Operando la miracolosa guarigione dell’emorroissa e la resurrezione della figlia di Giairo, Gesù insegna che le grandi grazie sono concesse a quelli che hanno più fede.
Vangelo – XIII Domenica del Tempo Ordinario
In quel tempo, 21 essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi 23 e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo; vieni a imporle le mani perché sia salvata e viva”. 24 Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25 Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: 28 “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. 29 E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. 30 E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. 31 I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: ‘Chi mi ha toccato?’”. 32 Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.
35 Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. 37 E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. 38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39 Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. 40 E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. 41 Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. 42 E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. 43 E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare (Mc 5, 21-43).
I – Il racconto di San Marco
L’Evangelista San Marco si distingue per la semplicità delle sue descrizioni. Parco nei commenti, con un linguaggio diretto e che poco concede alle risorse letterarie, sviluppa la narrazione in uno stile conciso, come già abbiamo avuto occasione di osservare in articoli precedenti. Tuttavia, nei versetti raccolti dalla Liturgia di questa XIII Domenica del Tempo Ordinario, tali caratteristiche non gli impediscono di tracciare con estrema vivacità ed eloquenza le opere meravigliose di Gesù, sorprendendoci per la ricchezza di dettagli che rendono le scene veramente entusiasmanti. Quasi potremmo ritenere superfluo qualunque altro apprezzamento, ma la profondità della Parola di Dio permette sempre di mettere in risalto alcuni aspetti capaci di toccare le nostre anime.
Come presupposto, è importante considerare che questo passo mette in rilievo l’umanità di Nostro Signore Gesù Cristo. Mentre negli scritti di San Giovanni traspare la sua nitida preoccupazione di evidenziare i lati divini del Salvatore, senza perdere di vista quelli umani, in quelli di San Marco notiamo l’intenzione armonicamente opposta. Sappiamo che il primo compose il suo Vangelo spinto dalla lotta alle eresie gnostiche del suo tempo. Cosa avrà mosso questo discepolo di San Pietro a percorrere il cammino inverso? Analizziamo il testo sacro.
II – Armonia tra la divinità e l’umanità nella Persona di Gesù Cristo
In quel tempo, 21 essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare.
Cristo, in una straordinaria manifestazione di potere, aveva appena espulso una legione di demoni dall’indemoniato di Gerasa (cfr. Mc 5, 1-16). Uno di loro, portavoce degli spiriti impuri, supplicò che non fossero mandati via da quella regione e che Gesù ordinasse loro di entrare in un branco di porci che pascolava lì vicino. Avendoglielo consentito, gli animali subito dopo si gettarono nell’acqua e affogarono. Dopo aver raccomandato all’uomo esorcizzato di tornare dai suoi e di proclamare tutto quello che il Signore aveva fatto per lui (cfr. Mc 5, 19), il Maestro intraprese la traversata del Mare di Galilea. Prima che toccasse l’altra sponda, la notizia del suo arrivo si era già sparsa, poiché, in quell’epoca, nonostante esistesse quasi soltanto la comunicazione orale, le novità correvano come un fulmine. Sceso dalla barca, la spiaggia era piena di gente desiderosa di vederLo e di abbeverarsi alle sue dottrine.
Un capo di sinagoga estraneo ai preconcetti farisaici
22 E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi, 23 e lo supplicò con insistenza: “La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva”. 24 Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Per essere all’altezza della carica di capo della sinagoga, Giairo certamente possedeva titoli e una buona posizione sociale. Ma, consapevole del nulla che valevano le sue conoscenze paragonate alla sapienza di Nostro Signore, per il quale nutriva un’autentica ammirazione, andò in cerca di Gesù per impetrare la guarigione di sua figlia, che agonizzava. Quando Lo vide, si prostrò davanti a Lui ― il che era prova di completa sottomissione ― e, riconoscendo la sua forza e il suo potere, supplicò che imponesse le mani sulla bambina. Era questa la consuetudine dei sacerdoti quando pregavano per i malati, adottata anche da Gesù in diverse occasioni (cfr. Mc 6, 5; 8, 23.25; ecc.). Considerando la sua fede, Nostro Signore volle esaudirlo.
