Spirito d’amore e di pace

“Amore” e “pace”, parole tanto in voga nella cultura contemporanea, ma il cui vero significato è poco conosciuto... Il Vangelo di questa domenica ci permetterà di scoprire le meraviglie che questi concetti racchiudono e di vedere quanto è lontano da essi il mondo attuale.

Vangelo – VI Domenica di Pasqua

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:23 «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non Mi ama non osserva le Mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. 26 Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27 Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. 29 Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate» (Gv 14, 23-29).

I – Due concetti sporcati dalla Rivoluzione

Come un gigantesco vulcano di pus, il movimento hippie irruppe negli anni Sessanta spargendo irrefrenabilmente in tutto il mondo la sua lava infetta e maleodorante che portò la società occidentale all’autodissoluzione morale mediante l’imposizione di una mentalità delirante e caotica. Le mode, la musica, le regole dell’educazione, gli ambienti, i gusti, insomma la cultura in generale si degradò drasticamente in tutto il mondo, senza che una sola goccia di sangue fosse versata.

Uno degli slogan adottati dai mentori di questa riuscita rivoluzione nelle tendenze fu «peace and love»,1 sinistra parodia del motto «pax et bonum»2 del serafico San Francesco d’Assisi. Da allora, la pace fu surrettiziamente identificata con la mera assenza di conflitti armati e con la pseudotranquillità provocata dagli stupefacenti, e l’amore fu associato al libertinaggio sfrenato, il che rende evidente quanto sia distante dalla massima del Poverello il motto di questa generazione.

Gli eccessi di questa vaporosa ma onnipresente rivoluzione spaventarono in modo lieve l’Opinione Pubblica subito dopo la sua prima detonazione; ai nostri giorni, invece, si sta imponendo a gran ritmo senza che nessuno alzi la voce per mettere in guardia gli spiriti incauti, che finiscono per lasciarsi trascinare, anche se con una certa reticenza, dal suo turbinio immondo e seducente. Pochi percepiscono il punto finale di questo pendio scivoloso, che conduce al relativismo dottrinale, alla completa corrosione sociale, alla simpatia più o meno cosciente per ciò che è brutto e per la decomposizione psicologica e morale.

Di fronte a questa realtà, il Vangelo della VI Domenica di Pasqua si presenta con la forza di un esorcismo divino, capace di disperdere i venti mefitici di una rivoluzione che impregna gli ambienti più diversi. Infatti, ripristinare il vero significato delle parole pace e amore significa issare con gagliardia, entusiasmo e forza lo stendardo di Dio. Si rende necessario, dunque, manifestare nuovamente agli uomini, in parte intorpiditi dal male di oggi, lo splendore dell’ordine autentico delle cose, che il padre della menzogna vuole oscurare.

II – Pace e amore alla luce della verità

Il brano selezionato per la Sacra Liturgia di questa domenica si situa nel discorso di commiato che Nostro Signore pronunciò durante l’Ultima Cena nel Cenacolo. L’imminenza della drammatica separazione dai suoi e la prospettiva della Passione e della Resurrezione, conferiscono una densità speciale alle parole del Maestro e rendono l’atmosfera piena di imponderabili di dolore e di speranza, mal interpretati dai discepoli, che si vedono disorientati dai sentimenti contrastanti di timore e stupore. La virtù della fede era ancora fragile nelle loro anime. Per questo il Buon Pastore apre il suo Cuore, riversando su di loro torrenti di affetto, sapienza e serenità allo scopo di confortarli.

Alla luce della Tradizione e delle nuove ispirazioni del Consolatore, possiamo anche scoprire in questi versetti di San Giovanni orizzonti grandiosi per la nostra fede. In essi ci viene offerta una guida sicura per stabilire sulla terra il Regno di Dio, tutto fatto di pace e amore, Regno promesso dalla Madonna a Fatima e in altre rivelazioni private approvate dalla Chiesa.

