Conoscere l’amore incommensurabile del Buon Pastore per ognuna delle sue pecore è il miglior incentivo per intraprendere con entusiasmo le vie della santità.
Vangelo – IV Domenica di Pasqua
In quel tempo, disse Gesù: 11 “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16 E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. 17 Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10, 11-18).
I – Gesù, il Re buono
La Liturgia di questa domenica mette in evidenza la figura del pastore, creata a un certo punto dal Divino Artefice per simboleggiare Se stesso.
Attraverso le labbra del profeta Ezechiele, l’Altissimo aveva denunciato i cattivi pastori d’Israele, quei monarchi e sacerdoti che cercavano il loro vantaggio personale a spese del gregge loro affidato: “Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza” (34, 4). Di conseguenza, minacciò di castigarli e, come vendetta santa e riparatrice, promise: “Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (34, 11).
Questa bella profezia si realizzò pienamente, ma in modo inatteso, superando tutte le aspettative. Infatti, la casa di Giuda perse il potere regale a partire dall’esilio babilonese, tempo durante il quale risuonarono con forza gli oracoli di Ezechiele; i cattivi pastori furono deposti dal Signore dei Signori fino all’arrivo del vero Figlio di Davide, il liberatore di Israele.
Questo futuro Pastore si sarebbe distinto per la sua bontà, ossia, per il suo Cuore traboccante di benevolenza verso le pecore. E così fu! Chi avrebbe potuto immaginare che la Seconda Persona della Trinità avrebbe assunto la nostra natura nel grembo verginale di Maria Santissima per portare la salvezza al genere umano sviato dal peccato? Sì, il Verbo Eterno fatto carne Si sarebbe costituito Pastore d’Israele, come aveva annunciato Ezechiele: “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio” (34, 15).
Narrano i Santi Vangeli che, mentre percorreva le città e i villaggi, Gesù sentiva compassione per le moltitudini che Lo seguivano, “perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (Mt 9, 36). Poi, come un Pastore pieno di dolcezza, delicatezza e amore, insegnò loro molte cose. Questo affetto generoso del Signore si manifestò innumerevoli volte nel corso della sua vita pubblica, culminando nel perdono concesso ai suoi carnefici sulla Croce.
Ecco il Monarca tenerissimo, forte e insuperabile inviato dal Padre per redimerci e per dare riposo a coloro che si battono per la propria santificazione: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11, 28).
Questo Re, che ci ha amato fino alla fine, ci viene presentato dal Vangelo della quarta Domenica di Pasqua in tutto il suo splendore, in tutta la sua grazia e in tutto il suo incanto.
II – “Io sono il Buon Pastore”
San Giovanni, nel capitolo 9 del suo Vangelo, narra la guarigione del cieco dalla nascita, episodio éclatant e non privo di certe note di ironia che portarono all’estremo l’umiliazione dei farisei. Nel capitolo seguente, vediamo il Signore che spiega al suo uditorio la ragione di tali miracoli operati a favore delle pecore più bisognose. Agendo così, dava al pubblico che Lo accompagnava gli elementi sufficienti per considerare le colossali differenze esistenti tra Lui, il Buon Pastore, e i mercenari, ossia, i membri del Sinedrio.
Il Buon Pastore e il mercenario
In quel tempo, disse Gesù: 11 “Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12 Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13 egli è un mercenario e non gli importa delle pecore”.
DefinendoSi il Buon Pastore, il Signore Si paragona ai guardiani del gregge, la cui missione era quella di trovare pascoli fertili e di organizzare la difesa contro gli assalti dei predatori. Si trattava, senza dubbio, di gente abituata al sacrificio e alla vigilanza, ma nessuno di loro, per quanto zelante, sarebbe stato disposto a morire per le pecore! Gesù è dunque un pastore mai visto prima, sui generis, che porta il suo amore per il gregge fino al punto di dare la vita per proteggerlo.
Il mercenario, invece, cerca solo il proprio interesse. In questo modo, non appena avverte il pericolo all’orizzonte, abbandona le pecore che ha in custodia ed esse finiscono per essere uccise e disperse.
Occorre anche capire a chi fa riferimento il Divin Salvatore quando menziona i lupi. Per lupo si può intendere, in primo luogo, il demonio, paragonato da San Pietro al “leone ruggente” che “va in giro, cercando chi divorare” (1 Pt 5, 8). Anche gli eretici o i falsi profeti sono equiparati a tali bestie, perché straziano il gregge con le loro menzogne e con le loro seduzioni. E ad essi si aggiungono i tiranni che, attraverso persecuzioni cruente o psicologiche, cercano di condurre i fedeli all’apostasia. Il Signore ha resistito a tutte queste specie di lupi, e per vincerli definitivamente, ha dato la sua vita come Agnello Immacolato.
Un amore divino, che eccede tutti i limiti
14 “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15 come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore”.
