Preziosi insegnamenti della Resurrezione

Dalla gloriosa Resurrezione di Cristo rifulgono gioie consolatorie e si evincono importanti lezioni per l’uomo fedele, alla luce delle quali egli deve indirizzare il suo cammino verso la beatitudine eterna.

Durante i tre giorni in cui Nostro Signore giacque morto, agli occhi di coloro che Lo conoscevano, ad eccezione di Maria Santissima, tutto sembrava irrimediabilmente perduto. «È morto!» pensavano. «Hanno fatto scorrere la pietra sull’ingresso del sepolcro e le tenebre hanno avvolto il Suo corpo. È finita, non resta più niente!».

Eppure, rimaneva tutto. La storia della salvezza degli uomini era appena iniziata.

Gioia indicibile delle anime dei giusti

Appena l’Anima santissima di Nostro Signore si separò dal Corpo sacro, apparve alle anime dei giusti che aspettavano – alcune da millenni – la Redenzione e l’apertura delle porte del Cielo.

Immaginiamo, se possiamo, l’indicibile felicità delle anime di Adamo ed Eva, nel constatare che, finalmente, il peccato da loro commesso, il peccato che aveva provocato la decadenza del genere umano, era stato perdonato e la loro colpa redenta! E allo stesso modo, il giubilo unico dell’anima di tanti altri giusti, patriarchi e profeti dell’Antico Testamento lì riuniti, che acclamarono l’apparizione di Chi li liberava da quella lunga attesa.

Questo incontro fu, senza dubbio, uno spettacolo straordinario.

«Cristo nel Limbo», del Beato Angelico – Museo di San Marco, Firenze

Nei momenti peggiori, rifugio presso Maria Santissima

Per gli Apostoli e i discepoli che erano fuggiti durante la Passione, però, questa realtà spirituale e gloriosa era completamente sconosciuta. Al contrario, erano abbattuti, prostrati, inorriditi, incapaci di vedere una via d’uscita dalla drammatica situazione in cui si trovavano. Ognuno si nascose come meglio poté, sperando che l’effervescenza degli eventi si sarebbe spenta e la normalità della vita quotidiana li avrebbe fatti cadere nel dimenticatoio.

Ma altri erano i disegni della Provvidenza. Possiamo congetturare che ci sia stato un misterioso lavorio della grazia a suggerire allo spirito di ognuno di loro il desiderio di cercare la Madonna e di rifugiarsi sotto il suo manto materno. Al Suo fianco – possiamo sempre supporre – erano piangenti e contriti, ancora incerti rispetto al futuro. Solo la Madre di Dio era fiduciosa e pregava, sicura del trionfo del suo Divin Figlio sulla morte.

In un modo altrettanto soprannaturale, la fedeltà di Maria Santissima cominciò a contagiare la tiepidezza degli Apostoli e a risvegliare nell’anima di ciascuno di loro sensazioni, speranze e percezioni della meravigliosa grazia che era in serbo per loro. Nel cuore di quegli uomini, nel mezzo della tempesta della prova, una nuova convinzione e un nuovo spirito stavano mettendo radici.

In altre parole, nel peggiore dei momenti, per il fatto di essersi rifugiati ai piedi della Madonna, ricevettero grazie inestimabili che li prepararono a tutto ciò che presto sarebbe loro accaduto. Uniti intorno alla Vergine Fedele, erano nelle condizioni di credere nella Risurrezione e di prepararsi alla grandiosa missione alla quale erano stati chiamati.

Si confermano le speranze più audaci

La mattina del terzo giorno, il Divin Redentore risorge glorioso, e – come suggerisce l’opinione di pii autori, sebbene i Vangeli non lo raccontino – appare in primo luogo alla Madonna, inondandoLa di consolazione e felicità. Egli era tutto uno splendore e spargeva intorno a sé una luminosità celeste pari alla luce di mille soli!

Poi appare a Maria Maddalena e agli altri discepoli. La Resurrezione era ormai un fatto incontrovertibile. Gli Apostoli credono ed esultano. Tutto ciò che era un vicolo cieco divenne percorribile, e tutte le speranze, le più ardite, furono confermate nel trionfo del Cristo risorto. Una vittoria che rappresentava allo stesso tempo l’affermazione di tutta la Sua vita e un immenso perdono per i suoi discepoli.

