Se la più alta vocazione dell’arte consiste nell’unire il celeste al terreno, la famosa pala dell’Annunciazione del Beato Angelico conservata al Museo del Prado di Madrid è certamente uno dei tentativi più riusciti di corrispondere a questo appello.
Solitamente considerata nella storia dell’arte come un’opera di transizione tra la pittura gotica e quella rinascimentale, può suscitare polemiche bizantine se si cerca di inserirla in un periodo particolare basandosi esclusivamente sulla tecnica e sull’interpretazione, senza tener conto dello spirito che le ha dato vita.
Desiderio di trascendenza e sublimità
È innegabile che questo dipinto rifletta una visione del mondo squisitamente medievale. La “cornice a piattaforma” su cui poggia, formata da altre cinque scene bibliche che completano la pala d’altare, indica che fu concepita come un insieme narrativo a servizio del culto divino, finalità realizzata fin tanto che rimase nella cappella del Convento di San Domenico, nella città di Fiesole.
Spinto dalla sua fervente religiosità e dal suo ragionamento analogico, l’uomo medievale vedeva nell’iconografia finestre aperte su altre realtà, cercando di rappresentare gli esseri soprannaturali nella loro stessa atmosfera. Non volendo limitarsi a ritrarre la nostra semplice materialità, ricorrevano a sfondi dorati e persino alla modifica intenzionale della prospettiva naturale, al fine di portare lo spettatore fuori dal contesto terreno e di elevarlo alla dimensione spirituale. Nel loro santo anelito di rendere sensibile ciò che è visibile solo agli occhi dell’anima, creavano ambienti sublimi, adornati in modo da favorire la preghiera e la trascendenza.
L’intero dipinto dell’Annunciazione è illuminato da questa pietà piena di innocenza, che cerca – attraverso forme belle e ordinate, colori puri e vivaci – di indicare i suoi archetipi. Trasmette con chiarezza un messaggio volto a esaltare virtù soprannaturali evidenti; ad esempio, il raccoglimento e la semplicità di Maria Santissima, o il rispetto e l’umiltà dell’Arcangelo Gabriele.

La mentalità medievale che l’ha ispirato è caratterizzata anche dal fatto che favorisce una grande abbondanza di simboli che non possiamo commentare senza andare oltre le limitate dimensioni di questo articolo. Ci limiteremo a citare l’evidente presenza della Santissima Trinità sotto diverse figure e la notevole esegesi atemporale che consiste nel sostituire l’«hortus conclusus» (Ct 4, 12) – tradizionalmente rappresentato nel periodo gotico come un giardino circondato da mura, a simboleggiare il grembo purissimo della Vergine scelta per essere la Madre del Creatore – con un altro giardino, quello dell’Eden, da cui furono espulsi i nostri progenitori (cfr. Gn 3, 23).
Questo dettaglio indica come la perdita del Paradiso Terrestre a causa del peccato originale, fatto separato da millenni dal tema principale dell’opera, costituisca, agli occhi acronici di Dio, un’unica scena, “atto” principale della trama della Storia. Quella “felix culpa” che ci ha meritato un così grande Redentore – come canta il Preconio Pasquale – ha fatto sì che l’Eterno irrompesse nel tempo e Si incarnasse nel grembo verginale di Maria Santissima, il nuovo e insuperabile Paradiso di Dio e degli uomini (cfr. Lc 1, 26-38).
Con lo “scambio dei Paradisi”, questa magnifica pala d’altare annuncia la vittoria sul peccato, il trionfo di Dio nella Storia attraverso la piena unione del creato con il divino
Estetica naturalista e realtà pragmatica
Troviamo qualcosa di molto diverso in un’opera non molto conosciuta dell’umanista per antonomasia: Leonardo da Vinci. In essa possiamo apprezzare una tecnica squisita, enfatizzata da un’eccellente composizione, con grande protagonismo delle leggi della prospettiva geometrica e atmosferica, che il rinomato genio del Rinascimento tanto si preoccupò di perfezionare.

