Ospite benedetto, mediante il quale Dio ci fa visita

Coloro che accettano la sofferenza in modo consapevole e chiaro, con buona disposizione d’animo, trovano il segreto per penetrare nell’Anima di Nostro Signore Gesù Cristo e unirsi più strettamente a Lui.

Una volta mi sono imbattuto in un articolo di giornale il cui tema era la solitudine. Si trattava di un reportage su un uomo dall’aspetto poco affabile, che raccontava le sue preferenze e i suoi stili di vita, affermando di avere un tale gusto per il completo isolamento che aveva scelto di non sposarsi, perché provava orrore per la vita in comune. Conduceva la sua esistenza da solo, completamente chiuso in se stesso; non si interessava degli altri e si infastidiva quando qualcuno entrava in casa e toccava le sue cose…

Quando ho letto queste affermazioni, mi è venuta subito in mente Donna Lucilia. Che estremo opposto! A novantadue anni, si preoccupava delle persone che venivano a far visita a suo figlio, perché spesso dovevano aspettare per essere ricevute. Allora, per evitare che si affliggessero per l’attesa, le invitava a entrare nella stanza per far loro un po’ di compagnia e rendere l’attesa un po’ più dolce.

In cosa consiste la differenza tra questi due tipi di anime?

C’è un tipo di anima che vive chiusa in se stessa, senza preoccuparsi degli altri, cercando i piaceri della vita e rifuggendo qualsiasi sofferenza
“Il pittore”, di Aleksey Mikhailovich Korin – Galleria Tretyakov, Mosca

Due posizioni dell’anima di fronte al dolore

Se analizziamo il loro atteggiamento nei confronti del prossimo, ci rendiamo conto che esistono due posizioni distinte di fronte al dolore. La prima è quella di chi ha evitato la croce, perché la trova indesiderabile, e si è aggrappato al godimento della vita, cercando per sé soltanto ciò che è più piacevole; in altre parole, si tratta dell’egoista. La seconda, invece, è quella di chi ha abbracciato la croce per il bene del prossimo. Può darsi che in certi giorni Donna Lucilia si sentisse male o non avesse dormito di notte e avrebbe voluto rimanere ritirata, ma si sforzava di donarsi completamente agli altri, perché li amava come amava se stessa.

Guai a coloro che sono insensibili alle miserie e alle necessità dei loro simili, e cercano di sfuggire alla sofferenza che devono affrontare! Questi, se vivono in pace, sono degli illusi e l’illusione sarà la loro punizione. Presto o tardi la croce, più pesante, li inseguirà, e finiranno per dover portare sulla loro strada una croce più grande di quella che spettava loro. E dopo aver trascorso la vita tra dispiaceri e pseudo-gioie, molto probabilmente andranno nel luogo della sofferenza eterna, dove tutto è amarezza e folle frustrazione.

Qualcuno, tuttavia, potrebbe sollevare il seguente dubbio: basterà aver goduto di un certo benessere in questo mondo o di grande considerazione da parte degli altri per essere meritevoli di una pena infinita?

No. Il problema non sta nell’avere dei beni o buone condizioni. La ricchezza, l’abbondanza, la carriera, la gioia, il prestigio o l’ammirazione degli altri non sono di per sé elementi di condanna, ma al contrario doni di Dio, che si adattano perfettamente anche alla vita di un Santo. L’errore sta nel modo in cui una persona li apprezza e nell’intenzione con cui li cerca.

I voluttuosi, pieni di orgoglio e sensualità, che praticano l’ingiustizia e vivono nel godimento permanente disprezzando le leggi e ribellandosi a Dio, questi sì che diventano rei di maledizione, secondo le parole di Nostro Signore nel Vangelo: «Guai a voi, ricchi… Guai a voi che ora siete sazi… Guai a voi che ora ridete… Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi…» (Lc 6, 24-26). Volontariamente e consapevolmente, hanno sacrificato sull’altare dei profitti terreni tutti i beni eterni che avrebbero ricevuto nella patria celeste.