Gesù Si rallegra nel ripetere un ritornello che risuona con tutta la forza e la dolcezza della parola divina: “Io sono il Buon Pastore”. Nei versetti precedenti Lo era in virtù del contrasto con il mercenario. Ora, però, Egli Si presenta come tale per il fatto di avere con le pecore una relazione simile a quella esistente tra Lui e il Padre.
Infatti, il Signore conosce il Padre in quanto Verbo di Dio e in quanto vero Uomo. Nel primo caso, Egli è l’immagine perfetta del Padre, Lo abbraccia e lo comprende completamente, amandoLo con vincoli di carità infinita. Considerato nella sua umanità, unita sostanzialmente alla divinità, l’affezione di Gesù Cristo per il Padre è la più grande di tutta la Storia. Nessun essere umano ha potuto conoscere e amare la Prima Persona della Santissima Trinità con tanto ardore, con tanta devozione e con tanta tenerezza come Lui. Ed è in virtù di questo amore che il Figlio, essendosi incarnato nel grembo verginale di Maria, ha voluto immolarSi sul Calvario.
In modo analogo, il Buon Pastore conosce le sue pecore ed esse Lo conoscono. Attraverso il dono della grazia, concesso alla creatura razionale dalla Redenzione, si stabilisce una corrispondenza tutta divina tra il Figlio Unigenito e i suoi fratelli. Egli ci conosce alla luce dell’amore che il Padre ha per ciascuno dei suoi figli di adozione, e noi Lo conosciamo in funzione della sua divinità e della sua immolazione sulla Croce. Tale relazione supera di gran lunga il rapporto esistente tra semplici uomini, per quanto perfetti o intelligenti siano. Si tratta di un vero commercio celeste, che comincia su questa terra e raggiungerà la pienezza quando vedremo Dio faccia a faccia.
Ora, un simile amore deve tradursi in opere e, per questo motivo, Gesù torna a dichiarare: “Io do la mia vita per le pecore”. Generato da tutta l’eternità dal Padre, il Figlio fu mandato nel mondo per riscattare gli uomini dalla schiavitù del peccato e dalla morte. Il prezzo da pagare era alto: versare il suo Sangue sulla Croce, fino all’ultima goccia. Obbedientissimo nella sua umanità, Egli si fece carne e portò il suo amore alla manifestazione più estrema, consegnandoSi per noi come vittima propiziatoria.
Consideriamo l’affetto sconfinato che il Buon Pastore ha per noi, comprendiamo la radicalità del suo sacrificio in nostro favore e percepiamo chiaramente che amore con amor si paga, come spiega San Giovanni nella sua prima epistola: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (3, 16). Ecco l’orizzonte che questi versetti ci svelano: corrispondere all’infinita carità del Signore, disponendoci a cercare il bene del nostro prossimo fino a dare la vita per lui. Solo chi possiede tali disposizioni d’animo può dire di conoscere il Buon Pastore, perché partecipa all’amore che Lo caratterizza, il quale oltrepassa tutti i limiti concepibili.
Le pecore ascolteranno la voce del loro Pastore
16 “E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”.
Nostro Signore profetizza la futura conversione dei pagani annunciando l’esistenza di altre pecore che, in futuro, saranno ugualmente guidate da Lui, costituendo un solo gregge sotto l’egida di un unico Pastore.
Si tratta di un gregge enorme, descritto nel Libro dell’Apocalisse in questi termini: “Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: ‘La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello’” (7, 9-10).
E noi? Saremo in questa moltitudine? Avremo la gioia di celebrare il nostro trionfo insieme al Signore e ai Beati? Per ottenere tale grazia – la più grande di tutte! – c’è una sola condizione: ascoltare la voce del Pastore. Ma cosa significa questo? Significa prestare attenzione agli insegnamenti divini del Redentore e metterli in pratica con fedeltà e perfezione.
In questo modo, la nostra filiazione divina raggiungerà il suo culmine nell’eternità e godremo di una gioia senza fine che non può essere espressa nel nostro povero vocabolario umano. San Giovanni lo annuncia così: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! […] Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Gv 3, 1-3).
Viviamo con lo sguardo interiore fisso sulla gloria del Buon Pastore nel Cielo. Allora riceveremo la forza di essere fedeli in questa vita e, uniti all’immenso gregge di Cristo, canteremo per sempre la gloria delle sue vittorie e delle sue conquiste.
L’amore e l’obbedienza del Buon Pastore
17 “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18 Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio”.
Il Signore prosegue annunciando la sua Risurrezione: “Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”. Nessuno sarebbe in grado di infliggere la morte a Gesù senza il suo consenso. Perciò, sebbene il sacrificio della Croce sia stato il frutto di un complotto degli agenti del male, non avrebbe mai avuto luogo se non fosse stato un disegno divino, come rivela il Salvatore: “Nessuno me la toglie [la vita], ma la offro da Me stesso”.