Mentre Si dirigeva a casa di Giairo, il Divin Medico era seguito dalla moltitudine che “Gli si stringeva intorno”, poiché tutti desideravano avvicinarsi a Lui a tutti i costi, ascoltare le sue parole o fare una richiesta.
Una donna che perdeva la vita un po’ alla volta
25 Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando
Il sangue è segno di vita e, com’è naturale, perderlo in maniera progressiva significa deperire. Sebbene quest’inferma avesse impiegato tutti i suoi beni in numerosi trattamenti, i medici non erano riusciti a ottenere la guarigione voluta, portandola alla rovina. Aveva bussato a tutte le porte senza nessun risultato, e possiamo ben immaginare i patimenti a cui sarà stata sottoposta in conseguenza degli scarsi mezzi di quel tempo! Ma, nonostante gli insuccessi, continuava ad avere coraggio e a sperare ardentemente.
Fede e costanza per ottenere la guarigione
27 Udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: 28 “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. 29 E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
Questo versetto denota la grande fama di Gesù tra il popolo, al punto che si era divulgata la notizia che bastasse toccare la Sua veste o essere coperti dalla sua ombra per guarire. Era, senza dubbio, una gloria impressionante!
Incoraggiata dalle notizie che le erano giunte riguardo a Nostro Signore, questa donna di robusta fede pensò tra sé: “Ecco la soluzione!”, e si propose di accostare la mano al mantello del Divin Redentore, convinta che questo le sarebbe bastato per risolvere il suo problema. Avrebbe potuto ritenere che una supplica a distanza già sarebbe stata sufficiente; tuttavia, la fede infusa da Dio nella sua anima le indicava che la grazia era condizionata al gesto di “toccare le sue vesti”. Così sarebbe stato chiaro che la ritrovata salute proveniva da Nostro Signore, senza dare adito a sospetti che fosse stata ottenuta mediante l’intervento di un Angelo o per un qualsiasi altro fattore.
Ora, la povera donna era in preda al panico all’idea di comparire davanti al Messia, non solo per timidezza, ma anche perché sapeva che le circostanze erano sfavorevoli ad esprimere la sua richiesta, dal momento che questa malattia la rendeva legalmente impura (cfr. Lv 15, 25). Ricordiamoci che le donne a quel tempo, e in particolare tra gli israeliti, erano relegate ad un piano inferiore nell’ambito sociale e sarebbe stato inappropriato che una figlia del popolo eletto assumesse un’attitudine simile a quella della cananea (cfr. Mc 7, 24-30; Mt 15, 21-28) ― pagana, estranea ai costumi giudaici ―, che si approssimò a Lui gridando drammaticamente per implorare aiuto. Ma la fede spingeva l’inferma. Così, nonostante fosse stretta dalla moltitudine, cominciò a poco a poco ad avvicinarsi fino a notare, chissà dopo quanti tentativi, una breccia attraverso la quale stese il braccio e riuscì a toccare l’orlo del mantello di Gesù. E fu subito guarita.
Questo passo ci insegna come, a volte, per ottenere una grazia speciale dobbiamo perseverare davanti alle difficoltà, sopportando pressioni, disprezzo e perfino rifiuti.
Domanda umana, con intenzione divina
30 E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti?”. 31 I suoi discepoli gli dissero: “Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: ‘Chi mi ha toccato?’”. 32 Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo.
A prima vista provoca un certo stupore l’espressione utilizzata da San Marco: “essendosi reso conto della forza che era uscita da lui”. Infatti, con la sua conoscenza divina, infallibile e sempre presente, Gesù abbracciava tutto. Come spiegare che aveva percepito qualcosa che non poteva ignorare? Nella sua umanità, con la conoscenza sperimentale, confermò quello che aveva visto da tutta l’eternità, in quanto Dio. E l’Evangelista sottolinea questo dettaglio per trasmettere una nozione chiara del lato umano di Nostro Signore, dopo che la sua divinità era diventata evidente con la guarigione istantanea.