Quelli, invece, che accettano il dolore in modo consapevole e chiaro, con una buona disposizione d’animo, trovano il segreto per penetrare nell’Anima di Nostro Signore Gesù Cristo e, ogni volta che passano attraverso una sofferenza, sanno come essere più uniti a Lui.

Benefici della sofferenza

Ora possiamo chiederci perché il dolore sia così necessario. Una delle ragioni è che, senza di esso, la creatura dimentica facilmente la sua contingenza e si chiude in se stessa.

Molte, moltissime persone che godono di una vita piena di soddisfazioni e piaceri – soprattutto nel mondo moderno, dotato di macchine che funzionano in modo splendido e immerso nell’atmosfera interamente sfavillante delle trame cinematografiche e della mentalità dell’happy end si abituano all’idea che tutto vada per il meglio e acquisiscono la tendenza a considerarsi degli dei.

È quello che è successo agli angeli cattivi, che volevano impadronirsi del trono dell’Altissimo subito dopo la loro creazione (cfr. Is 14, 13-14), e anche ai nostri progenitori, quando volevano essere come dei (cfr. Gn 3, 5).

Un altro motivo per il quale la Provvidenza permette che noi siamo messi alla prova è perché non cadiamo nel relativismo e nella negligenza per mancanza di vigilanza. Poiché ci troviamo in una terra di esilio, dove dobbiamo praticare le virtù con vigore, Dio vuole che diventiamo combattenti saldi, per darci più meriti.

Nei Vangeli troviamo alcuni episodi che servono da lezione a questo proposito.

Altre anime, invece, sono generose nell’accettare il dolore e sanno unirsi più strettamente a Dio in ogni sofferenza che devono affrontare
Mons. João nel 1997

Gli “speroni” del dolore

San Matteo narra che, mentre Gesù era a tavola con pubblicani e peccatori, si presentò nella sala del banchetto il capo della sinagoga per parlare con Lui (cfr. Mt 9, 18). Ora, sappiamo che agli occhi dei farisei, rigidi formalisti, mescolarsi con i peccatori era qualcosa di ignominioso, ed essi rimproveravano Nostro Signore e gli Apostoli perché consumavano il pasto con gente del genere.

Cosa spinse quell’uomo di elevata condizione, la cui funzione era quella di istruire il popolo sul rispetto della Legge, a sfidare l’Opinione Pubblica e a cercare il Divin Maestro in tali circostanze? Non avrebbero potuto i farisei – suoi stessi subalterni! – accusarlo di trasgredire i costumi e le proibizioni morali? Non avrebbe dovuto stare alla porta e, con l’autorità che gli conferiva il suo alto titolo di preminenza, mandare un servo da Gesù per chiederGli di uscire? Egli affrontò l’ambiente circostante ed ebbe un dialogo con Nostro Signore nella sala del banchetto. Perché? Perché il suo cuore era trafitto da una crudele afflizione: la sua unica figlia, una bambina di dodici anni che egli amava, era appena morta.

È innegabile che possedesse una fede incipiente e che la fama dei numerosi miracoli del Salvatore, la sua luminosa santità e la sua attraente bontà lo avessero toccato interiormente. Ma furono la tempesta e la prova a consolidare la fiducia nella sua anima e a fargli superare gli scrupoli. Se non fosse passato attraverso quella vicissitudine, non si sarebbe prostrato davanti a Nostro Signore e non avrebbe implorato: «Vieni, imponi la tua mano sopra di lei ed essa vivrà!». La disgrazia gli fece il beneficio di togliere le squame dai suoi occhi e di aprirli.

Poco più avanti troviamo nel Vangelo la scena della donna emorroissa che, malata da dodici anni, ottenne da Nostro Signore la guarigione istantanea (cfr. Mt 9, 20-22). Il magnifico atto di fede da lei praticato ha segnato la Storia e beneficerà l’umanità fino alla fine del mondo.

Questa donna, che ha assunto un atteggiamento così eccellente, si sarebbe fatta strada a gomitate tra la folla e si sarebbe intrufolata in mezzo a quella moltitudine subendo lo stress di dover nascondere la sua situazione umiliante, secondo i concetti di quel tempo, se non fosse stato per il male che la stava torturando? Avrebbe toccato il mantello del Grande Taumaturgo con uno slancio sconosciuto, misterioso, quasi incomprensibile, che soltanto il dolore, la sofferenza e la contingenza ispirano?