Ultima Cena – Parrocchia Nostra Signora della Gloria, Juiz de Fora (Brasile)

La manifestazione interiore di Dio

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:23 «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

Questa sublime affermazione di Nostro Signore vuole rispondere a una questione sollevata da San Giuda Taddeo: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv 14, 22). Per intendere bene la domanda dell’Apostolo, è necessario ricordare la profezia fatta da Gesù nei versetti precedenti: «Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14, 19-21).

Usando il termine mondo, Gesù Si riferisce in modo particolare al popolo eletto contaminato dal peccato di deicidio. Dopo la Passione, non avrebbero potuto più vederlo perché, in qualche modo, Egli sarebbe morto. I discepoli, però, Lo avrebbero incontrato di nuovo, secondo la promessa del Maestro: «Io vivo e voi vivrete». Nonostante il tentennamento nella fede nel momento supremo della Crocifissione, questi seguaci avrebbero vissuto della buona notizia della Risurrezione.

Agendo in questo modo, Nostro Signore andava contro il concetto fastoso di un’era messianica troppo terrena, in cui si sarebbero adempiute alla lettera e non nel loro senso spirituale, certe profezie che vaticinavano il primato politico ed economico di Israele sugli altri popoli. Se Gesù, dopo la vittoria definitiva sulla morte, Si fosse fatto vedere solo dai suoi, come avrebbe instaurato l’agognato impero che avrebbe innalzato Gerusalemme al vertice della gloria?

Ora, ai discepoli era riservato il dono indicibile di ricevere la manifestazione del Signore nella parte più intima della loro anima, mistero che sfuggiva completamente a San Giuda, così come agli altri Apostoli. Soltanto dopo la venuta dello Spirito Santo essi avrebbero capito il segreto nascosto in quelle parole di saggezza che suonavano incomprensibili per loro. Sì, il Redentore avrebbe comunicato con coloro che Lo amavano e obbedivano ai suoi comandamenti, ma in una forma interiore e occulta.

Questa è la vera portata dell’affermazione di Gesù: «Se uno Mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e Noi verremo e prenderemo dimora presso di lui». Si tratta della formulazione più precisa di una realtà che ci riempie di meraviglia e ci fa sussultare: l’inabitazione trinitaria.

Infatti, Dio sceglie il nostro cuore come sua dimora, stabilendoSi in esso con infinito affetto, a somiglianza di un flusso continuo che riversa su di noi fiumi di fuoco divino. Questo amore, che raggiungerà la sua pienezza in Cielo, progredisce sulla terra nella misura in cui ci svuotiamo di noi stessi e facciamo spazio in noi ai Tre che sono Uno. Questo dono è così reale e così alto che non ci sono parole per ringraziare l’Altissimo per il fatto di essersi abbassato e di trovare le sue delizie nel rimanere, come Padre e amico, in ognuno dei suoi figli adottivi.

Bisogna anche pensare che quando commettiamo un peccato mortale, idolatriamo noi stessi o le creature ed espelliamo brutalmente questa presenza divina che dovrebbe essere il nostro unico e grande amore. Così possiamo capire meglio il motivo per cui l’uomo si rende meritevole dell’inferno per una sola colpa grave.

Il mondo non ama perché non mantiene la parola

24 «Chi non Mi ama non osserva le Mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato».

In queste due frasi Nostro Signore spiega a San Giuda perché non Si manifesterà al mondo: a causa dell’assenza di amore e di obbedienza. Chi non ama, non osserva la parola di Gesù, il che equivale a dire che è impossibile avere un vero affetto per il Padre Celeste senza adempiere i suoi Divini Comandamenti. Trattasi di una verità fondamentale della nostra Fede, astutamente attaccata ai nostri giorni dal relativismo. La parola di Dio rimane per sempre e non entrerà mai nel Regno dei Cieli chi non si piega con determinazione davanti alla sovrana volontà del Signore degli Eserciti, che ha il diritto di essere ascoltato e obbedito.

Così, nel Vangelo di oggi, il vocabolo mondo indica anche la triste folla, generalmente comandata da élite corrotte, che si oppone all’autorità dell’Altissimo nascondendosi dietro sofismi inconsistenti. Essa sarà esclusa dalla più bella manifestazione del Figlio di Dio: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20).

