presuntuoso perché, anche se la nostra coscienza ci accusasse solo di piccole colpe, dobbiamo considerare che un solo peccato veniale – trattandosi di un’offesa a un Essere infinito – non può essere riparato nemmeno dai meriti della Santissima Vergine, sommati a quelli di tutti i beati e di tutti gli Angeli del Cielo. Così, affinché potessimo ricevere adeguatamente questa riconciliazione, il Padre ha consegnato suo Figlio alla morte di Croce per noi: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2 Cor 5, 21).
Infine, il Vangelo ci mette in guardia, per bocca dell’Ambasciatore Divino per eccellenza, contro gli emissari del demonio, la cui ipocrisia, pur rivestita di un’apparenza religiosa, mira ad allontanarci dal cammino della salvezza.
II – Orgoglio, arma degli ambasciatori del demonio
I versetti del Vangelo di questa commemorazione, già ampiamente commentati in un’altra occasione,1 mettono in evidenza la trilogia formata da elemosina, preghiera e digiuno, come opere pie che ci rendono graditi a Dio. In questo senso, l’attuale penitenza obbligatoria nella Quaresima si riduce a qualcosa di quasi simbolico: due giorni di digiuno – il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo – oltre all’astinenza dalla carne i venerdì. C’è però un digiuno di cui Nostro Signore parla in modo più particolare, una penitenza che non sarà mai abolita o mitigata, ma, al contrario, sempre più raccomandata, e che possiamo praticare con grande beneficio per le nostre anime. Questa riguarda i deliri propri dello spirito più che quelli della carne.
L’orgoglio: il fariseismo di tutte le epoche
Non c’è peccato che non abbia come radice l’orgoglio. E per combatterlo, bisogna porsi nella contemplazione di Dio: quanto più si ama il Signore, più si ricevono lumi per partecipare alla sua felicità. Questa realtà, così semplice da enunciare, costituisce la grande difficoltà dell’uomo su questa terra. Per questo motivo, coloro che vogliono servire il demonio nella sua opera di perdizione, e pertanto, si erigono a suoi ambasciatori, usano questo terribile vizio per condurre gli altri sulle strade che portano all’inferno.
Tale follia è stigmatizzata dal Divin Maestro nel sesto capitolo del Vangelo di San Matteo, quando descrive una serie di usanze praticate da coloro che Egli chiama «ipocriti», riferendosi, senza dubbio, agli ebrei che si lasciavano guidare dalla pratica religiosa tutta fatta di esteriorità della setta farisaica.
Non chieda un premio colui che l’ha già ricevuto
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 «Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli».
In questo primo versetto, Nostro Signore rimprovera coloro che praticano la giustizia per essere visti dagli altri. Tuttavia, nel capitolo precedente, che fa anch’esso parte del Sermone della Montagna, Egli legittima l’operato di coloro le cui buone azioni sono contemplate dagli altri: «Non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5, 14-15). A prima vista, sembra esserci una contraddizione nel discorso del Salvatore. In realtà, però, Egli insegna che non bisogna fare il bene solamente con questa finalità, ma soprattutto per lodare Dio. Il suo monito, pertanto, non obbliga a nascondere le proprie opere buone in una cassaforte; mette solo in guardia dall’errore dei farisei, che si erano ripiegati su se stessi fino a dimenticare il Signore.
Siccome la parola del Divin Maestro è eterna e si applica a tutti gli uomini, anche noi dobbiamo stare attenti a non praticare la giustizia con l’intento di metterci al centro dell’attenzione degli altri. Chi così procede, perde il merito e ha la sua ricompensa – cioè la soddisfazione di se stesso – già su questa terra. Di conseguenza, non potrà comparire al suo giudizio privato con la speranza di ricevere, come San Paolo, «la corona della giustizia» (2 Tim 4, 8).
Il pericolo dell’«affetto retributivo»
2 «Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3 Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra,4 perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
Per gli ebrei, come per molti uomini contemporanei, fare l’elemosina comportava un enorme sacrificio… Costava loro sottrarre dai propri beni per favorire il prossimo! Ed essi cercavano di compensare questa «grande rinuncia» con il premio del riconoscimento. Si suonavano le trombe e tutti si fermavano per acclamare il benefattore, che si gonfiava d’orgoglio. Ancora una volta Nostro Signore afferma che chi procede così è già pago, perché ha ricevuto come ricompensa l’incenso dagli altri, che, è triste notarlo, svanisce al primo vento che passa.
È necessario prendere in considerazione un’altra sfumatura. Esiste una tendenza nella natura umana, soprattutto in regioni in cui la comunicatività e la benevolenza nei rapporti sono più intense, che potremmo definire come desiderio di «affetto retributivo». Come uno che lavora per ricevere lo stipendio alla fine del mese, a volte siamo generosi con gli altri aspettandoci una reciprocità che, negata, produce un forte risentimento. In fondo, lo stesso rimprovero che Nostro Signore fa ai farisei ricade su questa deviazione egoistica dell’istinto di socialità.
