Chi passeggia per i vicoli tortuosi di Roma ha, a volte, l’impressione di visitare una necropoli. Nell’antico Campo Marzio, per esempio, spicca l’imponente mausoleo di Augusto, che conserva le spoglie della dinastia giulio-claudia. Oltre le mura romane ci sono le catacombe, piene di reliquie di martiri. Nelle chiese, tombe di Papi, Cardinali e diversi chierici si contendono lo spazio con le immagini sacre.
Una caratteristica comune degli epitaffi, sia di patrizi che di ecclesiastici, è l’esposizione del loro lignaggio, delle loro funzioni e onorificenze, così come la data della loro morte. Questa antica forma di necrologio poteva variare molto nelle dimensioni, a seconda della fama – reale o presunta – del defunto.
Comunque, in contrasto con i caffè alla moda di Via Veneto, spunta la Chiesa della Madonna della Concezione dei Cappuccini. Lì è possibile visitare l’impressionante cripta dell’Ordine, dove sono conservate le ossa di oltre quattromila religiosi. Il loro epitaffio comune è impresso nella famosa frase che accoglie il visitatore: «Io sono stato quello che tu sei; tu sarai quello che io sono» (cfr. Sir 38, 22). Ognuno di noi è, infatti, un «cadavere differito»…1
Nella navata del tempio, di fronte all’altare maggiore, è sepolto il Cardinale Antonio Barberini, OFM Cap. Sulla sua lapide, tuttavia, non sono incise le numerose funzioni che esercitò nella Curia Romana, né i titoli nobiliari della sua influente famiglia. In realtà, egli scelse il più universale degli epitaffi: «Hic iacet pulvis, cinis et nihil – Qui giace polvere, cenere e il nulla». Eppure, anche questo messaggio è effimero, perché, come segnala Ausonio, «i monumenti si deteriorano e la morte arriva anche per i marmi e i nomi».2
L’iscrizione si ispira all’esortazione liturgica propria del Mercoledì delle Ceneri: “Ricordati, o uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai” (cfr. Gn 3, 19). Infatti, i vivi sono polvere tanto quanto i morti. Padre Antonio Vieira dirà che i primi sono polvere sollevata, i secondi sono polvere caduta. Alcuni sono polvere che cammina; altri, polvere che giace. La vita è un soffio e la morte è soltanto l’istante tra questi due tipi di polvere…
Inoltre, siamo e saremo cenere. Non solo in quanto residuo materiale, ma anche come colore che porta quel nome. Cenere in questa vita, perché la nostra esistenza è spesso offuscata da nuvole plumbee. Cenere perché i nostri capelli stanno ingrigendo, a dimostrazione che non vivremo per sempre.
Cenere saremo, perché la morte ci spoglia di tutti i colori. A sette palmi dalla terra, non si distinguerà più la porpora cardinalizia dal bianco della tonaca pontificia. Non esisterà più il colore delle insegne politiche, militari o nobiliari. Tutto sarà cenere… i vermi non fanno distinzione tra le persone.
Infine, siamo e saremo niente. Come insegna San Giovanni della Croce,3 ogni creatura comparata a Dio è nulla. Ogni bellezza, grazia, bontà e saggezza di questo mondo sono vacue quando abbinate ai predicati della divinità. La libertà del mondo è schiavitù; le sue delizie, tormenti; le sue ricchezze e la sua gloria sono somma povertà e miseria, se accostate alla divina sublimità. Né portiamo via nulla da questa vita, se non la vita che conduciamo… Tutto passa in questa vita, ma nulla passa nei resoconti da fare.
In questo senso, l’epitaffio del porporato italiano non ci invita al nichilismo, ma all’umiltà. Infatti, è significativo che la parola umiltà derivi dal latino humus – terra –, che, a sua volta, dà origine anche alla parola uomo. Infatti, l’uomo è stato formato dalla terra (cfr. Gn 2, 7) e ad essa ritornerà.
Tuttavia, questo non è il suo fine. San Paolo insegna che, se moriamo in Cristo, risusciteremo in Lui (cfr. Rm 6, 8). Pertanto, quando la tromba suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili (cfr. 1 Cor 15, 52), si potrà proclamare al contrario: «Ricordati, o polvere, che tornerai ad essere uomo. Ricordati, o cenere, che riprenderai la gamma colorata di doni che hai perduto in Paradiso. Ricordati, infine, o nulla, che sarai tutto, purché tu sia unito all’Onnipotente». ◊
Note
1 PESSOA, Fernando. Mensagem. São Paulo: Companhia das Letras, 1998, p.37.
2 AUSONIO. Epigrammata, n.37, 9-10. In: GREEN, R. P. H. (Ed.). The Works of Ausonius. Oxford: Clarendon, 1991, p.76.
3 Cfr. SAN GIOVANNI DELLA CROCE. Subida del Monte Carmelo. L.I, c.4, n.3-8. In: Obras completas. 2.ed. Madrid: BAC, 2005, pp.264-266.