Sebbene potesse lasciar andare la donna, volle ancora chiedere chi Lo avesse toccato per ravvivare l’attenzione degli Apostoli e invitare la donna a dare testimonianza, come afferma San Girolamo: “Per caso il Signore non sapeva chi Lo aveva toccato? Perché, allora, la cercava? Certo che lo sapeva, ma desiderava che lei stessa lo manifestasse. […] Se non avesse formulato la domanda […], nessuno si sarebbe reso conto che aveva fatto un miracolo. […] Per questa ragione fa la domanda, affinché quella donna Lo riconosca pubblicamente e Dio sia glorificato”.1 L’Uomo-Dio dimostrava così che la guarigione era stata operata da Lui, evitando che il demonio inculcasse nella miracolata l’idea che c’era stata una semplice coincidenza o che era frutto di una forza psicologica, come sostengono i razionalisti analizzando tali fatti.
La fede e l’amore conquistano la vita divina
33 E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Ed egli le disse: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”.
Invece di andarsene in fretta per fuggire da una situazione imbarazzante, la donna preferì accusarsi, forse temendo di perdere la salute che le era appena stata restituita se non lo avesse fatto. Per questo si inginocchiò davanti a Gesù, tremando, ma fiduciosa nella Sua misericordia, e raccontò quello che era accaduto. Condotta lodevole, che indica quanto fosse una persona umile, di coscienza retta e persino tendente allo scrupolo, poiché immaginava di aver rubato qualcosa a Nostro Signore e desiderava restituirlo, senza che, tuttavia, il beneficio le fosse tolto.
La risposta del Salvatore ci permette di congetturare che la guardò con grande compiacenza e bontà. La chiama “figlia”, il che significa che cominciò a godere della sua natura divina. Sì, in quell’istante ebbe un tale trasporto e una tale ammirazione per il Figlio di Dio, una sorta di adorazione, che le fu infusa la grazia santificante, perché, come insegna San Tommaso d’Aquino,2 quando la creatura razionale si ordina al fine che le è dovuto è già giustificata. La vita soprannaturale penetra in chi si entusiasma e si incanta per qualcosa di superiore, al punto da amarlo più che se stesso. A questo riguardo commenta San Giovanni Crisostomo: “È per la fede che è diventata, di fatto, sua figlia”.3 Che gloria aver ricevuto questo titolo dalle labbra di Nostro Signore Gesù Cristo!
Allo stesso tempo, le parole “la tua fede ti ha salvata” denotano che il ristabilimento si verificò anche in ragione di questa virtù. È questa che ci unisce a Dio e, per questo motivo, chi la possiede in grado eccellente ottiene una forza proveniente dall’alto. È innegabile che Gesù avrebbe potuto guarire unicamente in funzione della sua volontà onnipotente. Tuttavia, Egli condizionava la realizzazione del miracolo alla fede ― a volte solida, altre volte debole ― che trovava nelle anime.4 Laddove non esisteva, di solito non operava nessun miracolo (cfr. Mc 6, 5). Non risulta, per esempio, che nessuno dei farisei che si sia avvicinato a Nostro Signore sia stato guarito…
Nostro Signore sollecita il padre afflitto a crescere nella fiducia
35 Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”. 36 Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: “Non temere, soltanto abbi fede!”. 37 E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Si può immaginare lo shock di Giairo di fronte alla notizia della morte della sua figlioletta, ancor più perché era un’epoca in cui il senso della famiglia era molto più intenso di quello di oggi e la paternità si esercitava in modo vigoroso. Siccome le disposizioni per il funerale dovevano essere state già adottate, temendo che l’arrivo di Gesù, seguito dalla folla, potesse provocare non poco scompiglio in circostanze così tragiche, i servi volevano fermare il Maestro.
Invece, Gesù, con una sollecitudine adatta a ispirare i costumi dell’Ancien Régime, rafforzò la fiducia di Giairo. Il consiglio: “Non temere, soltanto abbi fede” ― secondo Sant’Agostino ― “non è un rimprovero a chi non si fida, ma una conferma per chi credeva più intensamente”.5 La bambina era morta! Le articolazioni erano irrigidite, il suo cadavere era freddo, pronto per essere imbalsamato, avvolto in bende e deposto in una grotta. Se la figlia, pertanto, non aveva ormai i mezzi per praticare un atto di fede, lo avrebbe fatto il padre, manifestando la sua fede col presentare la richiesta al Divin Maestro. È probabile persino che lungo il tragitto, in compagnia di Cristo, egli abbia riaffermato nel suo intimo, con crescente fervore, la certezza della resurrezione della figlia. La fede del capo della sinagoga, così come quella dei tre Apostoli scelti da Gesù per accompagnarLo, rese il suo intervento interamente realizzabile, poiché molte volte è per il credere di terzi che si stabilisce il legame tra l’onnipotenza di Cristo e la realizzazione del miracolo. Se Giairo avesse pensato che la morte della figlia dispensasse dalla presenza del Salvatore, non avrebbe ottenuto il beneficio della sua resurrezione.