Analizzando l’anatomia delle figure, così come i tessuti, ci rendiamo conto che nella ricerca del realismo Da Vinci presta un’enorme attenzione al dettaglio, ottenuta avvalendosi dei più raffinati effetti offerti dalla pittura a olio. Stiamo parlando di un artista che cercò di svelare i segreti e i fondamenti della natura, ma che – per soddisfare le sue inquietudini pragmatiche, senza voler andare oltre – rinunciò implicitamente a percepire e a trasmettere il nettare della realtà: la super-realtà che risiede in ciò che non vediamo e che, sostenendo il visibile, si lascia apprezzare soltanto da uomini pii, che comprendono un linguaggio che è al contempo teologico e mistico (cfr. Lc 10, 21).
Nell’Annunciazione del maestro rinascimentale, vediamo rappresentata una donzella piena di sé, e non di grazia, autosufficiente e compiaciuta, che sembra cercare nel suo libro una conoscenza misteriosa che sia fonte di prestigio o di potere, e non qualcosa che alimenti le sue speranze messianiche con umile ammirazione. Il sublime – secondo la definizione del Dott. Plinio Corrêa de Oliveira – ha un grado di bellezza la cui proporzione è superiore all’uomo e, pertanto, manifesta maggiormente Dio. Ed è per questo che l’artista, se sceglie di prescindere dal messaggio teocentrico, indipendentemente dalla tecnica o dallo stile, si convertirà nel migliore dei casi in un “sapiente” di questo mondo, ignaro della chiamata a essere interprete del sublime.
Se qualche lettore giudica soggettive queste osservazioni, lo invitiamo a rispondere con sincerità alla seguente domanda: qualcuno, contemplando questo dipinto, potrebbe sentirsi naturalmente ispirato a pregare o a meditare con pietà sui sacri misteri?
Paradiso di piaceri, separato dal Cielo
Chiunque analizzi minuziosamente la mentalità che sta alla base di questa e di molte altre opere del Rinascimento, come l’Annunciazione del paradigmatico Sandro Botticelli, si renderà conto che in questo periodo si verificò nello spirito umano una rottura che preannunciava la perdita della fede nell’Occidente Cristiano.

L’Umanesimo preconizzava il tragico divorzio tra fede e ragione, poesia e logica, spirito e materia. Non più preoccupato di unire il Cielo e la terra, cercò di costituire in questo mondo un paradiso di piaceri che esaltasse la bellezza fisica, relegando il soprannaturale a un piano secondario, togliendo dal centro la Croce di Cristo e intronizzando l’uomo, aprendo la strada alla più sofisticata mondanità e a ogni tipo di disordini.
Anche nei temi sacri, abbandonati a poco a poco dai nuovi pagani, la tendenza degli artisti era quella di dipingere le scene così come erano percepite dai sensi corporali, in una mera osservazione empirica, scartando gli imponderabili percepibili solo dai sensi spirituali e, allo stesso tempo, sostituendo la devozione con il dramma e l’elevazione soprannaturale con un’estetica superficiale. Per questo motivo, siamo portati a riconoscere nella “moda naturalista” dell’arte il punto di svolta in cui si trova il germe del cartesianesimo che, a sua volta, avrebbe portato al positivismo e al materialismo scettico attualmente regnante.
Il Dott. Plinio spiegava1 che è proprio dello spirito cattolico comprendere e unire contrari armonici, come, per esempio, la forza e la delicatezza, la logica e la fantasia;2 ed è proprio della Rivoluzione, al contrario, detestare e contestare tutti gli equilibri, producendo manifestazioni esagerate di logica senza fantasia – naturalismo – e di fantasia senza logica – caos relativista.
Questa affermazione apparentemente audace si comprende meglio se si analizzano esempi successivi di questo processo di decadenza apparentemente senza fine, incredibilmente capace di creare estremi sempre più insolenti di bruttezza, follia e indecenza.
Deliri surreali e contestatari
Le immagini seguenti potranno, eventualmente, offendere la sensibilità del lettore per il contrasto che presentano. Sono alcuni esempi di pittori moderni di fama, anche se non hanno ancora raggiunto gli estremi impresentabili di alcune scuole più recenti.
Da un lato, abbiamo la turpe burla di un eccentrico, Salvador Dalí, frutto del positivismo, dottrina che distorce l’immaginazione dell’uomo. Questa potenza dell’anima – che dovrebbe servire per conoscere le realtà più elevate attraverso esercizi di trascendenza metafisica – si converte in un pantano di incubi e deliri surreali rappresentati fedelmente da questo autoproclamato “allucinogeno”3 in altri suoi dipinti di fama mondiale.

Abbandonando il naturalismo che ancora regnava nella pittura accademica, come per effetto di un pendolo, molti “artisti” come lui si impegnarono a distorcere la realtà con una visione sempre più sovversiva, rivoluzionaria e contestataria della vita e delle leggi della pittura tradizionale. Diventò prassi comune ricercare forme sfigurate e tormentose, contrastanti con l’equilibrio, la pace e la serenità manifestati dall’arte propria di quei secoli impegnati nella pratica della virtù più che nel raggiungimento del successo materiale.