Cerchiamo di vivere in stato di grazia e facciamo della presenza trinitaria il tesoro più prezioso della nostra esistenza!

Santissima Trinità, «Grandi Ore di Anna di Bretagna» – Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi

Il Verbo dice e lo Spirito insegna

25 «Queste cose vi ho detto mentre ero ancora tra voi. 26 Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Procedente dal Padre e dal Figlio in quanto vincolo di unione tra entrambi, lo Spirito Santo è una fiamma infinita dell’amore più puro e veemente, che supera ogni considerazione umana. Il Sole non è che un pallido abbaglio in confronto all’Eterno Affetto che unisce la Prima Persona della Trinità alla Seconda. Questo amore, in tutto e per tutto contrario all’egoismo, consiste nel fatto che ciascuna delle Persone divine si rivolge alle altre due, in uno slancio di adorazione, di estasi e di entusiasmo che non ha inizio né fine. Quindi, il vero amore è quello che si dona e non quello che cerca solo di ricevere per soddisfare desideri bassi e individualistici, come proclama l’attuale ideologia della sciatteria e della depravazione.

La Santissima Trinità, come ben sappiamo, agisce sempre per amore e in perfetta concomitanza; i Tre sono inseparabili nell’economia della salvezza. Tuttavia, affinché potessimo meglio conoscere la diversità delle Persone Divine, i loro interventi portano un’impronta trinitaria. Ogni uomo o donna, per esempio, è capace di tre amori: filiale, sponsale e paterno o materno. Inoltre, adattandoSi a noi con estrema compassione, il Dio Trino fa sì che in certe azioni dette ad extra, il “timbro” di una Persona sia più percepibile di quello delle altre due. Così, al Padre è generalmente attribuita la creazione; al Figlio la redenzione; allo Spirito Santo la santificazione.

Volendo istruire gli Apostoli sull’esistenza e sul modo di procedere dello Spirito Santo, Nostro Signore spiega loro la sua caratteristica specifica: predisporre le anime non solo ad ascoltare, ma anche a conservare nel ricordo i preziosi insegnamenti e le profezie del Verbo Incarnato. Per questa ragione, la parola pronunciata dal Figlio non sarà mai ricevuta con serietà e attenzione senza l’aiuto del Paraclito.

Più di chiunque altro, Nostro Signore conosceva il ruolo della grazia dello Spirito Santo nella santificazione dei fedeli, che consiste nel perfezionamento di tutte le virtù sotto l’egida della carità e il dono della sapienza. Per questo Egli dichiara di aver “detto” agli Apostoli tutto quanto riguardava la sua futura rivelazione interiore, in quanto il Difensore la “insegnerà”. La differenza tra dire e insegnare è facilmente comprensibile. Nel primo caso, si trasmette qualcosa, ma con il rischio che venga dimenticata; nel secondo, il verbo pronunciato si fissa efficacemente nella memoria e nel cuore, a somiglianza di quanto accadeva alla Madonna, Sposa fedelissima della Terza Persona della Santissima Trinità (cfr. Lc 2, 51).

Ecco una lezione per coloro che si dedicano alle fatiche apostoliche. Se non contano sull’aiuto soprannaturale, il loro lavoro sarà un fallimento dall’inizio alla fine. Sotto la luce benedetta del Consolatore, al contrario, tutto germoglierà, fiorirà e darà frutti in abbondanza. Da qui la necessità impellente di non riporre mai la nostra fiducia nei mezzi e nei metodi umani, ma nella grazia, senza la quale nulla si può ottenere.

La Gloria dello Spirito Santo – Museo di Arte Sacra, Rio de Janeiro

La pace di Cristo

27a «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi».

Lo Spirito del Padre e del Figlio si chiama Amore. E il frutto dell’amore è la pace. Per questo motivo, Gesù afferma che ci lascia la pace e ci dà la sua pace. Si tratta dello Spirito Santo, in quanto dono, che ordina interiormente l’uomo in vista della maggior gloria di Dio.