Tale è la fede che dobbiamo avere, soprattutto nei momenti più difficili della nostra vita. Data l’importanza di questa virtù, è contro di essa che il demonio attacca di più, cercando di sminuirla, indebolirla e ostacolarla, per impedirci di ottenere quello di cui abbiamo bisogno. Seguendo l’insegnamento del Divin Maestro in questa Liturgia, “soltanto abbi fede!”. Crediamo nella Sua misericordia al di là della realtà apparente, ricordandoci che, quando imploriamo una grazia utile alla nostra salvezza, per il bene del prossimo e per la gloria della Santa Chiesa, Dio è più determinato a darla che noi a riceverla. In verità, questo nostro desiderio è stato preceduto dal Suo, da sempre.
Solo quelli che hanno fede assistono al miracolo
38 Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. 39 Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”. 40 E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina.
La comitiva, giunta all’ingresso della casa, si trovò di fronte a una scena di confusione tipica dello spirito manifestativo degli orientali. Alcuni piangevano, altri gridavano, tutti erano in subbuglio. La prima preoccupazione di Gesù fu calmarli, affermando che la bambina dormiva soltanto. Infatti, la bambina “era morta per gli uomini, che non potevano farla tornare in vita, ed era addormentata per Dio, che poteva disporre del suo spirito, che viveva nel suo seno, e del suo corpo, che riposava in attesa della resurrezione”.6 Per Lui, in quanto Dio, la morte non è che un semplice sonno, passibile di essere interrotto in qualsiasi istante col suo potere, visto che sarà Lui stesso che resusciterà tutta l’umanità l’ultimo giorno. E nella figlia di Giairo possiamo contemplare simbolicamente la nostra stessa immagine nella tomba, deteriorata dall’usura del tempo, in attesa del momento in cui, a un ordine del Supremo Giudice e con la Sua forza, il nostro corpo si unirà alla nostra anima nello stato che a ciascuna corrisponde.
Tuttavia, i presenti, poiché erano increduli, ritennero che Gesù si sbagliasse, perché sapevano che il corpo della bambina era già inerte. Cominciarono allora a prendersi gioco di Lui, rivelando quanto il loro pianto fosse finto ed egoista; se fosse stato autentico, avrebbero continuato a piangere senza preoccuparsi di quello che Lui diceva.
Per questo motivo Gesù ordinò che tutti si allontanassero, a eccezione del padre, della madre e dei tre discepoli, gli unici con fede in quell’ambiente. Chi non ha fede costituisce un ostacolo all’azione della grazia e pesa negativamente nella Comunione dei Santi. Segno che gli scettici impediscono il progresso spirituale del loro stesso ambiente. In relazione ad essi dobbiamo mantenere una prudente cautela per non perdere grazie a causa della loro cattiva influenza. Vediamo ancora in questa scena come Dio apprezzi i legami familiari, perché resuscita la bambina, soprattutto a causa dei suoi genitori. Possiamo ben supporre che entrambi si siano salvati e oggi gioiscano in Cielo.
Nostro Signore evidenzia la sua umanità con un grande miracolo
41 Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum“, che significa: “Fanciulla, io ti dico, alzati!”. 42 E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.
Ancora una volta San Marco presenta coniugati gli aspetti divini e quelli umani del Maestro. Mette in evidenza la sua umanità raccontando che Gesù volle andare fino alla casa di Giairo, prendere la mano della bambina e ordinarle di alzarsi. Era necessario questo percorso, un gesto o una parola qualsiasi? No, poiché Lui è Dio e, a distanza, avrebbe potuto tanto impedire la morte quanto operare la resurrezione. Ma procedette così per mettere in chiaro che quella era un’opera sua, e affinché la bimba, svegliandosi, sentisse che era nelle sue mani. In questa maniera, Egli dimostra di essere Uomo, anche realizzando miracoli, e nell’efficacia del suo verbo risalta la sua divinità.