A partire da questo momento essi subirono un’autentica conversione. Trascorso qualche altro giorno, avrebbero ricevuto l’infusione dello Spirito Santo, diventando ognuno un pilastro di amore e fedeltà su cui si sarebbe eretto l’edificio della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana.

L’uomo fedele non si lascia abbattere dalle difficoltà

Dalla Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo e dagli aspetti ad essa connessi – sia quelli che l’hanno preceduta, che quelli che l’hanno seguita – si possono dedurre alcuni insegnamenti.

L’uomo plasmato secondo lo spirito del Divin Maestro, l’uomo che corrisponde alle grazie ottenute dalle suppliche di Maria, l’uomo fedele che obbedisce interamente alla volontà di Dio e ha l’anima plasmata dalla dottrina della Chiesa, quest’uomo possiede una tempra tale che nessuna sciagura, rovina o tristezza, nessuna persecuzione o miseria può abbatterlo e deviarlo dal suo cammino apostolico.

Al contrario, quanto maggiori sono le difficoltà, più grande è il suo coraggio; quanto più inaspettate e impreviste sono le sconfitte, più grande è la sua volontà di reagire; quanto più terribili sono i colpi che riceve, più grande è la sua determinazione a continuare a lottare.

E se dovesse succedergli di cadere prostrato durante la lotta, Dio – che veglia su di lui e sulla sua discendenza spirituale – farà in modo che dal suo esempio e dal suo insegnamento, nascano discepoli che continuino la sua opera. E così, di gloria in gloria, di passo in passo, ma di dolore in dolore, di sofferenza in sofferenza, è possibile innalzare opere di una grandezza e bellezza inimmaginabili.

Ma queste opere, nate dal dolore, dalla fedeltà, dalla costanza e dal dono completo di sé affinché Dio possa eseguire la sua volontà sugli uomini, nascono anche dalla devozione alla Madonna e dall’unione con Lei, che ci procura grazie indicibilmente forti, profonde e tonificanti.

Giubilo che ci prepara a nuove prove

Un’altra lezione che ci viene data dal trionfo di Nostro Signore sulla morte viene dalle gioiose celebrazioni che ce lo ricordano.

Il fasto della splendida e brillante Liturgia della Veglia Pasquale e della Domenica di Risurrezione ci parlano di tutte le gioie legittime e anche gloriose di cui l’uomo fedele può godere nella sua vita.

Tuttavia, la missione e le opere degli Apostoli convertiti ci insegnano che non c’è gioia che possa distogliere l’uomo fedele dal cammino del dolore; non c’è felicità che possa ammorbidirlo, che possa sottrarlo all’austerità con cui percorre il cammino verso il Cielo. Al contrario, poiché questa gioia è il frutto dello Spirito Santo, l’uomo esce da questo giorno di festa e di gloria più disposto a sopportare tutte le umiliazioni, tutti i dolori e tutti i sacrifici necessari per la grande battaglia di salvezza che avrà davanti a sé.

Per questo motivo, mentre celebriamo la Pasqua di Risurrezione, dobbiamo chiedere a Gesù Risorto, per intermediazione della Madonna, la forza d’animo affinché nessuna prova ci porti alla disperazione, né gloria alla mollezza.

Così, attraverso questo cammino di sofferenze senza scoraggiamenti e di trionfi senza rilassamenti, arriveremo finalmente alla gloria imperitura del Cielo, per la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo, nostro Redentore, e per le suppliche di Maria Santissima, nostra Madre, alle cui preghiere dobbiamo così tanto.

Estratto, con piccoli adattamenti, da:
Dr. Plinio. San Paolo. Anno XI. N.120
(Marzo 2008); pp.18-21

 

La vittoria della Chiesa immortale

La regolarità con cui i vari cicli dell’anno liturgico si susseguono nel calendario della Chiesa, imperturbabili nella loro successione, per quanto gli eventi della Storia umana varino intorno ad essi e gli alti e bassi della politica e delle finanze continuino la loro corsa disordinata, è un’affermazione della maestà celeste della Chiesa, che è al di sopra del turbinio capriccioso delle passioni umane.

Cristo risorto – Cattedrale di Santa María la Real, Pamplona (Spagna)

Al di sopra, non però indifferente. Quando i giorni dolorosi della Settimana Santa trascorrono in periodi storici tranquilli e felici, la Chiesa, come Madre sollecita, se ne serve per ravvivare nei suoi figli l’abnegazione, il senso della sofferenza eroica, lo spirito di rinuncia alle banalità quotidiane e la completa devozione a ideali degni di dare un senso più alto alla vita umana. «Un senso più alto» non è propriamente esatto. È l’unico senso che la vita ha: il senso cristiano.