Seguendo Sant’Agostino,3 i medievali definiscono la pace come la tranquillità dell’ordine, per cui il retto ordine degli esseri è la causa della placida quiete che chiamiamo pace. Ora, per San Tommaso d’Aquino,4 nell’uomo esistono tre tipi di ordine. Il primo proviene dalla concordia tra le sue facoltà interne, cioè dall’obbedienza della sensibilità alla ragione e dalla sottomissione della ragione al Creatore. Il secondo consiste nella pace dell’uomo con Dio. Si tratta di un’armonia interiore che deriva dalla serenità della coscienza retta, che è in armonia con la Legge dell’Altissimo: «Grande pace per chi ama la tua Legge» (Sal 119, 165). Il terzo, infine, si riferisce al prossimo, come insegna l’Apostolo nella Lettera agli Ebrei: «Cercate la pace con tutti e la santificazione» (12, 14).

Tra i fattori che possono turbare questa pace c’è il dinamismo delle passioni cattive, specialmente l’orgoglio e la sensualità, come insegna il Dott. Plinio Corrêa de Oliveira. Da parte sua, il Dottore Angelico afferma che, perché esista la pace, la parte sensitiva dell’anima «deve essere immune alla molestia delle passioni»,5 una meta audace per coloro che sono soggetti agli effetti clamorosi del peccato originale…

Arriviamo, così, a una semplice conclusione: la pace può essere mantenuta solo in una guerra continua contro i principi che minano l’ordine. E allora si spiega la categorica dichiarazione del Signore: «Non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10, 34), essendo la pace intesa come assenza di conflitto.

È dunque necessario ricorrere frequentemente alla preghiera, per mantenere sotto controllo questi nemici insidiosi, che sono inclini a far precipitare nella follia le facoltà della nostra anima. E, una volta ottenuto l’aiuto celeste, dobbiamo incessantemente e inesorabilmente lottare contro noi stessi per mezzo della disciplina, una virtù così dimenticata dalla cultura odierna, che si caratterizza «per la spontaneità delle reazioni primarie, senza il controllo dell’intelligenza né la partecipazione effettiva della volontà; per il predominio della fantasia e delle ‘esperienze’ sull’analisi metodica della realtà: tutto, in larga misura, è frutto di una pedagogia che riduce quasi a nulla il ruolo della logica e della vera formazione della volontà».6

La saggezza medievale apprezzava la disciplina e la promuoveva con efficacia, creando le condizioni per sviluppare una cultura permeata dalle massime del Vangelo. L’illustre abate Ugo di San Vittore lo esprime bene in una delle sue opere: «La disciplina è la catena della cupidigia, la prigione dei desideri malvagi, il freno della lascivia, il giogo dell’orgoglio, il ceppo dell’ira, che sottomette l’intemperanza, imprigiona la leggerezza e soffoca tutti i movimenti disordinati della mente e gli appetiti illeciti. […] La disciplina frena l’impeto di tutti i vizi, e quanto più reprime i cattivi desideri esteriori, tanto più i buoni desideri interiori ne sono rafforzati. Poco a poco, mentre l’impronta della virtù si imprime nella mente con l’abitudine, si conserva la compostezza esteriore del corpo con la disciplina. […] Questa deve essere osservata in quattro punti principali: nel modo di vestire, nei gesti, nel modo di parlare, nel comportamento a tavola».7 Così, i costumi retti e la buona educazione diventano la salvaguardia della pace di Cristo.

Occorre anche considerare che la pace di Cristo si distingue dalla pseudo-pace del mondo. San Tommaso8 spiega che la pace dei Santi si differenzia dalla pace dei peccatori sotto tre aspetti. Prima di tutto, per l’intenzione. La pace dei mondani è ordinata alla fruizione dei beni terreni, che sono effimeri e instabili, mentre quella dei Beati poggia sui beni eterni. Ne consegue che la prima è fittizia, poiché i figli del mondo, continuamente rimproverati dalla propria coscienza, godono di una pace che è solo esteriore, mentre quella dei figli di Dio è interiore ed esteriore, poiché essi ricevono la lode della coscienza, l’apprezzamento dei buoni e l’affetto del Padre delle Luci. Infine, la pace mondana è imperfetta perché l’uomo, soddisfacendo le sue passioni, si rende reo dell’inferno: «Non v’è pace per gli empi» (Is 57, 21). La pace di Cristo, al contrario, proviene dalla speranza di possedere la felicità piena per sempre.