Come ottenere la retta regolazione di questo istinto? Perfettissimo nella sua umanità, sebbene con una personalità divina, Nostro Signore Gesù Cristo è colui che ci risponde con il suo esempio. Senza perdere l’affetto per i suoi fratelli, nel corso di tutto il Vangelo Egli ci dà testimonianze di un rapporto intensissimo con il Padre che, poi, si traduce in un desiderio disinteressato di fare il bene al prossimo.
Il vuoto della preghiera fatta per se stessi
5 «Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.6 Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
I difetti farisaici di quel tempo, che includevano un ridicolo esibizionismo religioso, esigevano che Nostro Signore esortasse a pregare nella discrezione della loro camera e non in presenza di altri. Questo significa che i cattolici non possono pregare in un luogo pubblico? Ovviamente no. Questo passo ci insegna che devono essere evitati atteggiamenti, sia fisionomici che corporali, che inducano gli altri a credere che abbiamo una pietà eccezionale o che stiamo avendo un’estasi o una rivelazione…
Allo stesso tempo, criticando la preghiera ostentata caratteristica della razza di vipere farisaica, il Salvatore ci mette in guardia da un difetto cui tutta l’umanità è soggetta. Nella vita ordinaria non si addice al buon cattolico assumere degli atteggiamenti che comportino il sostituire Dio e il mondo soprannaturale con la propria persona. E qui torniamo al punto già enunciato: dobbiamo relazionarci in funzione di Dio, e Dio è un essere semplice!2 Il cattolico deve essere discreto, e non comportarsi come un bambino che agita continuamente il suo sonaglino perché gli altri gli prestino attenzione…
La vanità annulla il valore di qualsiasi sacrificio
16 «E quando digiunate, non assumete aria malinconica come gli ipocriti, che si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 17 Tu invece, quando digiuni, profumati la testa e lavati il volto,18 perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo tuo Padre che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
In un’occasione in cui il Dott. Plinio Corrêa de Oliveira conversava con l’Autore di queste righe di alcune emicranie di cui lo vedeva soffrire, gli consigliò che, quando ciò accadeva, non avrebbe mai dovuto lasciar trasparire il disagio nel suo volto o negli atteggiamenti esteriori. E illustrava questa raccomandazione con un’espressione pittoresca ma eloquente: «Quando una persona esce di casa, non lo fa indossando il pigiama». In effetti, sarebbe strano che qualcuno si alzasse al mattino e uscisse in pubblico con indosso i vestiti da notte. Un simile comportamento equivarrebbe, a livello fisico, al desiderio di attirare l’attenzione degli altri su situazioni interiori che devono essere mantenute nell’intimità dell’anima con Dio.
Questo era il pessimo costume dei farisei. Quando digiunavano, si mettevano la cenere in testa, si spettinavano la barba, camminavano scomposti e con una espressione drammatica, per far capire agli altri che stavano compiendo un sacrificio inconsueto.
Non è questo l’atteggiamento che l’apostolato contemporaneo richiede. In una società che disprezza il sacrificio, soprattutto se fatto per amore di Nostro Signore, coloro che rinunciano alle sollecitazioni del mondo devono mostrare la gioia di servire Dio, per evidenziare la vacuità dei beni terreni. E siccome oggi le persone si vestono in modo sempre più volgare – se ancora si vestono – e non sono solite apprezzare il valore dell’igiene, è opportuno unire la pulizia alla pratica della virtù, e manifestare la felicità dei figli della vera Chiesa nella fisionomia e nell’aspetto esteriore.
Le buone opere devono essere viste, affinché sia lodato colui che le ha ispirate
Come Nostro Signore ha voluto manifestarSi durante i tre anni della sua vita pubblica per compiere in pienezza la sua missione, così la Chiesa, che è una società visibile, deve risplendere davanti agli occhi di tutti. Contemplare i suoi splendori diventa occasione per gli uomini di ricevere grazie, prolungando l’azione di Gesù Cristo stesso sull’umanità. Ma questo «vedere» deve sempre avere Lui come centro e punto finale.
Per quanto ci riguarda, quando dobbiamo essere un punto di riferimento per gli altri, dobbiamo accettarlo solo come mezzo per far elevare le persone fino a Dio. Le immagini presentate dal Vangelo di oggi ci mostrano quanto l’orgoglio porti l’uomo a situazioni ridicole e ci invitano alla semplicità di cuore e a non attirare mai l’attenzione su noi stessi. Insomma, ci insegnano che chi cerca il suo tesoro sulla terra perde quello del Cielo, e chi rinnega i premi del mondo guadagna quelli del Cielo.
III – Lo scontro di due profetismi
Nel Vangelo di questo inizio di Quaresima, il Divin Maestro mette a confronto la falsa pietà e la falsa penitenza con quelle autentiche. Gli ipocriti ostentano elemosine, preghiere e digiuni in modo da piacere agli uomini e ricevono la ricompensa offerta dal mondo. Gesù, tuttavia, ci insegna che dobbiamo desiderare solamente la retribuzione proveniente da Dio, che ci viene promessa dai suoi legittimi ambasciatori.