Ma la Chiesa non è Madre solo quando ci insegna la grande e austera missione della sofferenza. È Madre anche quando, nei momenti estremi del dolore e dell’annichilimento, fa brillare davanti ai nostri occhi la luce della speranza cristiana, aprendo davanti a noi gli orizzonti sereni che la virtù della fiducia mette negli occhi di tutti i veri figli di Dio.

Così, la Santa Chiesa si serve delle gioie vibranti e castissime della Pasqua per far brillare davanti ai nostri occhi, anche nella tristezza della situazione contemporanea, la certezza trionfale che Dio è il Signore supremo di tutte le cose, che il suo Cristo è il Re della Gloria che ha vinto la morte e ha schiacciato il demonio, che la sua Chiesa è Regina di immensa maestà, capace di risorgere da tutte le macerie, di dissipare tutte le tenebre e di brillare del più luminoso trionfo proprio nel momento in cui sembrava attenderla la più terribile, la più irrimediabile delle sconfitte.

La gioia e il dolore dell’anima derivano necessariamente dall’amore. L’uomo si rallegra quando ha ciò che ama e si intristisce quando ciò che ama gli manca.

Nostra Signora della Resurrezione – Casa di Formazione Thabor, Caieiras (Brasile)

L’uomo contemporaneo riversa tutto il suo amore nelle cose di superficie, e per questo solo gli eventi di superficie – dalla superficie più vicina alla sua minuscola persona – lo emozionano. Così, lo impressionano soprattutto le sue disgrazie personali e superficiali: la salute cagionevole, la situazione finanziaria vacillante, gli amici ingrati, le promozioni che tardano, ecc. In realtà, però, tutto questo è secondario per il vero cattolico, che si preoccupa soprattutto della maggior gloria di Dio e quindi della salvezza della propria anima e dell’esaltazione della Chiesa.

Per questo, la sofferenza maggiore del cattolico deve consistere nella condizione attuale della Santa Chiesa.

Senza dubbio, questa situazione presenta molto di consolante. Tuttavia, sarebbe un errore negare che l’apostasia generale delle nazioni continui ad un ritmo spaventoso; che la tendenza al paganesimo cresca vertiginosamente nelle nazioni eretiche o scismatiche che conservano ancora qualche residuo di sostanza cristiana. Nelle stesse fila cattoliche, accanto a una promettente rinascita, si può osservare la progressiva marcia del neopaganesimo: si corrompono i costumi, si limitano le famiglie, pullulano le sette protestanti e spiritiste.

A dispetto di tanti motivi di tristezza, di motivi che forse fanno presagire una catastrofe non lontana per il mondo intero, la speranza cristiana continua. E la ragione di questo ci viene insegnata dalla stessa festa di Pasqua.

Quando Nostro Signore Gesù Cristo morì, gli ebrei ne sigillarono il sepolcro, lo presidiarono con soldati e pensarono che tutto fosse finito.

Nella loro empietà, essi negavano che Nostro Signore fosse il Figlio di Dio, che fosse capace di distruggere la prigione sepolcrale in cui giaceva, che, soprattutto, fosse capace di passare dalla morte alla vita. Eppure, tutto questo avvenne. Nostro Signore risuscitò senza alcun ausilio umano e sotto un suo comando la pesante pietra del sepolcro si spostò leggera e rapida, come una nuvola. Ed Egli risorse.

Così anche la Chiesa immortale può essere apparentemente abbandonata, disprezzata, perseguitata. Può giacere, apparentemente sconfitta sotto il peso sepolcrale delle prove più pesanti. Essa ha in sé una forza interiore e soprannaturale che le viene da Dio e che le assicura una vittoria tanto più splendida quanto più inattesa e completa.

Questa è la grande lezione di oggi, la grande consolazione per gli uomini retti che amano la Chiesa di Dio sopra ogni cosa:

Cristo è morto ed è risorto.

La Chiesa immortale risorge dalle sue prove, gloriosa come Cristo nell’alba radiosa della sua Risurrezione.

Tratto da: Pasqua. In: Legionario.
San Paolo. Anno XVIII. N.660
(1º aprile 1945); p.2

 

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