Questa determinazione volontaria di affrontare i dolori della Passione e il dramma della morte per amore del Padre e degli uomini ci pone, ancora una volta, davanti all’affetto incommensurabile del Buon Pastore. Gesù continua a ripetere le idee in una cadenza quasi poetica, al fine di renderci consapevoli delle verità che enuncia. Si tratta di un mistero di dono di sé e di benevolenza così profondo che ci è difficile comprenderlo, e per questo è necessario insistere, per consentire al cuore dell’uomo di aprirsi sempre di più alla dilezione divina.
Tuttavia, così come la morte è da Lui accettata volontariamente, la resurrezione è ugualmente voluta: “Ho il potere di offrirla [la vita] e di riprenderla di nuovo”. E così è accaduto nell’aurora radiosa della Domenica di Pasqua. Nella Risurrezione di Gesù è annunciata la nostra stessa risurrezione, qualora saremo determinati a dare la vita per i nostri fratelli, come afferma San Paolo: “Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con Lui” (Rm 6, 8).
Infine, il Signore dichiara categoricamente: “Questo comando ho ricevuto dal Padre mio”. La vita dell’Agnello Divino, immolato sull’altare della Croce, fu una vita fatta interamente di obbedienza. Poiché conosceva il Padre come nessun altro, Egli sapeva misurare fino a che punto il peccato Lo oltraggiasse; d’altra parte, comprendeva il tesoro straordinario che gli uomini avevano perso con la loro ribellione. Ebbene, il suo amore per il Padre e la sua totale unione di volontà con Lui Lo spinsero a dare Se stesso per riparare la gloria di Dio oltraggiata e riscattare i figli di Adamo dalle grinfie del demonio. L’obbedienza divenne la misura del suo amore, e lo sarà anche per le sue pecore: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14, 21).
III – Ricettacoli della carità infinita di Gesù
Il Vangelo di questa 4a Domenica di Pasqua ci presenta, alla maniera di sfavillanti fuochi d’artificio, la bontà sconfinata di Nostro Signore Gesù Cristo, che supera ogni capacità immaginativa. Nel Buon Pastore vediamo l’espressione suprema del dono di Sé e dello zelo per le pecore portati fino alla morte, e alla morte di Croce.
Tuttavia, un dubbio potrebbe un po’ offuscare quest’orizzonte così grandioso e così benefico per le nostre anime: l’idea che il Signore sia morto per una moltitudine immensa, di cui noi costituiamo soltanto una parte minuscola. Niente di più falso. Per confutare questa obiezione abbiamo la parabola della pecorella smarrita (cfr. Lc 15, 4-6), in cui risulta evidente l’amore di Gesù per ognuno di noi considerato individualmente. In essa il Buon Pastore lascia il suo gregge nell’ovile e parte alla ricerca della pecorella smarrita. Quando la trova, la carica sulle spalle fino all’ovile e, in seguito, chiama i suoi amici per festeggiarne il ritrovamento.
In realtà, se è vero che il Signore è morto per tutti gli uomini, sarebbe ancora più esatto affermare che Egli ha dato la sua vita specificamente per ognuno di noi. Così si esprime in merito il Dott. Plinio Corrêa de Oliveira, maestro spirituale dell’Autore di queste righe, in una preghiera composta a conclusione di un ritiro spirituale: “O Signore, Buon Gesù! Dall’alto della Croce poni su di me il tuo sguardo di misericordia, che sembra desiderare che, da parte mia, anch’io alzi il mio per considerarTi! Sì, per considerarTi nella Tua infinita perfezione e nell’abisso insondabile dei dolori che soffri… per me. So bene infatti che tutti questi dolori, Signore, Tu li soffriresti solo per me o per qualsiasi altro uomo, se fosse il solo a dipendere da questi patimenti per salvarsi”. E San Paolo, con la sua incisività abituale, lo afferma in modo perentorio: “Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2, 20).
Questa intima convinzione di essere stato oggetto diretto e personale dell’amore redentore di Gesù deve segnare il nostro cuore così profondamente da trasformarci completamente. Così intimamente convinti, saremo capaci di tutti i sacrifici e di tutte le rinunce per corrispondere ai torrenti della sua carità infinita!
Il modo migliore per comprendere fino a che punto questo amore è diretto ad ogni anima in particolare è contemplare il mistero dell’Eucaristia. Dopo la consacrazione delle specie del pane e del vino, in esse non si trova più la sostanza di questi alimenti, ma il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo, nostro Signore. E nel banchetto divino Egli Si dona interamente, in un incendio d’amore, stabilendo una relazione esclusiva con colui che si comunica. È nella ricezione del Pane degli Angeli che si evidenzia nella nostra vita la cura del Buon Pastore per le sue pecore.
Accorriamo alla Sacra Mensa con fede fervente e cuore ben disposto, al fine di adorare il nostro Redentore per l’incommensurabile affetto di cui ci colma. Diventeremo, così, degne pecore dell’ovile dell’unico e vero Pastore delle nostre anime, consapevoli di essere amati da Lui, ognuno, con una dilezione sconfinata. ◊