Come ai tempi di Gioele, di San Paolo o di Nostro Signore, anche oggi il mondo è devastato da terribili catastrofi. Quando non si tratta della minaccia di cataclismi naturali inimmaginabili nelle loro forme più diverse, è il pericolo di una guerra mondiale pronta a diventare nucleare che si profila all’orizzonte. In mezzo a questa insicurezza, Dio ci offre ancora una volta in questa Quaresima un tempo favorevole per la conversione.
Le false promesse degli ambasciatori del demonio
Nell’anno 2023, questo periodo penitenziale si riveste di un carattere speciale. Come nelle epoche considerate nelle letture di questa Liturgia, ci viene data la possibilità di scegliere tra gli ambasciatori di Cristo, che ci presentano la via della salvezza, e i nuovi ambasciatori del demonio che, come i farisei del tempo di Nostro Signore, offrono soluzioni fondate sull’orgoglio e sulle risorse umane, il cui fine ultimo risiede su questa terra.
Le scoperte scientifiche si moltiplicano nel tentativo di rendere la vita umana più piacevole e di prolungarla all’infinito, come se la piena felicità si potesse trovare in questo mondo e non nel Cielo. Proliferano progressi tecnologici sempre più audaci e invasivi la cui accettazione richiede sempre una certa «consegna disinteressata», visti gli effetti deleteri per la salute degli onnipresenti dispositivi cibernetici. Si impone una nuova religione con una morale propria, i cui «atti di pietà» mirano solo a impressionare l’opinione dominante, in generale avversa alla Legge di Dio.
È diventato bello, ad esempio, chiedere perdono per i «peccati» commessi contro l’ambiente, a volte arrivando a estremi che feriscono il senso comune, o fare penitenza per atti considerati «inappropriati» dalla nuova morale, anche se questo significa rompere con la fedeltà all’insegnamento tradizionale della Santa Chiesa in materia di Fede e di costumi, mentre questa stessa fedeltà passa ad essere considerata rigidità e mancanza di carità perché non si accorda con il relativismo imperante.
Gli ambasciatori del demonio, mentre sottovalutano il valore dei Sacramenti, e quindi della grazia divina, sopravvalutano la scienza, che assicura di porre fine a certi mali, senza mai farlo interamente. A somiglianza del loro capo, essi non danno mai quello che promettono, ma tolgono quello che affermavano di garantire. Infine, in ogni epoca, il demonio crea un benessere pseudo eterno per l’uomo, che gli fa dimenticare Dio.
Che cosa offrono gli ambasciatori di Cristo?
In senso diametralmente opposto, gli ambasciatori di Nostro Signore Gesù Cristo, le cui voci risuonano in questa Liturgia che apre la Quaresima, esortano a una vera conversione del cuore, frutto di un sincero pentimento e di una fiduciosa richiesta di perdono, che si manifesta in atti di pietà e di penitenza autentici. Questi ambasciatori, come sottolinea San Paolo nella seconda lettura, danno tutto il valore alla grazia di Dio, esortando a non riceverla invano (cfr. 2 Cor 6, 1).
Occorre allora chiedersi: cosa ci impedisce di seguire il consiglio dell’Apostolo e di lasciarci riconciliare con Dio (cfr. 2 Cor 5, 20)? Diversi fattori, tra i quali: non riconoscere le proprie colpe; non considerare negli eventi che ci circondano la mano della Provvidenza che ci chiama a Sé; non vedere in Dio il Padre buono, compassionevole, paziente e pieno di misericordia, che ha acconsentito a sacrificare il suo Unigenito Figlio per redimerci (cfr. 2 Cor 5, 21); non cercare la salvezza nella grazia divina, concessa attraverso i Sacramenti. Insomma, ci trattiene il fatto di dare più ascolto agli ambasciatori dei demoni che a quelli di Nostro Signore.
Di fronte all’alternativa che ci viene presentata all’inizio di questo periodo penitenziale, ascoltiamo la voce di Cristo, che viene a noi attraverso i suoi ambasciatori. E se la nostra coscienza ci accusa di qualche colpa, facciamo una buona Confessione, che ci riconcili veramente con Dio e sia la svolta per tornare sulla buona strada, sulla quale persevereremo, con l’aiuto della grazia, da questo momento in poi. ◊
Note
1 Cfr. CLÁ DIAS, EP, João Scognamiglio. Il centro deve essere sempre occupato da Dio. In: Araldi del Vangelo. São Paulo. N.98 (febbraio 2010); pp.10-17. Dopo aver commentato dettagliatamente in questo articolo i dati esegetici relativi ai costumi stigmatizzati da Nostro Signore nel Vangelo del Mercoledì delle Ceneri, nelle presenti righe si presterà maggiore attenzione alle applicazioni morali utili per i nostri tempi.
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