Una fisionomia uguale non la conosco. Ce l’ho proprio davanti a me e, mosso dall’inveterata abitudine di osservare e spiegare tutto per uso personale, la fisso con attenzione. E improvvisamente mi rendo conto che entro dentro di lei.
Sì, questa fisionomia unica sembra emergere dal suo volto e soprattutto dagli occhi. Mi avvolge nell’atmosfera che crea. Allo stesso tempo, mi invita ad entrare profondamente nel suo sguardo.
— Che sguardo! Nessun altro è così limpido, così franco, così puro, così accogliente. In nessuno si penetra con tanta facilità. Tuttavia, nessuno presenta anche profondità che si perdono in un così lontano orizzonte.
Quanto più ci si addentra in quello sguardo, tanto più esso ci attira verso un indescrivibile apice interiore e profondo.
— Che apice? – Lo stato d’animo che sarei tentato di definire è colmo di paradosso, se la parola paradosso, di cui tanto si abusa nel linguaggio corrente, non morisse sulle mie labbra come irrispettosa.
Ogni perfezione – dice la Scuola – risulta dall’equilibrio di contrari armonici. Non è affatto un equilibrio precario tra contraddizioni flagranti – e, dicendo questo, penso a questa povera pace, sclerotica e vacillante, che il mondo contemporaneo cerca di conservare a costo di tante concessioni e di tante vergogne –, ma un’armonia suprema tra tutte le forme del bene.
È proprio questo vertice, nel quale tutte le perfezioni si coniugano, che vedo sorgere sul fondo di questo sguardo. Un vertice incomparabilmente più alto di quello delle colonne che sostengono il firmamento. Un vertice dall’alto del quale un imperativo cristallino, categorico, irresistibile esclude ogni forma di male, per quanto lieve e piccolo possa essere.
Qualcuno potrebbe passare la vita intera camminando dentro questo sguardo, senza mai toccare questo vertice. – Una camminata inutile? – No. Dentro questo sguardo non si cammina, si vola. Non si passeggia, si fa un pellegrinaggio.
Quella montagna sacra, somma di tutte le perfezioni create, il pellegrino, senza mai raggiungerla, la vede sempre più chiaramente nella misura in cui vola verso di Lei.
Nel corso di questo pellegrinaggio dell’anima, lo sguardo nel quale vola non si limita più ad avvolgerlo. Lo penetra. Quando il pellegrino chiude gli occhi, crede di vederlo come una luce nel profondo di se stesso. Ho l’impressione che, se durante tutta la vita sarà fedele a questo volo, quando chiuderà definitivamente gli occhi, questa luce brillerà nel profondo della sua anima per tutta l’eternità.
Lo sguardo è l’anima del volto. – Che volto, questo che ho davanti a me! Ad uno sciocco, potrebbe sembrare inespressivo. A un osservatore capace manifesta una pienezza d’anima più grande della Storia, perché tocca l’eternità. Più grande dell’universo, perché rispecchia l’infinito.
La fronte sembra contenere cogitazioni che, partendo da un presepe e finendo su una Croce, abbracciano l’intera vicenda umana.
Tutto il viso, il naso, la cui linea possiede uno charme «più bello della bellezza» come disse il poeta, le labbra silenziose, ma che dicono tutto in ogni momento, sembrano lodare Dio in ogni creatura in base alle caratteristiche di ciascuna e invocare Dio per ogni miseria come se partecipasse al dolore provocato dalle peculiarità di ciascuna di esse… Queste labbra hanno un’eloquenza in confronto alla quale quella di Demostene o quella di Cicerone non sarebbero che chiasso. – Cosa si può dire della pelle: nivea? – L’aggettivo dice tutto e non dice niente. Infatti, per descriverla, bisognerebbe immaginare una nuvola che lasciasse brillare nelle sue profondità, con infinita discrezione, tutte le sfumature dell’arcobaleno, e con ciò stesso che ispirasse nell’anima di chi la contempla tutto il fascino della purezza.
Sì, ho peregrinato in questo sguardo così pieno di sorprese. E, inaspettatamente, mi rendo conto che lo sguardo peregrina allo stesso tempo dentro di me. Pellegrinaggio povero e misericordioso, non da splendore a splendore, ma da mancanza a mancanza, da miseria a miseria. È solo aprendomi ad esso che, per ogni difetto, mi offre un rimedio, per ogni ostacolo un aiuto, per ogni afflizione una speranza.
Ma, dopo tutto, chi ho davanti a me? – Una statua di legno come tante altre, senza alcun valore artistico particolare.
È solo fissandola, però, che, senza muoversi, senza la minima trasformazione, questa statua comincia a far emergere tutti questi splendori.
— Come? – Non lo so nemmeno io. È la statua della Madonna di Fatima che ha versato lacrime a New Orleans1, Stati Uniti, a causa dei peccati degli uomini e dei castighi che così accumulano su di sé.
Ovunque vada, la statua attira le folle. Insisto, lettore. Se credi nella descrizione che ho dato, ti invito a tua volta a fare questo magnifico pellegrinaggio dentro lo sguardo della Vergine.
Prega allora per te stesso. Prega per la Santa Chiesa turbata e tormentata come non mai. E per questo enorme Brasile di Maria.
Estratto da: Folha de São Paulo.
São Paulo. Anno LVI. N.17.389
(12 novembre 1976); p.3
Note
1 Nel luglio 1972, una statua pellegrina della Madonna di Fatima, scolpita sotto la guida di Suor Lucia, veggente delle apparizioni, versò lacrime per tredici volte nella città di New Orleans, negli Stati Uniti. Il 21 dello stesso mese, il giornale Folha de São Paulo pubblicò un’impressionante fotografia della statua nei cui occhi si poteva distinguere nitidamente la luminosità delle lacrime, una delle quali pendeva già dalla punta del naso, in procinto di cadere. Questo fatto fu l’inizio di un’intensa relazione tra il Dott. Plinio e quella rappresentazione della Madonna che da quel momento in poi avrebbe chiamato la Sacra Statua.