In lei, come nel caso del capo della sinagoga, si sono sommati due valori: da un lato, la necessità e l’angoscia; dall’altro, la fede, la speranza e la carità. Tuttavia, quando queste sono volubili e imperfette, non c’è altra soluzione: è necessario lo stimolo del dolore per metterle in moto.

La sofferenza ci porta a cercare Dio

In questi due esempi comprendiamo a fondo il ruolo estremamente importante che la sofferenza svolge nella vita. Il dolore corregge i pensieri dissimulati, modifica i preconcetti e i criteri sbagliati; libera l’anima dall’amor proprio e dai falsi punti d’onore; fa evaporare la rabbia e i risentimenti, impostando lo spirito in consonanza con il vero obiettivo. Il dolore illumina l’uomo affinché abbia coscienza – e persino convinzione – della sua debolezza; e lo rende umile e lo aiuta ad acquisire serietà.

Quanto è meravigliosa la sapienza di Dio nella marcia degli eventi! Quanto beneficio ha portato il dolore sulla faccia della terra! Quante grazie sono state ottenute per suo tramite! Quante volte i tratti neri dell’insuccesso ben accettato si sono trasformati in luci dorate! E quante volte le fredde pietre di una cattedrale, di una chiesa o di un oratorio sono state riscaldate dalle ginocchia di chi soffre! Se non ci fossero patimenti, queste pietre sarebbero frequentate, di tanto in tanto, appena per una rapida genuflessione…

Il dolore è un ospite benedetto, un elemento di amicizia, un dono di Dio attraverso il quale Egli molte volte ci fa visita. Fa sì che l’uomo pieghi le ginocchia e rimanga lì, stia lì, implori lì, si rivolga al Signore lì, e lì si unisca a Lui. Il dolore aiuta la creatura a elevare le mani in cerca del Creatore e a congiungerle per chiederGli di strapparla dalla sua insufficienza e condurla dove l’amore perfetto la porterebbe.

Un mezzo per provare il nostro amore

La sofferenza ha un ruolo essenziale nella vita dell’uomo perché, oltre a purificarlo e ad elevarlo, lo spinge a cercare il suo Creatore
Resurrezione della figlia di Giairo e guarigione dell’emorroissa – Chiesa di Sant’Andrea, Nuthurst (Inghilterra)

Qui troviamo un’altra ragione per cui Dio ci manda difficoltà: darci l’opportunità di dimostrarGli attraverso atti e gesti concreti, praticati con distacco e totale disinteresse, che Lo amiamo veramente.

L’amore è al di sopra di tutto, è più forte del dolore. Un grande amore vale più di un grande dolore.

Il nostro amore deve essere tale che le malattie, i rovesci della fortuna, le calunnie, i maltrattamenti, il lavoro eccessivo, i dispiaceri e i contrattempi nelle opere di apostolato, le ingratitudini, le aridità spirituali… insomma, tutti i sacrifici che ci vengono mandati dalla mano della Provvidenza, noi li riceviamo volentieri, con coraggio e grandezza d’animo, perché così crescerà la nostra intimità e l’unione d’animo con Nostro Signore Gesù Cristo e si rafforzeranno il nostro entusiasmo e il nostro fervore.

Ecco il pilastro della nostra vita interiore: una rinuncia completa, piena di felicità; un tormento delizioso; dramma e grazia che si intrecciano, che si ravvivano a vicenda invece di escludersi! Ciò che importa è avere questo amore, sapendo consultare, prima di tutto e in ogni circostanza, gli interessi divini al di sopra dei nostri capricci e delle nostre preferenze, disposti a lasciarci crocifiggere se necessario. Avendo amore, non ci mancherà nulla e conquisteremo la gloria.

Il Figlio ha sofferto perché il Padre voleva darGli tutta la gloria

Prima di tutto, dobbiamo tener presente l’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo. Durante la sua vita terrena Egli trovò tra il popolo ebraico una totale mancanza di riscontro all’annuncio del Regno di Dio, che più tardi culminò nella Passione.