Viene così chiarito il vero significato del termine pace e diventa evidente quanto sia lontano anni luce dalla falsa concezione promossa dalla sottocultura hippie, così diffusa al giorno d’oggi.

Cristo Gladifero – Sainte-Chapelle, Parigi

Il nostro generale invincibile è il Principe della Pace

27b «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. 29 Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate».

La previsione del distacco dal Maestro riempiva i cuori degli Apostoli di turbamento e timore, sentimenti così umani, ma che dovevano essere vinti dalla fede. L’esattezza del vaticinio del Divin Profeta sarebbe stato il sigillo di garanzia delle sue parole e la causa, in buona misura, della fedeltà dei discepoli.

Ora, Nostro Signore chiede questa fede anche a noi.

Gesù è il Principe della Pace (cfr. Is 9, 5), il nostro invincibile Generale, il Cavaliere dell’Apocalisse (cfr. Ap 19) che comanda le coorti dei figli della luce e disperde i nemici dell’ordine. Egli è salito in Cielo per essere glorificato dal Padre nella sua umanità santissima, essendoGli conferito potere, impero e una forza irresistibile, e a queste condizioni ritornerà in gloria e maestà nel giorno del Giudizio. Ma non solo allora. Nostro Signore ritorna ogni volta che celebriamo il Santo Sacrificio dell’Altare, dove Si fa Agnello Immolato, Signore assoluto della Storia, Protettore efficacissimo dei suoi, Alimento di salvezza. Nei tabernacoli e negli ostensori lo abbiamo come Prigioniero d’amore, che chiede l’elemosina del nostro affetto e della nostra compagnia. Fortificati dalla sua presenza, possiamo superare i nostri tentennamenti e vedere consolidati i nostri buoni propositi di lottare fino alla morte per stabilire dentro di noi e intorno a noi la vera pace.

La pace di Cristo ci è stata trasmessa e prevarrà in forma irreversibile, perché il dono di Dio vince sempre. Non a caso, a Fatima, il messaggero celeste che si manifestò ai pastorelli disse di essere l’Angelo della Pace, nome appropriato per colui che doveva precedere le apparizioni in cui sarebbe stato annunciato il trionfo di Gesù in Maria.

III – Amiamo l’Amore e avremo la vera pace

«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5, 9). La settima beatitudine promette il premio per eccellenza, poiché la filiazione divina è la grazia più eccelsa che un essere razionale possa ricevere. Cosa ci potrebbe essere di più elevato di questo? Come misurare la grandezza di essere un membro effettivo e reale della famiglia trinitaria? Quale dignità supera quella di appartenere alla stirpe divina come coerede di Cristo e membro dell’assemblea dei Santi che gridano per i secoli infiniti «Abbà, Padre» (Gal 4, 6)?

Per ottenere un tale dono, però, bisogna essere pacifici. Cosa significa questo? Dalla nostra riflessione sul Vangelo della VI Domenica di Pasqua, possiamo trarre alcune conclusioni utili per la nostra vita spirituale.

Essere pacifici vuol dire vivere nell’amore e nell’obbedienza a Dio, adempiendo i suoi sapienziali Comandamenti. Così, l’uomo pacifico è prima di tutto un guerriero impavido, inflessibile e persistente, un soldato che non tiene mai la sua spada nel fodero, ma rimane in uno stato di vigilanza, senza fatiche né rilassamenti.

Infatti, come si può raggiungere la padronanza delle passioni ribelli senza la disciplina? È una chimera pensare che, lasciando andare i suoi istinti animaleschi, il cuore dell’uomo diventi libero. Al contrario, non c’è schiavitù più vile e umiliante di quella della concupiscenza, come constatiamo quotidianamente in un mondo dove il permissivismo non ha quasi limiti. È necessario, quindi, brandire il gladio dell’osservanza con vigore.