Nuova delicatezza dell’Uomo-Dio
43 E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Gesù proibì la divulgazione di quanto avvenuto, perché in quel momento non era conveniente che un segno così portentoso fosse conosciuto. È molto bello che risulti nella narrazione evangelica la sua preoccupazione per il pasto della bambina, che il padre e la madre, scossi dall’accaduto, con molta probabilità avrebbero dimenticato. Tale delicatezza rivela come lo zelo di tutte le mamme del mondo, sommato insieme, non equivale alla Sua sollecitudine verso una sola persona. Ma, essendo Dio, non avrebbe potuto eliminare la fame della bambina? Certamente, ma cosa era più facile: soddisfarle miracolosamente l’appetito o farla tornare alla vita? Invece, volle che fossero i genitori a darle da mangiare, per due ragioni. In primo luogo, perché provassero che la figlia di fatto era viva, come asserisce San Girolamo: “Ogni volta che resuscitò un morto, ordinò che gli fosse dato da mangiare, affinché non si pensasse che la resurrezione fosse una fantasmagoria”.7 Poi, per mostrarci quanto Egli ami l’ordine naturale delle cose. Nulla di più appropriato che i genitori prendano le debite misure per alimentare la figlia, indebolita dalle sofferenze di una malattia mortale. Senza dubbio, la sua salute in quel momento era migliore di quella che aveva prima della malattia, ma un buon pasto era conveniente per recuperare le energie.
III – Anche la vita divina deve brillare nella nostra umanità
Nel percorrere questo ricco Vangelo — il racconto più circostanziato tra i registri sinottici dello stesso episodio —, contempliamo l’armonia perfetta tra gli aspetti umani e divini di Nostro Signore Gesù Cristo. Secondo quanto spiega San Tommaso d’Aquino, “si deve dire che Cristo è venuto a salvare il mondo non solamente col potere divino, ma anche col mistero della propria Incarnazione. Per questo, molte volte guarendo i malati non solo Si serviva del potere divino, semplicemente ordinando la guarigione, ma anche aggiungendo qualcosa che apparteneva alla sua stessa umanità”.8 Davanti a questo vero caleidoscopio di manifestazioni, ora di una natura, ora di un’altra, nella Persona Divina di Gesù, dobbiamo analizzare con attenzione il suo rapporto con gli uomini nel corso della vita terrena, per poterLo contemplare in tutta la sua grandezza.
Con altrettanta acutezza dobbiamo cercare di capire cosa sta succedendo intorno a noi. In conseguenza di una fede poco robusta, tendiamo a concepire la realtà da un punto di vista strettamente umano, sottovalutando la visione soprannaturale. Ciò nonostante, l’esistenza umana è sempre soggetta all’influenza del mondo invisibile e, pertanto, alle nostre tendenze si associa l’azione di un demonio o di un Angelo. Così com’è impensabile considerare Nostro Signore soltanto come Uomo, ignorando l’unione ipostatica, allo stesso modo è un grave errore dimenticarci del fatto che, col Battesimo, ogni cristiano, essendo mera creatura, è asceso alla partecipazione alla vita divina. Questo fa sì che tutte le nostre deliberazioni siano marcate dalla grazia o dalla sua assenza. Cerchiamo di saper distinguere da quale di questi fattori siamo influenzati. Saranno Angeli o demoni? La grazia o gli istinti naturali sregolati? La virtù o il vizio? Con questa impostazione vedremo tutto non in due dimensioni, ma nella prospettiva dell’eternità.
Amore umano di grandezza infinita
Per effetto della colpa originale e dei peccati attuali, le porte del Cielo erano chiuse per noi e meritavamo la morte eterna. Tuttavia, il Verbo, essendoSi incarnato, sperimenta nella sua umanità sentimenti di immensa compassione verso di noi. In quante occasioni, vedendo partire da questo mondo un caro, non abbiamo desiderato morire al suo posto? Ora, Nostro Signore Gesù Cristo ci ha amato in tal modo da consegnarSi per noi, riscattandoci col suo sacrificio, consentendoci l’accesso alla vita vera. Meditare su questa meraviglia ci offre un beneficio monumentale, perché spesso siamo assaliti da afflizioni, tentazioni, paure, e a volte incorriamo persino in funesti delitti; ma se Nostro Signore guarisce, resuscita e perdona, Egli ha il potere di alleviare i nostri problemi e risollevarci da qualsiasi caduta. Cosa è necessario da parte nostra? “Soltanto abbi fede!”.