In questo supremo frangente Egli affrontò i dolori della flagellazione, della coronazione di spine e della perforazione dei chiodi. Fu trasformato in un verme, e tante erano le ferite aperte nel suo Corpo che si potevano contare tutte le sue ossa (cfr. Sal 22, 7.18). Dopo la morte, Lo trafissero con una lancia, così che non rimase sangue nel suo Corpo.

E ci fu un tormento ancora peggiore di quelli fisici: Egli fu presentato davanti a quella plebaglia, ai soldati e ai carnefici come un criminale, caricato dei peccati di tutta l’umanità. E Gesù accettò questi insulti come meritati, senza alcun reclamo o rivolta, senza alcuna manifestazione di insoddisfazione.

Se ogni suo gesto, anche solo un battito di ciglia, ha dimensioni infinite e sarebbe sufficiente a compensare tutte le colpe commesse contro Dio, perché allora ha sopportato in Sé tutte queste piaghe? Perché Lui, il Supremo Bene, ha dovuto consegnare il suo Sangue e morire sulla Croce tra due ladroni? Perché il Padre non Si è commosso quando ha sentito la preghiera che l’Unigenito Gli ha rivolto nella sua natura umana: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14, 36)?

Perché, essendoSi il Figlio incarnato per operare la Redenzione, il Padre voleva per Lui, in quanto Uomo, tutti i meriti. Ed è passando attraverso quest’ora terribile, in cui il potere delle tenebre sembrava vincere, e sentendoSi abbandonato da Dio stesso, che Egli, dopo il grido trionfale «Consummatum est», avrebbe raggiunto la gloria piena e totale.

Si realizzavano allora le sue parole divine: «È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 23-24). Dalla semente dell’isolamento, dell’insuccesso e dell’apparente fallimento, lanciata nelle profondità della terra, sarebbero germogliate nel corso dei secoli vere e proprie meraviglie di santità, che sono, però, timidi dilucoli di quelle che devono ancora venire in futuro.

Abbracciamo la Madonna per soffrire con gioia

Quando ci imbattiamo nelle difficoltà e sentiamo gli artigli della sofferenza che ci attanagliano; quando ci colpiscono le catastrofi, i drammi e le tragedie; quando non abbiamo successo; quando incontriamo ostacoli di natura naturale e preternaturale, non dobbiamo spaventarci o sorprenderci.

Lungi dall’assumere di fronte al dolore un atteggiamento codardo, cadendo interiormente nello scoraggiamento o addirittura nella mormorazione contro Dio, inginocchiamoci e benediciamo tutti i mali e le sofferenze che ci vengono addosso. Seguendo l’esempio del Redentore, chiediamo la forza di sorbire fino all’ultima goccia dal calice del dolore e di avere il coraggio del cavaliere che, senza mai tirarsi indietro, porta la sua croce fino alla fine.

Nella misura in cui la terra, la polvere e le tenebre cadranno su di noi, potremo germogliare e partecipare a questa fecondità di Nostro Signore e alla capacità divina che Egli ha dato a Maria, ai piedi della Croce, di fruttificare come Madre. A Lei, piccola semente a prima vista insignificante, così sbiadita e poco commentata, è stata affidata l’umanità intera come figlia, nella persona di San Giovanni (cfr. Gv 19, 26).

Abbracciamo la Madonna per soffrire con gioia e raggiungere presto le ricchezze e le meraviglie soprannaturali, accanto alle quali conosceremo «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» (Ef 3, 18) dell’amore di Gesù. Che la nostra volontà si innamori della croce, in una mistica ebbrezza d’amore! Che sia d’ora in poi la nostra bandiera, il vessillo che ci eleva e ci inebria fino all’ultimo respiro della vita!

La previdente bontà di Dio sarà più chiara quando saranno passate le nubi della tempesta e vedremo il firmamento limpido di una notte stellata, o meglio, il cielo azzurro di un sole che comincia a sorgere per l’instaurazione del Regno di Maria! ◊

Estratti da esposizioni orali
proferite tra il 1990 e il 2009

 

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