Non è compito facile neppure sottomettere la nostra volontà capricciosa alla ragione illuminata dalla fede, o piegare la nostra intelligenza presuntuosa davanti alla luce della sapienza infinita che la supera. Quanta umiltà e determinazione sono necessarie per ottenere la vera pace! E chi potrebbe ottenere questa vittoria senza la virtù della mansuetudine e della fortezza? Diventano, quindi, indispensabili l’ascesi, l’esercizio spirituale, la lotta costante e feroce contro i nostri criteri erronei e i nostri vizi.

Inoltre, se soppesiamo le seduzioni di un mondo impantanato nella mollezza e nella sensualità, dove troveremo le forze per distinguerci dalla folla ed ergere quasi da soli lo stendardo dell’idealismo? E a tutto questo si sommano le tentazioni del demonio, nostro instancabile e abilissimo nemico… Chi potrà dunque essere pacifico?

Pentecoste – Chiesa Trinità dei Monti, Roma

La soluzione, caro lettore, si trova nel titolo di questo articolo. Si tratta della Terza Persona della Santissima Trinità, l’Amore del Padre e del Figlio, il Fuoco divino capace di consumare le nostre miserie e di accendere in noi la fiamma del puro amore. Sì, solo la grazia dello Spirito Santo trasformerà i pusillanimi in indomiti combattenti agli ordini del Principe della Pace.

Il Consolatore ci insegnerà il senso autentico dell’amore, che non consiste nella soddisfazione di istinti incontrollati e interessati, ma nella donazione generosa e totale a Dio e ai nostri fratelli. Una volta inondati dalla santa carità, saremo capaci di rinunciare a noi stessi, opporci allo spirito del mondo e respingere i perfidi suggerimenti di Belial. In questo modo, diventeremo veramente pacifici, sottomessi al Signore, in ordine con la nostra coscienza e schiavi d’amore del prossimo.

Invochiamo il Divin Paraclito con zelo e perseveranza, certi che il nostro clementissimo Padre non negherà mai il suo Spirito a chi Glielo chiede. E preghiamo per la venuta di una nuova Pentecoste mariana, perché sarà attraverso la Madonna che questa grazia sarà riversata nei nostri cuori.

Il Dott. Plinio Corrêa de Oliveira così esprimeva questo anelito in una preghiera da lui composta: «Maria Santissima, Figlia diletta di Dio Padre, Madre mirabile di Dio Figlio e Sposa fedelissima dello Spirito Santo, noi Ti supplichiamo: ottieni in particolare dal Paraclito che soffi con tutta la maestà, tutta la forza, tutto il calore della sua grazia sugli uomini, oggi così soggetti all’impero di Satana, dei suoi angeli di perdizione e degli operatori di iniquità che egli ha sparso sulla terra. Così saranno create nuove meraviglie di Dio e sarà rinnovata la faccia della terra, condizione essenziale affinché il tuo Regno materno sugli uomini sia autentico, raggiante di gloria e duraturo nei secoli».

Lo Spirito d’amore e di pace è la nostra speranza, la nostra unica soluzione, la nostra certezza della vittoria!

 

Note


1 Dall’inglese: pace e amore.

2 Dal latino: pace e bene.

3 Cfr. SANT’AGOSTINO. De civitate Dei. L.XIX, c.13, n.1. In: Obras. Madrid: BAC, 1958, t. XVII, p.1398.

4 Cfr. SAN TOMMASO D’ AQUINO. Super Ioannem, c.XIV, lect. 7.

5 Idem, ibid.

6 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Revolução e Contra-Revolução. 5.ed. São Paulo: Retornarei, 2002, p.75.

7 UGO DI SAN VITTORE. De institutione novitiorum, c.X: PL 176, 935.

8 Cfr. SAN TOMMASO D’ AQUINO, op. cit.

 

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