Così, nella moltitudine di movimenti avanguardisti esistenti, il mondo fu testimone di come i pittori sembravano competere per scioccare in modo più eclatante, contestare e, se possibile, riformare secondo il proprio criterio l’ordine estetico dell’universo, avendo come messaggio generico il confuso “annuncio” di un futuro oscuro e caotico.
Relativismo e irrazionalità
La conseguenza della perdita della fede è l’oscuramento del lume della ragione, motivo per cui nell’epoca moderna sono sorti movimenti “intellettuali” e “artistici” capaci persino di mettere in discussione l’esistenza di una verità assoluta.
Separando nell’arte l’idea e l’oggetto materiale, sono caduti nel soggettivismo della cosiddetta “arte concettuale”, in cui ha importanza solo il presunto messaggio da trasmettere, ad esempio attaccando una banana alla parete di un museo – opera battuta all’asta per oltre sei milioni di dollari nel novembre 2024 – o esponendo qualsiasi altro oggetto, anche il più ripugnante, alla contemplazione dei visitatori. D’altra parte, si sono moltiplicate le scuole che, bandendo le idee, sostengono che è l’oggetto fisico a dover essere considerato apprezzabile in sé, come espressione “naturale” e appassionata dell’artista – naturalmente, senza essere vincolato a regole estetiche.
Il concetto di arte, brutalmente sezionato, ha perso il suo significato come tecnica o mestiere, e ancor meno come fattore di miglioramento culturale. Il nobile linguaggio dei colori e delle forme – che per secoli è servito a trasmettere messaggi di grande trascendenza, elevando le civiltà – è stato addirittura abolito in nome dell’“espressionismo astratto”, nel quale le idee non hanno più importanza: l’unico messaggio identificabile è la giustificazione della spontaneità e dell’atto irrazionale dominato dal sentimento dell’artista. L’obiettivo non è più quello di presentare verità spirituali attraverso la bellezza, ma avere un impatto sui sensi corporei attraverso la trasmissione di un’emozione fugace, soggettiva e inutile.
Si è soliti dire che, indipendentemente dal tema scelto, il pittore ritrae sempre la propria anima. Nei dipinti moderni, tuttavia, sembra che il mezzo abbia sostituito il fine: il pittore non si sforza più di utilizzare le sue qualità per interpretare il suo ambiente, ma di usare l’ambiente per proclamare il suo ego.
Conferma questa affermazione l’autore dell’opera N. 5, 1948, Jackson Pollock, con le sue stesse parole: «Per me l’arte moderna non è altro che l’espressione degli obiettivi contemporanei dell’epoca in cui viviamo. […] Tutte le culture hanno avuto mezzi e tecniche per esprimere i loro obiettivi immediati: i cinesi, il Rinascimento, tutte le culture. Quello che mi interessa è che oggi i pittori non hanno bisogno di cercare un soggetto al di fuori di sé. La maggior parte dei pittori moderni lavora a partire da una fonte diversa, lavora a partire dall’interiorità».4 Con queste premesse, diventa più facile ipotizzare il motivo per cui questo controverso dipinto sia stato venduto nel 2006 all’incredibile prezzo di centoquaranta milioni di dollari… battendo il record storico di inversione di tendenza su un’opera d’arte vigente fino a quel momento.

È realmente il caso di chiedersi: cosa ci trovavano di così prezioso gli acquirenti in un dipinto del genere? Cercavano forse, come in passato, un messaggio rafforzato da una soddisfazione estetica? Li ha indotti ad acquistarlo un mero snobismo o una banale speculazione commerciale? Volevano un’apologia plastica di uno stile di vita anarchico ed egualitario? Erano allucinati dallo spirito che animava Pollock o semplicemente cercavano un ritratto fedele della loro stessa mentalità?

Soprattutto, dobbiamo chiederci se questa forma d’arte, che in teoria ha soppresso il messaggio ideologico, non abbia smesso di essere un annuncio per essere una costatazione del caos che regna nelle menti e nelle anime di coloro che abbracciano questa forma di “espressione”. Non è anche questa una forma di “annuncio”, ma al contrario?
* * *
Alla luce di tutto ciò, bisogna ricordare che la via per recuperare la saggezza sta nell’ammirazione di ogni forma di autentica pulcritudine, soprattutto della più bella ed elevata di tutte, che è la santità, annuncio della felicità eterna. ◊
Note
1 Cfr. CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Oração e holocausto simbolizados na lamparina. In: Dr. Plinio. São Paulo. Anno XXVII. N.320 (nov. 2024), p.33.
2 Nel senso usato dal Dott. Plinio, la parola fantasia non si riferisce alla fantasmagoria o alla fantasticheria illusoria della mente, ma piuttosto alla capacità creativa dell’immaginazione.
3 «Non ho mai preso droghe perché io sono la droga. Che mi prendano pure, sono io la droga, sono io l’allucinogeno», affermò Dalí in un’intervista.
4 ROSS, Clifford (a cura di). Abstract Expressionism: Creators and Critics. An Anthology. New York: Harry N. Abrams, 1990, p.140.