L’emorroissa, immagine del peccatore che ha ancora fede
In questo senso, l’emorroissa, che “aveva sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando”, è immagine di chi, privato del flusso vitale della grazia e dell’energia soprannaturale, dopo aver commesso una mancanza grave, rincorre falsi rimedi e cerca la felicità dove non c’è, unendosi a cattive amicizie e optando per certe relazioni che lo deviano dal buon cammino. E quanti più sforzi intraprende per soddisfare i suoi desideri, tanto più si esaurisce e si allontana da quello che ingannevolmente cerca; la brillantezza dell’intelligenza e la forza di volontà diminuiscono; il dinamismo dell’anima svanisce. Perse le virtù e i doni, per il peccato, gli resta appena un residuo di speranza e un “tendine” di fede. Man mano che ricade in nuove trasgressioni, anche questi si vanno a poco a poco spegnendo.
Per evitare che ciò accada è indispensabile che, se cadiamo, ci pentiamo e diciamo supplicanti: “Signore, merito tutti i castighi e, magari, l’inferno. Ma chiedo perdono dei miei crimini con ardente fede nel tuo potere”. Dobbiamo aver fiducia che Gesù è sempre disposto a guarirci, non solo dai mali fisici, ma, soprattutto, da quelli morali, restaurandoci nell’anima l’innocenza, così come ha restituito la salute all’emorroissa. Si preoccupa a tal punto di rinvigorire l’anima piuttosto che il corpo, che non ha lasciato in eredità alla Chiesa qualcosa tipo un bancomat per guarire le malattie, nel quale gli infermi si inginocchino e ne escano ristabiliti. Ha istituito, questo sì, il Sacramento della Penitenza, sul quale non poterono contare gli eminenti uomini dell’Antico Testamento. In quel tempo, nessuno poteva ricorrere a un sacerdote per accusarsi delle sue colpe ed essere assolto, con la certezza di essere purificato da ogni colpa. Che grande dono ha messo alla nostra portata il Divin Redentore!
Noi abbiamo l’Eucaristia!
Sull’esempio dei protagonisti del passo del Vangelo di questa 13a Domenica del Tempo Ordinario, approssimiamoci a Nostro Signore e Lui ci elargirà i suoi favori. Nel Sacramento dell’Eucaristia, più che stringere la mano che sollevò la bambina dal suo letto di morte o toccare il mantello il cui contatto restituì la salute alla donna, ognuno di noi riceve Gesù in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Se Si dà per intero a noi, non ci guarirà dalle miserie, non risolverà le difficoltà spirituali e, ancora, non provvederà ai nostri bisogni materiali? Chiediamo a Gesù, per intercessione di Maria, una fede maggiore di quella dell’emorroissa e di quella di Giairo, per beneficiare di tutti i tesori che nella sua misericordia Egli vuole concederci! ◊
Note
1 SAN GIROLAMO. Trattato sopra il Vangelo di San Marco. Omelia III (5,30-43). In: Obras Completas. Obras Homiléticas. Madrid: BAC, 1999, vol.I, p.853.
2 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.89, a.6.
3 SAN GIOVANNI CRISOSTOMO. Omelia XXXI, n.2. In: Obras. Homilías sobre el Evangelio de San Mateo (1-45). 2.ed. Madrid: BAC, 2007, vol.I, p.619.
4 Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., III, q.43, a.2, ad 1.
5 SANT’AGOSTINO. De consensu evangelistarum. L.II, c.28, n.66. In: Obras. Madrid: BAC, 1992, vol.XXIX, p.377.
6 SAN BEDA. In Marci Evangelium Expositio. L.II, c.5: ML 92, 182.
7 SAN GIROLAMO. Contra Joviniano. L.II, c.17. In: Obras Completas. Tratados apologéticos. Madrid: BAC, 2009, vol.VIII, p.339; 341.
8 SAN TOMMASO D’AQUINO, op. cit., III, q.44, a.3, ad 2.